L’isola malinconica e remota in cui quella strana creatura
dava l’impressione di essere arroccata
non sembrava all’inizio concedere approdi.
Il breve ma intenso romanzo di Raffo, l’ultimo in ordine di tempo di una fortunata serie, fra gotico e noir, quando i due aspetti non s’intrecciano, è il diario del rapporto, poi trasformato in casto amore, dell’istitutrice Aurelia nella Villa La Protégée, per la piccola e anemica Marie-Belle, bisognosa di cure. Esso porta il seguente esergo tratto dalla Lettera di San Paolo agli Ebrei:
Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola,
senza saperlo hanno accolto degli angeli.
È vero ma può anche darsi che gli angeli rivelino gli aspetti inquietanti del loro camuffato antagonista, ciò in base alla differenza fra l’indefettibile e pura volontà del Signore di cui è veicolo e le umane debolezze. La signorina Aurelia, istitutrice di Marie-Belle, è sicuramente un angelo, ma solo finché il suo attaccamento protettivo alla ragazza non trova ostacoli, e a questo riguardo romanzi e fatti di cronaca nera con tanto di delitti lo testimoniano, prima con la lotta al fine di guadagnare l’oggetto causa del desiderio, poi per conservarlo contro ogni genere di opposizioni e rivalità. Nel primo capitolo che funge da prefazione al suo diario, Aurelia – la splendente, come significa il nome – scrive:
Le nostre vite mi paiono così strettamente intrecciate da costituire un’unica vita. Tutto ciò che è accaduto a Marie-Belle ha toccato di riflesso anche me. O sarebbe più corretto dire che è stato determinato da me, come in un gioco di ineluttabili corrispondenze? […] Ma c’è un’ombra dietro Marie-Belle, che la segue a ogni passo, eppure sembra avere una consistenza propria, un suo spessore autonomo benché inscindibile da lei. Sono io quell’ombra. Forse la storia che sto scrivendo è proprio questo: il diario di un’ombra.
Quest’ombra, incarnata dall’istitutrice, e dalla quale Marie-Belle Daumier tenterà a più riprese di sottrarsi, è la scia del fato che si annuncia appunto attraverso “ineluttabili corrispondenze” cioè con i segni interpretati da Aurelia come precognizioni degli ostacoli volti a intralciare la vita della ragazza. Uno di questi è rappresentato da Le Nain Bombard nel mazzo di carte divinatorie Bonne Aventure fornite di un Tableau résumé che definiremmo “roulette russa” cioè di un cerchio rotante, il quale si arresta su una determinata immagine, poi echeggiata, per analogia, nel mostro sogghignante in un dipinto di Fragonard e nello chauffeur. Il nano porta un sacco colmo di bastoni, simbolo numerico degli ostacoli nei quali potrebbe incappare Belle. Per cogliere meglio il tessuto delle perfide corrispondenze, occorre precisare che il mazzo, su cui Aurelia – prima di rubarlo – consulta il destino della sua protetta, si trova, assieme alla Bibbia, sul tavolino da notte della ragazza, cui appartiene, e questo indica già la fatale connessione fra le due. Siccome Il segreto è un romanzo del destino di cui non ci devono sfuggire segni, ricordiamo che Marie-Belle Daumier, nel film in cui ha la parte di una suora suicida, cantilena: «Non ero padrona del mio destino. Così doveva essere» e anche le sue recite allo specchio, lusinghiero paredro, quando sogna di fare l’attrice… E lì nel gelido riflusso, congelata, le mani al seno, i capelli lungosciolti, giace la mia bellezza, la bellezza di me. E intorno fiori… Oh Ofelia, Ofelia.
Ofelia, non per caso, è la folle suicida immersa nel ruscello tra i fiori, così ben rappresentata nel celebre dipinto di John Everett Millais. Questo mi lascia supporre che Marie-Belle, incontrata da Aurelia a Sanremo con la madre Madame Geneviève, abbia subito un magico innesto come accade in botanica, nel senso di innestare il ramo di una specie su un’altra al fine produrre certi frutti che con la prima non si potrebbe, in special modo se sterile. Di questa ragazza anemica, soggetta a narcolessia, sintomo di esigua vitalità, e in cura nella clinica di Ospedaletti, perciò bisognosa di una tutrice, dotata «di una discrezione, una riservatezza che aveva qualcosa di remoto, d’innaturale» (oggi la definiremmo tendenzialmente autistica) è evidente il disinteresse per gli altri: infatti, dalla panchina sulla Passeggiata Imperatrice, assorta nella lettura, non alza nemmeno la testa, fosse solo per dare un’occhiata alla donna che avrà tanto peso nella sua vita. L’aggettivo “remoto” che Raffo, poeta sensibilissimo ai suoni, penso abbia scelto per l’ombra lontanante delle due o, indica molto bene la riservatezza aristocratica e “innaturale” di Belle… ma quanto ordinarie sono alle volte le persone naturali! Narcolessia e astrazione dal mondo esterno, saranno poi favorite in segreto dall’uso degli alcolici, poi delle droghe nel periodo in cui, ormai trentenne, Belle farà l’attrice nel film Maison dangereuse (chiaramente opposto a La ville Protégée) per la Cherubino Film: nome angelico ma non per gli interessi di Aurelia, cui il bell’uomo appare minaccioso, come si vedrà. Assieme alla citazione della Bibbia (la ragazza ne ha una sul comodino) al benaugurante Protégée, a Paradiso, come suona il lusinghiero nome del battello, e alle radiose scritte sopra i due camini, tornano anche gli angeli, perché quando il padre di Marie-Belle, avvocato tedesco intento compilare la settimana enigmistica, chiede il significato in italiano di una parola, Aurelia risponde «angelo» o «arcangelo» secondo il numero delle lettere, e lui: Sie waren der Engel meines Leben “Voi siete stata l’angelo della mia vita” senza immaginarne anche quello della morte, perché pur devota al «servizio d’amore» costei non lo aiuterà di certo a vivere. Pur assecondando i propri esclusivi desideri, l’amorevole tutrice solleciterà la sua pupilla «ad aprirsi sui suoi rapporti coi compagni» ma tramite la doppia manovra di chi da una parte protegge e dall’altra isola. Protégée potrebbe appunto alludere alla cura fatale esercitata da Aurelia sulla ragazza, perché vittima lei stessa di una fantasticheria d’isolamento, le riesce spontaneo appoggiarsi all’altro per via narcisistica e prolungarvisi tramite una forma di empatia dominata dal sortilegio (produttore del senso di colpa ben indicato da Raffo) cioè dal timore preventivo di cosa il suo amore produrrà. Il dualismo – che nel romanzo è ora occultato, ora palese – si gioca fra i segni nefasti e gli oggetti dai caratteri apotropaici e morfinici donati alla ragazza: il ciondolo protettivo del terzo occhio e un pigiama col ricamo del fior di loto, portatore dell’oblio (se pensiamo ai lotofagi dell’Odissea anziché all’India) purché non si perda di vista l’ambivalenza che anche i simboli benevoli possono assumere laddove, improntati, a uno scopo, diventano strumentali.
Di questi affascinanti isolamenti, la letteratura è ricchissima: basti pensare ai racconti di Poe con Ligheia, Morella, Il ritratto ovale, Il tramonto della casa Usher e al celebre À rebours di Huysmans, tutti sottolineati da sfinitezza e idee di morte. Ciò perché certi esseri dotati di un’eccessiva sensibilità estetica (di cui Aurelia vive solo l’eco) e disgusto per la gente comune, non riescono a commerciare col mondo e avere compagni se non nella rarità dei propri oggetti, siano essi fiori, libri o persone. Qui, il cum panem, è solo quello vissuto con i propri simili impreziositi dal declino: tutto è già stato “nello splendore dell’antica luce” e il seguito è solo decadenza. Del resto l’«antica luce» si offre come tale – generalmente parlando – per effetto retroattivo, una volta distillata dalla memoria col solvente del principio di piacere… ma era proprio così radiosa? Nella clinica Villa Sorriso, dove è ricoverata, l’unica soddisfazione dell’ormai anziana Aurelia consiste nel puntare il cannocchiale, dono del giardiniere-animista Honoré, verso il maniero abbattuto e gli alberi di Villa Protégée, ora visibili (un tempo non li poteva scorgere dal promontorio della propria casa) perché è come se la forbice del lago si sia chiusa unendo le due parti dei rami, cioè la sua vita con quella della ragazza) e attendere che il destino si completi. Come? Con l’arrivo della sempre attesa Marie-Belle. Lo strumento ottico aiuta l’immemore (oggi, per certe dimenticanze in seguito a delitti, si userebbe l’inelegante termine di scotomizzazione) a ricostruite un vissuto di cui Marie-Belle detiene il segreto, cioè il romanzo come la sua stessa biografia. Proprio per questo il percorso di Raffo segue in parte la tecnica indiziaria dei romanzi gialli di cui è maestro: in parte perché Aurelia, criminale e detective nella stessa persona, deve ricostruire l’accaduto tramite l’anamnesi emersa con le sedute analitiche del dottor Boni. La nascita dell’amore a senso unico dell’istitutrice per la ragazza (lei, sfinge diafana dotata di un fascinoso riserbo, rimane costantemente enigmatica, e chissà se suo padre non si dedichi simbolicamente all’enigmistica per questo motivo?) è anche fondato sul suo desiderio di ragazza senza madre di poterlo essere per la “bambina” (vale però anche il rovescio, se si identifica con lei) che pur la possiede in Madame, come qui è generalmente chiamata, ma non per sentirsene figlia. Un tempo ebbe infatti modo di confessare alla signorina: «Maman non ama niente di ciò che io amo. Solo alla sua morte potrò essere felice». Del resto, l’automa di Madame (lei si diletta a costruire bambole anche parlanti) canticchiava:
Je te plumerai la tête
et les yeux et le bec
et le dos et les ailes,
Alouette, alouette!
Canzonetta rivolta alla figlia o alla tutrice? Dal diario si sa che in una poupée di Madame Aurelia allucina Marie-Belle stesa su una barella, poi di nuovo libera, mentre si sentono le note:
Now we are one
I’m not afraid
Di cosa si tratta in quest’opera (in cui, come già in La voce della pietra, non mancano i richiami a castelli, mobili, pianoforti, stoffe, abiti, fiori e profumi che rievocano una trascorsa eleganza) si arguisce dalla poetica dell’autore incentrata sul rilkiano e walseriano amore intransitivo o amour de lohn, come nell’occitano Joffré Rudel, principe di Blaia, perché Marie-Belle, pur presente, resta di fatto remota e inafferrabile. Da Il segreto, il lettore non deve quindi attendersi scene erotiche, non per la mancanza di eros (il quale, nel bene e nel mare circola ovunque) ma perché qui Raffo mette in luce il disinteresse di Aurelia e Marie-Belle nei riguardi degli uomini, senza precisare se siano delle gomorrite refoulée: ne allude solo il canzonatorio aiutante di Cherubino, avvinto ai pregiudizi, perché si può respingere la natura senza per forza abitare l’isola, come si diceva ai tempi di Liane de Pougy. La pallida e misteriosa Belle, teutonicamente ordinata, sterile come le eroine di Poe e cultrice della propria bellezza boreale, emana il fascino di una diversità difficilmente interpretabile: giunge da un serto di nubi o nasconde qualcosa di orrendo? I due aspetti sono probabilmente intrecciati. D’altra parte, se Marie-Belle fosse una suora tutta preci, non interesserebbe a Silvio Raffo.
Silvio Aman (continua)
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