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In “Dedica”, ultima fatica letteraria di Lucia Triolo, per i tipi Edizioni DrawUp,  opera vincitrice della IV edizione 2018 del Premio letterario Internazionale Città di Latina per la sezione Silloge inedita e finalista nel Concorso letterario  “Città di Conza della Campania”, la scelta del titolo rappresenta di per sé una dichiarazione d’intenti: l’azione del dedicare riflette la destinazione a un fine determinato, il manifestare e offrire, tramite la parola, la propria visione della realtà, contrapposta e differente da quella altrui. In senso figurato “dedica” significa volgere l’animo a qualcuno o qualcosa con intensità. Questo qualcuno è l’altro da sé, che si avverte diverso da noi ma che comunque si rivela necessario per la nostra realizzazione. Cerbino, nella prefazione, giustamente richiama Luhmann e il concetto di comunicazione come base dei sistemi sociali. L’atto comunicativo, finalizzato a fornire un’informazione, è un’azione necessariamente ed intrinsecamente sociale e va interpretato dopo un’adeguata osservazione. Lucia Triolo, da grande osservatrice qual è, percepisce, rileva, ricerca, denuncia una mancanza, un venir meno, proprio e altrui, ci si accosta all’altro quando si scrive Ho prestato al mio corpo / la tua sete e / la tua fame o E non abbiamo mai saputo / di quanti cuori altrui abbiamo bisogno / perché il nostro batta.

Emerge una sorta di vocazione alla giustizia e alla verità che però è possibile perseguire solo in punto di lucida follia, la stessa che più avanti le fa dire Una follia / m’è madre e mi culla e perfino la si può sgranocchiare.  

Esiste un rapporto irrisolto e di stretta dipendenza tra vita e parola nella poetica di Triolo, come se la parola fosse un’estensione del sé, Non c’è scatto che non le appartenga / ho messo la parola / a lottare con la vita / a rabberciarla / come un tessuto vecchio / lacero / sporco.

Procedendo nella lettura emerge la descrizione di emozioni, sensazioni, riflessioni dell’autrice, processi mentali già studiati dalla psicologia cognitiva e divenute elaborazioni di informazioni provenienti dall’esterno e interpretate dall’autrice alla luce della sua personale esperienza. Alcuni testi scavano nelle inquietudini del mondo contemporaneo, per denunciarne i mali, il genocidio d’ore e di sogni,  e contestare il prezzo del progresso e della civiltà, che hanno fatto perdere di vista l’umanità di ciascuno. L’esito è l’approdo salvifico verso una dimensione sospesa in cui l’identificazione con l’altro costituisce una delle possibili risposte. Il filo conduttore è lo scambio con l’altro, prospettiva di una ritrovata fiducia nel prossimo e di un nuovo umanesimo.  Io t’imbocco / nell’urto spezzetto / ancora / una / volta / l’aria / verso / contro di me / tu giri / a bocca aperta / la tua ombra / ferita.

La versificazione più adottata, all’interno dell’opera, è il verso libero che denota la volontà di seguire l’introspezione, il sentimento, il flusso di coscienza, mentre il presente diviene passato, nella catena dei ricordi e delle assenze. Di qui la volontà, il desiderio di imparare una buona volta a vivere quando si afferma Vorrei sapermi vivere / come verità mancata. Lo stile, spesso epigrammatico e aforistico, rappresenta l’opportunità di colloquio e di condivisione e conferisce alla raccolta una suggestiva e coinvolgente energia. E infine, di tanto in tanto, riaffiora un dolore che è universale, appartiene a tutti gli uomini così come la mancanza d’amore. Soffriamo di mancanza d’amore / che è tradimento / incollato su una parete / della pelle / come un calendario.  

© Deborah Mega

 

 

SONO NATA

Sono nata con

un sassolino nella scarpa

e un piede balbuziente

in una giornata che vagiva

nel lento tramonto.

Sono nata

come mia madre non mi voleva

in uno spazio

in cui il tempo tesseva un impulso

che non mi apparteneva

che non mi consolava.

In piazza una bancarella

con scarpe di secondo piede

piene di impronte

che avevano già lasciato il loro segno

e non sapevano né dove né quando.

Lo sguardo del giorno che m’accolse

dove poi si rivolse?

 

Sono nata con un sassolino nella scarpa

che credevo d’altri

ed era mia.

 

IL TRENO

Il treno stava fermo a gran velocità

come il dolore

come talvolta l’amore.

Nessuno sapeva dell’arrivo

né della partenza

Era la grande occasione

da prendere al volo

 

lei però era caduta

su una buccia di banana

prima ancora.

 

TRADIMENTO

Soffriamo di mancanza d’amore

che è tradimento

incollato su una parete

della pelle

come un calendario

 

chi teme di passare

in mezzo alla vita mi somiglia.