Il racconto “Il ladro Luca” è tratto dalla raccolta L’amante fedele di Massimo Bontempelli, pubblicata nel 1953 e vincitrice del Premio Strega nello stesso anno. Il protagonista è un ladro professionista che ha appena svaligiato un appartamento. La sua identità di ladro viene sottolineata più volte a partire dallo stesso titolo. Dopo il furto si siede a riposare sul tetto pregustando la meraviglia dei compagni e, probabilmente, un elogio del suo Capo per la ricchezza del bottino. Quando sta per allontanarsi si sente osservato, volge lo sguardo e si imbatte nel poliziotto più abile e implacabile della città. L’agente lo minaccia, gli punta addosso la pistola intimandogli di tenere le mani in alto ma mentre sta per avvicinarsi a lui per tentare di arrestarlo perde l’equilibrio, non padroneggiando bene la tegola su cui si trova e precipita giù. Il ladro Luca prova sorpresa e gioia ed è convinto che l’agente sia precipitato, quando però osserva bene il punto in cui il grosso corpo è scomparso si accorge che l’uomo si sta reggendo all’orlo del cornicione. A quel punto in lui prevale l’istinto di soccorrerlo perché è un suo simile che si trova in pericolo di vita. Gli si avvicina e gli tende la mano, poi con uno strattone riesce a metterlo in salvo. Il poliziotto a quel punto, di nuovo seduto sull’angolo del tetto, non riesce a guardarlo in viso e comincia a singhiozzare. Luca gli porge una sigaretta, che l’altro non riesce neppure a fumare, recupera la refurtiva e scende dal tetto. La sua semplicità d’animo, però, non gli permette di farsi domande su ciò che è bene e ciò che è male, dunque l’unica cosa a cui pensa alla fine dell’avventura, dopo tante emozioni contrastanti, è il ricco bottino che potrà ostentare di fronte alla banda di malavitosi che costituisce la sua famiglia. Il narratore è onnisciente, l’atmosfera del racconto è irreale e rarefatta, all’inizio il cielo è nuvoloso poi sempre più limpido e luminoso, evidenziando una certa corrispondenza tra il paesaggio notturno e lo stato d’animo del protagonista che compie un gesto di generosità e solidarietà nei confronti del poliziotto che lo voleva arrestare e dimostra che anche i delinquenti, a volte, possono dare prova di nobiltà d’animo.
*
Al ladro Luca, nella notte annuvolata, bastò la luce d’un quarto di luna e di poche stelle per scendere in una casa dall’abbaìno e farvi un bottino di prim’ordine. Ora ne riusciva con piena la sacca e l’animo contento. Alzò gli occhi un attimo al cielo che si stava sgombrando, poi guardò il tetto lentamente in giro. Tutto il mondo era in silenzio e vuoto, non c’era nel mondo altro che lui, Luca, su quel tetto vicino al cielo. Sentiva stanche le reni e il cuore in pace. Non c’è più da aver paura di niente. Fermata bene la cassa alle spalle, s’accomodò a sedere sopra le tegole, e, appoggiato un braccio alla parete dell’abbaìno, si concesse cinque minuti di riposo. Nessuno dei suoi compagni ha mai fatto un bottino tanto importante. L’abbaìno sorgeva al mezzo del vasto pendio di tegole che sale dall’orlo del tetto alla cresta. Luca, dall’abbaìno volgendosi verso l’alto, vedeva quella linea lunga del vertice tagliare il cielo; guardando avanti e intorno a sé, l’immensa distesa del pendìo fino all’altro lato del palazzo, rotta solo da un comignolo, in basso, quasi addosso al cornicione. La vista delle tegole lo riposava. Lui sa camminare sui tetti come un gatto. Pregustava la maraviglia dei suoi compagni (trine, seta, argenti) e forse un elogio del Capo. Il ladro Luca senza bisogno d’orologio misurava il tempo a perfezione. Quando i cinque minuti furono passati, Luca staccò il braccio dalla parete, tentò le cinghie della sacca, poggiò una mano a terra per darsi la spinta e mettersi in piedi. Ma, girando frattanto lo sguardo verso la cresta del tetto, agghiacciò. Da dietro quel vertice era spuntata una testa grossa e nera, due occhi lucidi traverso l’ombra lo saettarono, poi di colpo un uomo fu in piedi a sommo del tetto col braccio teso e la rivoltella puntata verso Luca, e nel silenzio sonò il suo comando:
– Mani in alto! –
Il ladro Luca alzò tremando le braccia.
– E fermo! – aggiunse costui. Senza gridare, le sue parole ferivano l’aria e arrivavano taglienti all’orecchio di Luca che sentiva il cuore battere in petto come se si spezzasse: avrebbe voluto abbassare una mano per tenerselo fermo. Aveva riconosciuto l’uomo, era uno dei poliziotti più abili e implacabili della città. Si guardarono forse per dieci secondi. Lo sbirro fissava Luca negli occhi, Luca guardava l’altro alle ginocchia, e le braccia ogni tanto stavano per ricadergli giù ma lui con uno sforzo le rimetteva subito in alto. In quei dieci secondi passò per la fantasia di Luca una ventata rapida di immagini: il contatto con le mani orride dello sbirro, il bottino nella sacca, le manette, poi lo sapranno i compagni e il Capo: tutte mescolate e scompigliate nel soffio della paura. Lo sbirro s’ergeva verso la parte estrema della cresta del tetto. Ora avanzò di qualche passo; tramezzo alla paura il ladro Luca ebbe modo d’accorgersi che il piede dell’altro non padroneggiava a fondo la tegola. Forse per questo l’altro ora stava fermo: s’era piantato sui due piedi, con le corte gambe un po’ aperte, e parlò a Luca, sempre con quella rivoltella spianata:
– Attenzione a quello che dico: alzati, vieni qua, mani in alto; al primo moto che fai per abbassarle o per cambiare direzione, sparo. Forza, don Luca!
Mentre quello parlava il ladro Luca aveva infatti rapidamente esaminato la possibilità di buttarsi a destra verso il cornicione, ma il colpo dell’arma lo avrebbe raggiunto. Scomparire nell’abbaìno era mettersi in trappola. Non poteva che ubbidire. Riuscì a levarsi in piedi senza servirsi delle braccia. Poi, ma lentamente (per non rivelare all’altro la propria agilità, per allontanare al possibile il momento in cui si sarebbe sentito addosso quelle mani, per un istinto professionale di finzione), passo passo cominciò a salire obliquamente il tetto in direzione di quella rivoltella. Le mani gli tremavano.
– Più svelto – disse lo sbirro con un sogghigno – pesa tanto quella sacca? più svelto. –
Il ladro Luca voleva rispondere ma non poté che mandar fuori qualche sillaba fioca: si rese conto che non aveva ancora detto una parola. Fece qualche altro passo incespicando ad arte nelle commessure delle tegole.
– Avanti, don Luca, hai lavorato bene, è giusto che ti porti a dormire. Altrimenti…
Il cuore di Luca balzò di sorpresa e di gioia, perché lo sbirro per un piccolo moto inconsulto del piede aveva barcollato un attimo ed era precipitato scivolando sulle tegole. Subito Luca vide il grosso corpo rotolare giù per la china del tetto, egli allora si mise a correre su verso la cima. L’altro s’era smarrito, s’afferrò con la sinistra a una tegola ma questa si staccò di netto e lui mandò un gemito sentendosi straziare le unghie alla radice, tentò invano afferrarsi con l’altra che lasciò andare la rivoltella, rotolò ancora, batté la testa contro il comignolo ma non si fermò; e il ladro Luca, raggiunta la cima, si voltò e vide lo sbirro arrivare all’orlo della discesa e il suo corpo scomparire nel vuoto. L’investì e lo invase una folgorante felicità. Fissò allucinato il punto laggiù dove il corpo del nemico era scomparso. E, così guardando, s’avvide che non era scomparso tutto: le due mani dello sbirro eran rimaste afferrate all’orlo del cornicione e furiosamente si sforzavano di tenervisi strette. Luca sedette sulla cima del tetto a fissare quelle due mani grosse, sempre più nere e convulse. Aspettava, prima d’andarsene, di vederle scomparire. Quella sua felicità che per un minuto aveva forse raggiunto il delirio, s’era calmata. Ora il ladro Luca era sicuro e tranquillo, stava seduto col busto e il capo un poco protesi in avanti, come si sta a teatro nei momenti più ansiosi del dramma. E si figurava il corpo pendente là sotto, il corpo del nemico che tra poco precipiterà giù a sfracellarsi sul lastrico. Tese l’orecchio per essere pronto a sentire il tonfo. Una di quelle due mani non resse più allo sforzo e si staccò dal cornicione, subito tutta la forza e lo spasimo dell’uomo si raccolsero per un momento nell’altra, poi la prima tornò ad afferrarsi e l’altra si staccò e s’agitava nell’aria. D’improvviso qualche cosa di ignoto brillò nell’animo del ladro Luca, ed era assai diverso dal delirio di quella prima felicità. Chiuse e strinse gli occhi e subito li riaperse: di laggiù sentì un rantolo, e pareva venisse da quelle mani. Il ladro Luca non capiva più niente, ma, senza capire, di colpo s’alzò, in un lampo sfilò dalle spalle la sacca e la posò sulle tegole; un’altra volta chiuse e riaperse per un attimo gli occhi, si passò una mano sulla fronte, e, senza sapere perché, senza sentire quello che stava facendo, corse giù, diritto, fin là; arrivato là si gettò ventre a terra, s’apprese con una delle sue mani di ferro allo spigolo del comignolo, si tese in avanti, porse l’altra gridando: “attaccati!” e abbrancò la mano alzata dell’uomo che si dibatteva. La sentì stringere, la tirò a sé con tutta la forza, come un pescatore tira la rete pesante: vide venir su la testa e le spalle, tirò ancora: l’uomo aiutava il suo sforzo, arrivò tutto. Luca gli diede un ultimo strattone, poi aiutò l’uomo a porsi a sedere sull’angolo del tetto. Seguì un silenzio e la notte respirava intorno a loro. Lo sbirro fissava in giù verso l’abisso ma certo non vedeva niente, il ladro Luca gli guardava la schiena ma non sapeva di guardarla. E aveva voglia di andarsene ormai, ma non si moveva, come se aspettasse qualche cosa, e non sapeva che cosa né perché. Finalmente lo sbirro senza voltare la testa verso il compagno mormorò qualche parola, Luca non capì e domandò: – Come? –
L’altro ripeté, sempre a capo chino: – Fa freddo. –
Luca si sentiva a disagio. L’altro si prese la testa tra le mani e cominciò a singhiozzare piano. Il ladro Luca si cercò in tasca un fiammifero e una sigaretta, la accese e la porse: – Prendi. –
Lo sbirro si voltò, e Luca vide che aveva il volto rigato di lagrime. Ripeté:
– Prendi – e chinandosi gli pose la sigaretta tra le labbra. La sigaretta tra le labbra dello sbirro tremava. Dopo un poco lo sbirro balbettò: – Grazie; – la sigaretta gli cadde di bocca, sull’orlo del cornicione. Il ladro Luca fu lesto a raccoglierla, scrollò le spalle, finì lui di fumarla. Fatto questo, come l’altro s’era di nuovo girato in là con la faccia tra le mani, Luca s’alzò in piedi, si voltò senza più guardarlo, risalì, in cima, dove aveva lasciato la sacca. Se la accomodò sulle spalle, scese piano l’altro versante avviandosi verso un doccione dell’acqua per cui scivolando si scende a terra. La luna era scomparsa e non c’era più una nuvola in cielo. Il ladro Luca pensò con orgoglio alla maraviglia dei compagni, all’elogio che forse il Capo gli farà per il bottino. Prima di lasciare il tetto e di abbracciarsi al doccione, guardò una volta ancora il cielo. Aveva cento volte lavorato di notte, ma non s’era mai accorto che ci fossero tante stelle.
Massimo Bontempelli, da L’amante fedele, Mondadori, 1968.
L’ha ripubblicato su Deborah Mega.
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