Ancora qualche racconto dei giorni vissuti al tempo del coronavirus. Un’iniziativa del blog proposta qui. In calce a quel post di presentazione i link agli altri post delle cronache incoronate precedenti.
Oggi vi propongo le mie ultime tre cronache. Nella prima racconto la mia prima uscita dopo il grande isolamento. Un’uscita per esigenze di lavoro avvenuta oltre un mese fa. Nelle altre parlo di statistiche e del loro fascino, di pasta ripiena e non solo.
Oggi, conclusa la fase 2 della riapertura, siamo prossimi alla fase 3 di uscita dall’isolamento. Il 18 maggio, lunedì prossimo avverrà la ripresa delle attività in sicurezza e delle uscite libere, per quanto ancora limitate territorialmente. Forse la paura sta passando. Forse abbiamo imparato a fronteggiare il minuscolo mostro. Non è un caso che le cronache incoronate si chiudano con il racconto di questa prima uscita che è la testimonianza del senso di responsabilità di tutti i cittadini nel seguire le raccomandazioni del Governo. Con una cronaca che parla di statistiche, il cruscotto governativo che orienta e ha orientato le scelte governative. E infine con l’ultima cronaca che esprime l’importanza dell’essenziale. Spero che tutti abbiamo tratto insegnamento da quest’esperienza. Che abbiamo imparato anche, tra l’altro, quanto sia preferibile la solidarietà alle chiusure, la generosità agli egoismi, di quanto poco servano gli applausi, la superbia, la pomposità, l’apparenza, di quanto invece contino la nobiltà del coraggio, la forza che dà il senso del dovere, la concordia e compattezza nelle condotte, tali da diventare l’unità sorprendente di un popolo, che popolo maggiormente ci rende.
Di certo l’esperienza ci ha messo di fronte alla nostra fragilità e alle battaglie accomunanti della vita e della morte. Queste ultime quanto mai tetre e annichilenti. Penso che abbiamo pagato un tributo alto di decessi a questa pandemia, alcuni erano miei conoscenti, reali e virtuali. Penso che basti così. Che sia vero il detto tutto nostro siculo “niuro cu more” letteralmente “nero chi muore”, per dire “a contrariis verbis” che i vivi vanno avanti. Siamo alla ricerca dello scatto d’orgoglio, dell’inventiva, della determinazione e ancora e sempre di tanta forza e operosità. Mi auguro che questo sia un addio alle cronache incoronate, non un arrivederci.
CRONACHE INCORONATE
Siracusa, 8 aprile 2020
CRONACHE INCORONATE
LE USCITE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS
È dal 17 marzo che non esco. Escluse un’incursione nel giardino, una nel cortile, una fino al cassonetto dei rifiuti. Con un’autocertificazione ultimo modello non compilata e l’autorizzazione del Boss, parto, inforcando l’auto. Da quella data è la prima volta che sono in strada e vedo gente. Certo che la situazione è davvero diversa. La percentuale di persone con la mascherina è del 90%, venti giorni fa del 10%. Sono stupefatta di vedere i miei concittadini in fila, distanziati di oltre un metro l’uno dall’altro, in attesa davanti al fruttivendolo, alla banca, all’Ufficio postale. Hanno tutti recepito le regole. Probabilmente anche meglio che altrove, visto che, se dovessero ammalarsi, se la vedrebbero “pietre pietre” ben più che altrove. Qui infatti, quanto ad assistenza sanitaria, non si conosce il significato della parola eccellenza. Anche la semplice efficenza ed efficacia latitano. È per questo che i Siracusani pensano bene di applicare un altro detto idiomatico ” chi si guardò, si salvò”. E infatti si guardano bene da contagiarsi l’un l’altro. Arrivo al mio Ufficio e, prima di scendere, mi bardo. Guanti in nitrile e mascherina. La mascherina è in tessuto. L’ho fatta io. Mi calza perfettamente. Per potenziarne l’efficacia, ho inserito all’interno un quadratino di carta forno. Scendo dall’auto, mi infilo la giacca, entro in Ufficio. Incontro in tutto tre persone, nessuna di loro mi si avvicina. Tutti a debita distanza. Salgo nella mia stanza e realizzo che la respirazione con la mascherina non può accelerare. Bisogna mantenersi calmi e non sudare. Affannarsi vuol dire respirare male. In ogni caso l’appannarsi degli occhiali è inevitabile. Si guarda il mondo storcendo il collo come galline, attraverso uno spiraglio sottile del vetro, che si opacizza a stantuffo ad ogni respiro. Spruzzo qui e lì l’alcool misto a poca acqua, che mi porto appresso in una boccetta da eau fraiche oblunga con tappo spry. Operazione probabilmente non necessaria, visto che i locali sono stati sanificati appena un paio di giorni fa. Sbrigo l’essenziale. Circa due ore di lavoro. Torno al porto sicuro della mia auto. Nuovo rito di svestizione. Spruzzo l’alcool sui guanti. Mi tolgo la mascherina prendendola dagli anelli dietro le orecchie. Infilo guanti e mascherina in una bustina. Spruzzo alcool sul volante, sul cellulare, sulle chiavi, sul badge. Metto in moto e parto. Arrivo a casa. Missione compiuta. C’è un bellissimo sole, servirà a sanificare il giubbotto.
Tutto andrà bene.
CRONACHE INCORONATE
Siracusa 19 aprile 2020
LA PASTA RIPIENA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS
È di moda coccolarsi col cibo. Oggi si usa una terminologia esterofila intuitiva: comfort food, che non è solo il brodino quando c’è freddo, ma anche la pizza, il pane, dolci vari e la pasta fatta in casa. Nel senso di fare cose buone da mangiare che consolano, visto che siamo reclusi d’imperio per la salvaguardia dal contagio e di tempo a disposizione ce n’è. Oggi mi sono cimentata coi ravioloni ripieni di spinaci e ricotta. Saranno vent’anni che non ne preparo. La ricetta è semplicissima. La lavorazione un po’ lunga. Stendere la pasta l’operazione piu noiosa. Mentre ero intenta alla lavorazione si alza dal letto il figlio minore. “Che stai pasticciando, mamma?” Ed io ” Sto facendo i ravioli ricotta e spinaci” risponde “Ahhh…” e resta un po’ a guardare. Poi mi aiuta a cercare un attrezzo che faccia da coppapasta, del quale non dispongo. La scelta cade su una tazzona da colazione che ha la misura giusta per ricavare i cerchi di pasta belli grandi. Il figlio minore si allontana. Arriva il maggiore, più brutalmente dice ” Che schifezzina stai preparando, mamma?” Ed io ” I ravioloni ricotta e spinaci”, risponde ” Ah sì, vero, vero. Avevi detto ieri che li avresti fatti”. Io proseguo la preparazione e loro ronzano intorno. Sorvegliano la progressione. Percepisco una certa curiosità. Mi torna in mente quando cinque o sei anni fa, tirai fuori gli aghi da lana e cominciai a sfornare sciarpe, cappelli, poncho, maglioni. Li lasciai esterrefatti di questa mia capacità. Al punto che me lo dissero apertamente. “Non ti avevamo mai vista lavorare la lana, non sapevamo lo sapessi fare”. Le mamme non finiscono mai di stupire. Poi li sento che parlano tra loro, il grande dice al minore ” Ma sì sarà come le pizze, prima s’impratichisce, poi le verranno sempre più buone”. Allora mi tocca intervenire. “Guardate ragazzi, io la pasta la so fare da quando ero ragazza, verrà buona sin dalla prima volta. Siete voi che non me l’avete mai vista fare”. In effetti a casa di mia mamma la si faceva spesso nei giorni di festa. Poi, una volta sposata e con i figli, ho sempre rinviato certe preparazioni, per troppo lavoro, per stanchezza, perché ero una donna in carriera, perché dovevo scrivere l’ultima poesia…Questo tempo strano recupera mie abilità vintage, se così posso dire, di arti apprese e messe da parte. Sono certa saprei fare anche il pane. Una bella pagnotta fragrante. Prima di dare il primo taglio, come faceva mia nonna, traccerei una croce sulla sua superficie ringraziando Dio di avere “il pane quotidiano”. Tenendo sempre a mente l’importanza delle cose semplici. La grazia di disporre dell’essenziale.
CRONACHE INCORONATE
Siracusa 22 aprile 2020
LE STATISTICHE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS
Le statistiche sembrano una cosa facile, raccogli un po’ di numeri li metti su una tabella, ci metti una bella descrizione, li aggreghi, li rappresenti con una bella curva, un diagramma a torta o a colonne e il gioco è fatto. Col cavolo. Non è niente affatto così. Per prima cosa devi sapere dove vuoi arrivare con quelle statistiche. Voglio dire che le statistiche misurano qualcosa ma sono uno strumento, un cruscotto, ti dicono dove spingere, dove rallentare, se c’è un anello debole. I numeri cioè devono essere raccolti in modo che dopo, più o meno aggregati, secondo l’ambito di osservazione, ti possano “parlare”. Ti devono poter fare l’occhiolino. Spalancarti un mondo. E tu puoi trovarvi una chiave di lettura, una prospettiva, una nuova angolazione, persino una soluzione. L’indirizzo verso cui dirigere la futura azione. I numeri hanno il loro fascino, si “mostrano” se si sanno leggere, se ancor prima si sanno raccogliere gli specifici dati, se questi sono sufficientemente definiti, attendibili e adeguatamente mirati. Per svariati anni mi sono occupata di numeri, un po’ di contabilità, un naufragio da controller. Soprattutto mi piacevano le statistiche. La prima cosa da capire è capire con le parole e la logica che cosa misurano i numeri e non tutti sono abbastanza…diciamo attenti o interessati da capire cosa stanno misurando quei numeri. Perché se non lo capisci bene non puoi neanche costruire ulteriori confronti e relazioni. Al tempo del coronavirus, conoscendo questa mia inclinazione, ho cominciato a provare fastidio leggendo gli articoli dei giornali che riferivano a modo loro i dati delle statistiche del contagio. Ho cercato di andare alla fonte. Dapprima ho trovato una testata che riportava i dati giorno per giorno con tabelle e grafici senza commenti, poi, resami conto che si trattava delle statistiche della protezione civile rielaborate, sono andata alla fonte. Questo il link. Il link in verità me l’ha passato mio figlio minore che a sua volta teneva d’occhio la statistica. Buon sangue non mente. Non so quanti altri italiani siano stati ad attendere ogni giorno la pubblicazione del “bollettino di guerra”. Alle 18,30 ogni giorno. Ritengo moltissimi. Tra questi certamente, con speciale sensibilità, Lorenzo Noto, un mio amico di Facebook che si è avvalso di excel per impostare tabelle di analisi, la più recente delle quali condivido più sotto. So però che è dal 17 marzo 2020 che prendo nota a mano (una scelta scaramantica, come se potessi possedere meglio ciò che scrivo di pugno) di 6 dati giornalieri, calcolo la differenza di questi con quelli del giorno precedente. E precisamente a livello nazionale: gli attuali contagiati, i guariti, i deceduti, il totale, il totale contagiati in Sicilia, quelli di Siracusa. Le statistiche hanno detto che non sono bastati 15 giorni di isolamento per vedere uno stop o inversione di tendenza. A quel punto ho capito che l’ultimo dei contagiati nell’ultimo giorno di circolazione, avrebbe potuto contagiare un altra o più persone, per quanto poi lui stesso e quelle altre subito dopo fossero confinate in casa. In sintesi non bastavano quindici giorni ne occorrevano di più. Così è stato, ma finalmente è avvenuto. Da ieri non più soltanto segni di frenata del contagio, ma l’inizio della decrescita. E’ chiaro che questo segno meno è una somma algebrica. Però i numeri dicono che finalmente l’inversione di tendenza sta avvenendo e ne scrivo perché il segno negativo nel dato di crescita del contagio per due giorni consecutivi fa davvero ben sperare che #tuttoandràbene. Brava Italia. Adesso però statti buona, non fare la solita garibaldina strafalciona. Finché non siamo a zerototale = nessuno più malato, o almeno fino al prossimo traguardo: zero nuovi contagi, ancora mascherina e amuchina.
p.s.A proposito l’avete fatta una donazione alla protezione civile. Avete aiutato chi ci aiuta?

La tabella excel dei contagi. E’ un’elaborazione di Lorenzo Noto dei dati della Protezione Civile
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.