Prosegue il racconto dei giorni vissuti al tempo del coronavirus. Un’iniziativa del blog proposta qui. In calce a quel post di presentazione i link agli altri post delle cronache incoronate precedenti. Hanno raccolto l’invito a contribuire con proprie cronache Anna Maria Bonfiglio e Deborah Mega. Il loro racconto è pubblicato qui a seguire.
Vi ricordo che chiunque può proporre al blog Limina mundi (liminamundi@gmail.com) il proprio vissuto di questi giorni di epidemia e contenimento. Il turbamento, lo stravolgimento, il dolore ma anche lo spirito di resistenza, di reazione, e, talvolta il sorriso, nonostante tutto. Un modo per stare vicini, per allontanare la paura, per esorcizzarla.
CRONACHE INCORONATE
CONSIDERAZIONI AL TEMPO DEL CORONAVIRUS DI DEBORAH MEGA
Sembra di rivivere i tempi del diluvio in attesa di lanciare la colomba che non torni ad indicare che la Terra è divenuta nuovamente vivibile. Attraversiamo un momento di panico e di grande difficoltà a causa del dilagare di un virus di origine sconosciuta. Ha un nome regale, Coronavirus, che fa pensare a monarchi e regine dai vestiti sontuosi, ma che abbatte, in modo terribile e a volte irrimediabile, fisici e coscienze. Non ho mai vissuto un evento simile, i miei mi hanno sempre raccontato della Spagnola, un’altra pandemia influenzale responsabile di elevata mortalità che, dopo la grande guerra, tra il 1918 e il 1920, uccise decine di milioni di persone in tutto il mondo. E ora, anche noi, per non farci mancare niente, stiamo conoscendo un’influenza fortemente infettiva ma democratica, talmente potente da uccidere e, nel migliore dei casi, da cambiare le nostre abitudini di vita. Quando una persona infetta starnutisce o tossisce, una miriade di particelle virali potrebbero diffondersi nelle vicinanze. Ecco dunque la necessità di mantenere la distanza di sicurezza e di evitare il contagio restando in casa, fra le mura domestiche di cui tra poco assumeremo il colore. Non dovremmo neanche lamentarci perché non siamo in trincea, abbiamo tempo e cibo a volontà, libri che non abbiamo mai il tempo di leggere, abbiamo internet, piattaforme di didattica a distanza per dimostrare che, oltre a tutto il resto, siamo anche docenti tecnologici. Ma c’è uno strumento che è diventato più necessario di qualsiasi altro: la mascherina. Mi viene in mente la coppia Sordi/Vitti in Polvere di stelle quando si esibivano nella loro canzone d’avanspettacolo Ma ‘ndo vai se la banana non ce l’hai! Il nostro attuale oggetto di culto è diventata la famigerata mascherina, divenuta più necessaria del pane e del profilattico, uno dei dispositivi di protezione individuale su cui c’è anche chi specula, approfittando del momento di panico generalizzato. Mentre ci aggiriamo come zombie, da una camera all’altra, l’incertezza è divenuta una condanna mentre la noia, di questi tempi, è la cosa migliore che ci possa accadere. Attendiamo che si esauriscano i giorni della quarantena e potremo tornare ad abbracciarci con affetto sincero o con ipocrisia neanche troppo celata, passerà questo momento e torneremo ad inquinare ambiente e rapporti con la solita bastarda indifferenza. Andrà tutto bene. #andràtuttobene
CRONACHE INCORONATE
IL RACCONTO DI ANNA MARIA BONFIGLIO
Il giorno che presi coscienza del fatto che Covid19 aveva raggiunto l’Italia fui presa da uno di quegli stati di ansia che mi assalgono quando mi accade qualcosa che non posso controllare. Era un sabato e la televisione mandava le immagini di una gran folla di gente che lasciava la Lombardia per scendere verso il sud. Andai a letto agitata e nel mezzo della notte mi svegliai con il respiro che mi stringeva il petto: cosa ci aspettava, cosa “mi” aspettava, ero sola, se fossi stata male chi mi avrebbe aiutato dal momento che nessuno poteva raggiungermi? Provai a praticare per qualche momento una sorta di training autogeno e a poco a poco l’ansia si acquietò e potei riaddormentarmi. Al mattino mi svegliai con la preoccupazione di trovare un modo di organizzarmi per poter sopperire a tutte le necessità della vita di ogni giorno. Avvolsi una sciarpa attorno al collo e mi diressi in quella specie di bazar situato vicino casa per procurarmi il gel disinfettante per le mani, i prodotti igienizzanti per la casa, i guanti e le mascherine. Adesso si presentava il problema della mia collaboratrice domestica: avrebbe potuto e voluto continuare a venire? Ed io ero sicura di volerlo? Non ne ero sicura ma ne avevo bisogno, e il dubbio mi tormentava. Il giorno dopo Patrizia si presentò come ogni martedì ed io, confesso, mi sentii sollevata, igienizzò tutto e mi assicurò che lo stesso aveva fatto a casa sua e nella sua auto. Dieci anni di collaborazione mi davano fiducia nella sua correttezza e dunque il primo passo verso una pianificazione del nuovo corso di vita era fatto. Adesso bisognava pensare all’approvvigionamento delle derrate alimentari. Il mio supermercato di riferimento per due giorni fu telefonicamente irraggiungibile, dopo tentativi multipli riuscii a contattare la responsabile, con la quale avevo da tempo ottimi rapporti, e con lei stabilimmo le modalità per poterci mettere in comunicazione e farmi consegnare la spesa a domicilio. Sopraggiungeva ora il problema di accogliere adeguatamente il rider; mascherina io e mascherina lui, guanti io e guanti lui, pos per la carta bancomat, sacchetti sulla soglia di casa e amen, era andata. Non so in grazia di che cosa, ma dopo quel momento ebbi la sensazione che si fosse squarciato un velo e che finalmente potessi vedere la limpidezza del cielo. Quello che mi accadde però fu di cancellare dalle mie abitudini la cura del mio aspetto esteriore: abituata a vestirmi convenientemente e a truccarmi anche se restavo in casa, mi ritrovavo senza alcuna voglia di perpetuare le mie abitudini, anzi evitavo lo specchio e mi sentivo carica di tutti i miei anni come non mi era fino a quel momento successo. Non leggevo, non scrivevo, rifuggivo tutta la retorica mediatica e naturalmente non vedevo nessuno, essendo i miei familiari residenti in altre città e alcuni proprio in Lombardia, cosa che mi inquietava parecchio. Così passarono sei settimane e mezzo.
Il 5 aprile, Domenica delle Palme, seguii in tv la celebrazione della Messa a San Pietro, vidi la stanchezza e la tristezza nello sguardo spento del Papa, e la desolazione di una cerimonia che improvvisamente cancellava gli sfarzi e le folle. Eppure Francesco era lì e ci parlava, mestamente, dolorosamente, stava nella sua parte. Pensai che era quello che dovevamo fare tutti e decisi che dovevo sterzare, lasciare la trazzera che avevo infilato e rimettermi sulla carreggiata principale. La mattina dopo mi lavai e mi acconciai i capelli, mi truccai e indossai un maglione rosso granato, poi accesi il cellulare e registrai un video: “Oggi ho deciso di dare una svolta alle mie giornate”. In quel momento realizzai che avevo vissuto un “lutto”, la perdita di qualcosa di immateriale a cui non sapevo attribuire un nome e, per l’ennesima volta nel difficile cammino della mia vita, sperimentai le risorse inimmaginabili dell’essere umano, creatura camaleontesca che riesce a trovare la pelle giusta per adattarsi e sopravvivere.
Ce la faremo.
Siracusa 29 marzo 2020
CRONACHE INCORONATE
LE VIDEOCHIAMATE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS DI LOREDANA SEMANTICA
Ieri mentre pulivo il viale che attraversa il giardino (più viale che giardino) arriva una chiamata. Al rientro mi avvisa mio figlio (nonricordoqualedeidue) “Mentre eri fuori ha squillato due volte il telefono” ed io “Ma perché non mi avete chiamato?”. Controllo la rubrica e vedo che il chiamante è un mio collega pensionato che conosco da una vita. Gli mando un messaggio WhatsApp “Come stai Gaetano? Noi qui tutti bene”. Avevo appena finito di scrivere il messaggio che arriva una sua videochiamata. Rispondo e lo vedo sullo schermo. “Ciao, Gaetano, come va?” E lui ” Ciao, ma perché prima non hai risposto?” Ora c’è da dire che io e il collega ci stimiamo a vicenda, io in particolare apprezzo di lui la franchezza, ma non c’è poi tutta questa gran frequenza e credo di essere libera di farmi la doccia, non sentire lo squillo, avere letteralmente le mani in pasta o stare in giardino a spazzare il viale, senza per questo dover dar conto a chi mi chiama al cellulare. Credo. Ma Gaetano è così, se ha da farti una domanda che per risposta meriterebbe “ma sono pure fatti miei!” te la fa. Ovviamente gli rispondo con la verità. Io sono mite e i miti rispondono sempre. Così, mi sembra, il grande Dostoievskij. Gaetano mi dice “Ma non ti vedo, è tutto buio” ed io “Sì, sono in camera mia a luce spenta. Aspetta va che l’accendo” Accendo la luce e mi vedo anch’io nello schermo in un quadratino più piccolo sovrapposto all’immagine di Gaetano. Lui sorride. Io ho i capelli inguardabili, ma la luce dell’abat jour camuffa bene la cosa. Segue normale conversazione di questi tempi assurdi di unità e calamità. La videochiamata mi fa pensare che è un secolo che non vedo sorelle e mamma. Appena chiudo con Gaetano, via WhatsApp, coinvolgo tutte in una chiamata via skype per le 15 di oggi. E la chiamata si svolge. Possiamo vederci un po’ in faccia, raccontarci questi giorni strani, come ci siamo organizzati, che stiamo facendo un po’ tutti in famiglia. Mia mamma girovaga nella stanza da pranzo da dove è collegata la mia sorella minore. Ogni tanto infila la testa dentro al pc, non credo veda granché, non credo abbia capito molto, ma almeno l’ho vista. E così pure le mie sorelle. Cioè loro hanno capito, ma così le ho viste. Oggi appena prima di accingermi a mettere giù questa cronaca, ho pensato che, passata questa epidemia, delle persone insopportabili diremo “Mih è peggio del coronavirus!”. Lo so non c’entra niente con tutto il resto, ma volevo dirlo per prima, come se fossimo già oltre…
Tutto andrà bene.