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Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni. La Redazione ringrazia Mauro Germani per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: La parola e l’abbandono (L’arcolaio, 2019).

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

La parola e l’abbandono è un libro di aforismi, ricordi, trascrizioni di sogni e appunti letterari che ho scritto nell’arco di quasi un trentennio e che hanno accompagnato, sullo sfondo, la mia attività relativa alla poesia, alla narrativa e alla critica. Da questo libro emergono pertanto i temi presenti nella mia opera, che sono – come riportato nella quarta di copertina – “il senso di uno smarrimento originario, la precarietà dell’essere, la coscienza di una sconfitta esistenziale, l’enigma dell’amore e del corpo, il dramma non risolto della religione”. Ne scaturisce un ritratto di me stesso, con tutte le ossessioni che mi riguardano, una sorta di “follia privata”, che però investe anche il nostro essere-nel-mondo, il nostro destino e la nostra società. Parlo di me, ma è anche un pretesto per riflettere sulla condizione umana. Credo che in questo senso siano stati indubbiamente maestri autori come Cioran, Ceronetti e Quinzio.

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Scrivere questi aforismi nel tempo è stato innanzitutto necessario per me, per comprendere meglio le ragioni della mia scrittura e ragionare sulla parola e sul suo rapporto con l’esistenza. Io penso che scrivere non sia un gioco, né un semplice esercizio di stile, come spesso purtroppo avviene oggi. Per me scrivere in modo autentico significa sempre scendere in un abisso, quello dell’esistenza stessa. Come ha scritto Kafka, “un libro deve essere un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi”.

La mia pubblicazione, all’interno del panorama letterario attuale, risulta anomala, in quanto inclassificabile e lontana sicuramente dalla logica dominante. Vuole inquietare e far pensare, ed il pensiero mi sembra ai giorni nostri sempre più povero, se non addirittura assente. Vorrei aggiungere, poi, che oggi siamo di fronte ad un problema piuttosto serio e preoccupante: si pubblica troppo e si legge poco e male. Questo comporta che libri di qualità, che meriterebbero attenzione, nascono già morti, soffocati dalle innumerevoli pubblicazioni volute dal mercato.

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a impegnarti in questa opera? In altri termini qual è la sua genesi?

Credo che il titolo del libro indichi abbastanza chiaramente ciò che mi ha spinto a raccogliere i miei pensieri: il doppio, drammatico legame tra ciò che la parola intende esprimere e la condizione di solitudine di ognuno di noi. Così come esiste la solitudine dell’uomo, esiste anche quella della parola. Affermo infatti che “la parola è sempre sola davanti al dolore e alla morte”. La parola poetica non salva nessuno – è bene ribadirlo, abbandona ed è abbandonata. Chi scrive davvero tenta sempre di dire la vita in una tensione estrema, ed è proprio in questo sforzo immane che risiede la scrittura, la quale si colloca tra il dicibile e l’indicibile.

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

La foto presente in copertina  è opera di un mio carissimo amico, Marco Turolla. È stata scattata sull’Etna e raffigura alcuni alberi crollati e bruciati, che nelle posizioni assunte assomigliano a delle croci. Credo che questa immagine rappresenti un senso di rovina e di mistero, che ben si adatta allo spirito del mio libro.

  1. Come hai trovato un editore?

Mi sono rivolto alla casa editrice L’arcolaio di Gian Franco Fabbri, presso la quale ho avuto modo di pubblicare altri miei libri in passato. Gian Franco è un amico ed il suo è un catalogo di qualità, molto ben curato.

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

Per le ragioni che ho esposto in precedenza, non credo che il mio sia un libro facile. Penso possa interessare soprattutto chi si occupa di scrittura e di problematiche filosofiche, tuttavia mi auguro che possa coinvolgere anche altre persone. All’interno del volume vi sono citazioni e riferimenti ad una cinquantina di autori, poeti, scrittori, filosofi, ma in modo piuttosto chiaro e diretto. Certo, la lettura è impegnativa, ma è giusto che sia così…

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Da un po’ di tempo evito le presentazioni pubbliche. L’ultimo libro che ho presentato è stato Giorgio Gaber. Il teatro del pensiero, uno studio tematico sul teatro canzone e sul teatro di evocazione di Gaber e Luporini. Dopo mi sono ritirato. Oggi – a differenza di un tempo – sono innumerevoli le iniziative letterarie, le letture pubbliche e le presentazioni. Ne ho fatte parecchie anch’io ed ora non le sopporto più; lo dico anche nel libro. Spesso rivelano soltanto il narcisismo degli autori, il loro esibizionismo. Io non sono nemmeno su facebook, non mi interessa, e a volte addirittura mi ripugna. Gestisco solo il mio blog da diversi anni, sul quale pubblico le mie note critiche riguardanti autori classici e contemporanei. Per quanto concerne il mio libro, io e l’editore, di comune accordo, ci siamo limitati, per il momento, ad inviarlo a qualche critico e a qualche sito che si occupa di letteratura.

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché?

Naturalmente non posso citare un brano perché il mio è un libro di aforismi, quindi ne riporto soltanto alcuni, che trattano argomenti diversi, ma in qualche modo legati tra loro. Eccoli:

“L’infanzia non ritorna, eppure qualcosa di essa ci segna per tutta la vita, resta dentro di noi come un’ombra nell’ombra.”

“Viviamo tutti in una zona di confine, un luogo provvisorio ed incerto, dove nulla è ben definito e i nostri corpi, i nostri volti si cercano nella penombra.”

“Quale bellezza è scomparsa? Di quale bellezza abbiamo nostalgia? Noi corriamo da una parte all’altra del mondo senza trovare mai ciò che veramente sarebbe per noi appagante. Siamo abbagliati da falsi splendori.”

“Le parole che abbiamo scritto scompaiono, ritornano, spariscono di nuovo. Sono lontane. Sono sole. Sono senza di noi.”

“Oggi non vogliamo vedere lo scandalo della povertà, non vogliamo sapere la sua storia perché ne abbiamo paura.”

“Il silenzio e la lontananza di Dio, nelle ultime parole di Cristo sulla croce: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’. Per un momento Cristo è davvero solo. È l’Ultimo, l’Abbandonato, e la sua croce è avvolta dalle tenebre e dal silenzio.”

“Al punto in cui siamo, non sappiamo nemmeno chi o che cosa abbiamo abbandonato, o da chi o che cosa abbiamo abbandonato.”

“Un’opera d’arte non dovrebbe essere mai innocua.”

“La nostalgia di un sogno, ecco che cosa resta, un segreto impronunciabile, come un debole lume che trema nella notte.”

“Chi raccoglierà le parole abbandonate della poesia, questi strani doni tra la vita e la morte, questi singhiozzi solitari? Le parole aspettano nell’ombra, escono dalle loro tombe di carta, vogliono risorgere per un po’, sconfinare, prima di sparire per sempre nell’oblio.”

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Spero che la mia opera venga letta con attenzione e adeguatamente recensita.

  1. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

La domanda che mi porrei sarebbe: che cosa provi a rileggere questi tuoi aforismi scritti in un periodo di tempo così lungo? La risposta: la stessa sensazione che potrebbe provare un fantasma nel rivisitare i luoghi in cui è vissuto. Ogni scrittore, in fondo, è sempre postumo a sé stesso.

  1. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Al momento non ho progetti precisi. Finora ho pubblicato una decina di libri e a volte mi sembra di avere esaurito le mie risorse. Forse proprio per questo adesso mi è venuta l’idea di un libro diverso dai precedenti, dedicato al cinema western, verso cui nutro una passione fin da quando ero ragazzo.

Mauro Germani

Mauro Germani

Mauro Germani è nato a Milano nel 1954. Nel 1988 ha fondato la rivista “Margo”, che ha diretto fino al 1992. Ha pubblicato saggi, poesie e recensioni su numerose riviste, tra le quali “Anterem”, “La clessidra”, “Atelier”, “Poesia”, “QuiLibri”. È autore di alcuni libri di narrativa e di diverse raccolte poetiche: l’ultima in ordine di tempo è Voce interrotta (Italic Pequod, 2016), preceduta da Terra estrema (L’arcolaio, 2011), Livorno (L’arcolaio 2008; ristampa 2013) e Luce del volto (Campanotto, 2002). In ambito critico ha curato il volume L’attesa e l’ignoto. L’opera multiforme di Dino Buzzati (L’arcolaio, 2012). Nel 2013 ha pubblicato Giorgio Gaber. Il teatro del pensiero (Zona) e nel 2014 Margini della parola. Note di lettura su autori classici e contemporanei (La Vita Felice). La sua ultima pubblicazione è il libro di aforismi La parola e l’abbandono (L’arcolaio, 2019).