Cominciò come un gioco senza fuoco a marchiare. non l’ustione ma la pagina bianca i colori la macchia. l’inchiostro che sporca. verginità della bocca sbandierata e perduta. gorgogliare sommesso di melma che assale. cominciò così l’apnea radicale. le mani avvinghiate alle sponde. le labbra di sale. senza pietà la condanna o speranza o controllo o salvezza del dopo. senza un fiore d’incanto o parola gentile.
I vermi striscianti ricoprirono i lombi arrotando coltelli vivevano a fianco. porte chiuse serrate a covare bisogni. mostri infami insaccavano sabbia seppellivano grazia. nei crateri sozzure. i vigliacchi a sputare. sopra i colpi la fiera. con le zanne affondare trenta centimetri al cuore. rosso dritto violento crocifisso di sole.
La coperta aveva soffici piume. era un covo di pace fantasia floreale. una tana condivisa animale. immobile il fiato di morte batteva le nocche i lembi frastagliati del nulla. occhi chiusi sul bianco e le nuvole fuori. all’interno del vetro c’era il blocco del pianto. tutto fermo e stravolto al confine del mare. nel ventre ipotetico ansimava l’intento. congiuntivo presente: se sia meglio morire o respirare profondo. un assolo magnifico senza darlo a vedere.
Non esiste l’immenso. non risponde al chiamare e nel gelo dell’oltre abolisce il rumore. si collassa inumano di silenzio perfetto. piovevano gli angeli infine tra pareti di amianto. soffiavano lamine e vento. mormoravano mute preghiere.
Era un tempo insensato, prima dato e crollato, dopo ammesso e poi addosso. coi forconi la folla con la neve la luce immacolato splendore. forse assurdo che uccide. coltellate a ridosso e nel limbo candore. ogni coltre che scende infinitamente ricopre. dentro il seme il lenzuolo. una sindone eppure non è detto che il corpo inumato sopravviva a parole.