Il giorno 8 ottobre del 1991 ci lasciava Natalia Ginzburg, scrittrice, drammaturga, editor della casa editrice Einaudi. A trent’anni dalla sua scomparsa vogliamo ricordarla con questa nota che ne testimonia la vita e l’opera.
NATALIA GINZBURG, LA SCRITTRICE DELLA SEMPLICITA’
Nell’ottobre del 1991 ci lasciava una delle maggiori scrittrici del secondo Novecento Italiano, Natalia Ginzburg, romanziera, autrice teatrale e saggista. Nata a Palermo nel 1916 e vissuta fin dall’infanzia a Torino, dove la famiglia si era trasferita, pubblicò il suo primo racconto, I bambini, sulla rivista Solaria a diciassette anni, ma ancor prima aveva scritto altro e primo fra tutti Un’assenza, pubblicato da Einaudi negli anni Trenta sulla rivista Letteratura.
Natalia Levi (questo il cognome del padre di origine ebrea) è l’ultima dei figli di Leone Levi, medico e insigne docente universitario, e di Lidia Tanzi, milanese di confessione cattolica, nella cui casa si radunano intellettuali, scrittori e i politici avversari del fascismo; e come antifascisti Leone e i suoi figli maschi sono nel mirino del regime e arrivano a provare anche la prigione. La giovane segue privatamente le classi elementari, frequenta il liceo ma, iscrittasi all’Università, non arriverà mai a laurearsi. Nel 1938 sposa Leone Ginzburg, docente universitario di origine russa e geniale autore di saggi e traduzioni. A causa della sua origine ebrea e del suo antifascismo egli viene perseguitato fino ad essere inviato al confino in un paese dell’Abruzzo dove lo raggiunge la moglie Natalia con i due figli, Carlo e Andrea, ai quali si aggiungerà dopo poco tempo l’ultima nata, Alessandra. E’ là che la Ginzburg scrive il suo primo romanzo, La strada che va in città, che però firma con lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte e che Giulio Einaudi pubblicherà nel 1942. Nel 1944, dopo vari arresti e rilasci, Leone Ginzburg muore a Regina Coeli sotto le torture fasciste. Tornata a Torino Ginzburg lavora per la casa editrice Einaudi dove incontra e segue nei suoi primi passi Italo Calvino; nel 1947 pubblica il suo secondo romanzo, E’ stato così, al quale viene assegnato il premio “Tempo”. Nel 1950 sposa in seconde nozze il saggista e studioso di letteratura inglese Gabriele Baldini, direttore dell’istituto Italiano di Cultura di Londra, dal quale avrà due figli, Susanna, nata nel 1954 con un grave handicap, e Antonio, nato il 6 gennaio del ’59 e morto appena un anno dopo. A Londra, dove ha raggiunto il marito, scrive Le voci della sera. Con il romanzo Lessico famigliare, fra i suoi forse il più ricordato, vince l’edizione del 1963 del premio “Strega”. Una storia di famiglia e non un’autobiografia, come lei stessa precisa nell’avvertenza che precede la narrazione, perché non è di se stessa che l’autrice racconta, ma delle persone che costituiscono il nucleo familiare, padre, madre, fratelli, e di quelle che attorno a quest’ambito gravitano: personaggi del mondo della cultura, della vita politica e sociale, di quella letteraria e universitaria, un universo umano che si raccorda tanto con la Storia quanto con la vita individuale e privata di quelli che lo costituiscono. Lessico famigliare ricostruisce le vicende dei Levi in un arco di tempo che va dagli anni Trenta agli anni Cinquanta raccontate attraverso la riproduzione del linguaggio che si parlava nella famiglia: quello dell’iroso padre Giuseppe, burbero ma amorevole, della madre Lidia, ilare canterina, dei litigiosi fratelli. I motti, i modi di dire che si ripetono sempre uguali nella routine quotidiana evocano momenti ed esperienze, in un continuo gioco di richiami, e costituiscono un cifrario che permette ai componenti della famiglia di riconoscersi. “Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso” – annota l’autrice nell’avvertenza al testo -“Quando ci incontriamo, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti o distratti, ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte nella nostra infanzia”.
Nel 1969 Natalia Ginzburg rimane ancora una volta vedova. Durante gli anni ’70 inizia ad interessarsi attivamente di politica militando nelle file della sinistra indipendente, è anche un momento di fertile produzione letteraria, ai romanzi, ai saggi e agli articoli si aggiungono i testi teatrali, fra i quali Ti ho sposato per allegria, che viene rappresentato con rilevante successo. Nel 1983 pubblica La famiglia Manzoni, ricostruzione storico-familiare della stirpe dello scrittore, e contemporaneamente viene eletta al Parlamento come indipendente nelle liste del PCI. La scrittura della Ginzburg si distanzia da quella della generazione degli “impegnati”, essendo quello che scrive frutto della memoria e della fantasia che per istinto, e non per pratica programmata, si aggancia alla letteratura. La sua cosiddetta “semplicità”, il suo riferirsi all’esistenza con sguardo sereno, nonostante le dolorose vicissitudini, che produsse in Pavese una reazione di incredulità e di critica, è la risposta ad una letteratura manipolata e sperimentalistica, è l’analisi puntuale e discreta delle multiformi facce dell’esistenza e si connota per l’ironia, l’umanità ed il confronto con il vissuto. Natalia Ginzburg muore fra il 6 e il 7 ottobre del 1991, al suo funerale, che per scelta dei figli è officiato con il rito cattolico, partecipa commosso il mondo della letteratura, dell’arte e del cinema.
Anna Maria Bonfiglio
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