
Piet Mondrian, Composition with large red plane, yellow, black, grey and blue (1921)
La poesia è anche incontro, una geometria di rette a volte parallele, altre volte perpendicolari. Similmente al quadro di Mondrian un reticolato vivo e riccamente colorato. Nell’ambito della rubrica Versi Trasversali, presentiamo la poesia di …
ALESSIO VAILATI
Mare
I.
Sull’increspata lamina che specchia
antica e viva di epoche e di millenni
una distesa a perdifiato di sabbia
(laggiù arroccano mani di bambini
ancora castelli in mura e fortilizi)
gli occhi stanchi troveranno mai pace
dai riflessi, dagli echi imperscrutabili
delle nostre travisate identità?
II.
Non che il pensiero si faccia più saldo
nell’ondeggiare della correntia,
non che perdoni al moto il suo vagare
il panta rei, il vortice, la spirale
di lemmi, di radici, del suo tempo
fino a quando in un mattino di cristallo
il suo fondo scenderà a impietrire
preso nel folto l’occhio di Medusa.
III.
È questa brezza marina che figlia
l’assiduo frusciare del mare, il brusio
della vita nascente, il bisbiglio
vestibolo dei giorni più chiassosi,
di spazi dilatati, spalancati
da un fortissimo accecante bagliore.
E con il tempo è un giorno già lontano
nella vita indolente naufragata
in un’oscura nuvolaglia urbana,
il tuo sguardo che rifugge e va
nella visione estatica dell’acqua.
IV.
Dentro un’arena chiusa in gradinate
spiccano spoglie file digradanti
verso sud, nel mezzogiorno marino.
Ma se vi è tregua è proprio quell’istante
di smemoratezza estiva che acqueta
l’espansione instancabile dell’acqua.
Poi ogni ombra si fa incunabolo
e vi si getta il tarlo a germinare
da indulgenti tepori di scogliere
il dubbio che non siamo mare e sabbia
e il cielo instabile altro non sia
che uno specchio per le allodole.
Città fantasma
I.
Non hanno varchi o limiti le braccia
robuste del tempo, appena accennate
fra mura scalcinate nella traccia
d’antiche torri o chiese diroccate.
Poco più in alto un volo di rapace
ghermirà dalle rovine uno spettro,
il brandello di vita che resiste
con fatica all’erosione, il vessillo
scagliato contro il nemico più crudele.
II.
Se il vento è uno schiudersi d’occhi accesi
sulle lotte di sempre, sugli arresi
fortilizi che declinano a sera,
se è vero che in te ogni cosa s’avvera
–e già è tuo quel soffio che ci tiene
quasi sospesi e vivi in un prodigio–
allora mostra, sorto dal fastigio
delle città, il tuo volto nella cenere.
III.
Era un clangore a levarsi dai tetti
non già quel roco vociar d’ubriachi;
era un tragitto per fossi, per stretti
vicoli in cui perdersi.
Ma a chi
parlasti, a chi il tuo indice segnò
la via di fuga verso una salvezza?
IV.
Disilluso –ma ancora non ghermito–
tuttora spero, come e quanto può
sperare un uomo. E poi, di sopra, il vento
rinserra con veemenza le sue porte,
si arresta inesorabilmente: è fermo.
Il gorgo non sostiene più il suo moto.
Si placa dal dirupo il flusso, il tempo
sospeso si ripiega dentro il vuoto.
*
Declinava il Sole
Declinava il sole e la luce lentamente diradava. La sera ormai si gettava per le piazze, si appropriava di strade e vicoli, indugiava sui palazzi. L’uomo si volse rassicurato dal pensiero che la notte è soltanto un attimo, che ogni cosa gettata davanti alla luce genera necessariamente un’ombra.
“Ecco proprio di questo parliamo, della luce” disse all’improvviso indicando il disco luminoso arrossarsi dietro il filo dell’orizzonte.
“Cos’è per te quell’ombra?” rispose appena indietro una voce più sommessa e rise.
“Ah un’ombra, una penombra… mai una tenebra! La proiezione degli oggetti su uno sfondo… gli oggetti, come vedi, assorbono, riflettono, si fanno attraversare dalla luce. Ma non andiamo troppo nello specifico, non è questo il punto”.
“Lo immaginavo”, rispose l’altra voce. “Il problema è la cecità dello sguardo?”
“Ah lo sguardo… quella cosa che sbatte necessariamente sugli oggetti, sulle ombre incise nello sfondo. Guardiamo oltre, guardiamo alla luce che definisce – più o meno nitidamente – i contorni, che crea forme e colori dentro i nostri occhi. Di fuori c’è una babele di oggetti, di linguaggi, un labirinto di informazioni e affermazioni che confondono la nostra limitata e distratta intelligenza.
Risaliamo il fiume goccia a goccia, corpo dopo corpo, ombra dopo ombra fino all’impronta di quella sorgente pura, primigenia in cui tutto si riduce all’unità”. E poi ancora: “L’unità è come la vista dalla cima di una montagna. È la visione ampia che spinge nella dilatazione estrema il tempo fino al suo totale annullamento. È la visione complessiva che si allarga verso l’infinito, abbattendo le limitazioni dello spazio fisico, fino a renderle indifferente la materia… Lì si coglie la Verità, il principio ordinatore, il senso ultimo e più profondo delle cose, la formula che annichilisce ogni possibilità di inganno”.
*
Portovenere
Si erge una chiostra di mura sopra l’acqua
e a picco vi strapiombano falesie
dove sbatte e frange con fragore l’onda
e in mille spruzzi la sua voce il mare.
È già ricordo il borgo dal dirupo,
di sguincio incappa la vista su Palmaria
dall’altezza della chiesa di san Pietro.
Ma non v’è traccia nel flusso dell’aria
di questo mite inverno; non v’è parola
che contenga o che appena ravvicini
i lembi di una vita lacerata.
Ma poi di te
I.
Ma poi di te che cosa sa il ricordo
se non parole in nebbie di paesaggi
con il passato che in nuove radici
si rigenera quando le reinventa
come una specie di rassegnazione.
E so che queste cose ognuno sa
e dimentica. Il mare si confonde
in fondo al cielo chiaro nello sguardo
–così alto, così profondo– di Dio.
II.
Se aneli ad altro, tu per altro cosa
intendi, con il pensiero ondivago
nell’età che trascolorando muta?
Se vai oltre le dense nebbie, oltre
il dubbio che tiene la vita desta,
dimmi: tu chiamerai il mio nome ancora?
***
È sera sempre qui se con lo sguardo
ti fermi sotto il cielo delle venti
e intanto il traffico già si è rallentato
si è mitigato come l’aria quando
l’ombra offre ristoro alla canicola.
III.
Andrò forse in un mattino
l’animo dentro al mio cappotto,
i pugni stretti nelle tasche larghe,
gli occhi a terra, la luce a evitare;
andrò in un mattino svogliato al primo sole
negli angoli ciechi di una città dormiente
verso l’azzurrità del mare di silenzio
a colmare la distanza che risale il cielo.
Testi tratti da Alessio Vailati, Il moto perpetuo dell’acqua, Biblioteca dei Leoni, 2020.
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