Scrivere poesia è un atto rivoluzionario perché permette di perseguire la bellezza, sfuggire alla tristezza e al dolore che negli ultimi due anni è divenuto ancora più tangibile, per prendersi cura degli altri con il dono prezioso di un pensiero, di una parola, di un libro come questo, tanto più perché acquistandolo è possibile sostenere l’ABFO, Associazione Benefica Fulvio Occhinegro. Doppio passo è un libro scritto a più mani, quelle operose e solidali delle due autrici: Anna Chiara Bruno e Maria Piera Lo Prete, ciascuna con la sua voce e il suo stile. Non a caso il sottotitolo dell’opera è poesie, quelle di Lo Prete, e prose, quelle di Bruno. Le annotazioni critiche sono di Filippo La Porta mentre nella seconda parte del libro si aggiungono i pensieri di Diana Bosnjac Monai. Nessuno nel febbraio del 2020 immaginava quello che sarebbe successo di lì a poco. Con la pandemia abbiamo perso la serenità, abbiamo dovuto confrontarci con la sofferenza e con la morte. Quello che è successo ha cambiato le nostre priorità, le ha completamente stravolte e cambiate irrimediabilmente. E così, le due autrici hanno vissuto lo stesso disagio, che è quello di tutti noi e l’hanno raccontato. Ecco il senso del titolo: una doppia visione e interpretazione di quanto è successo e un invito ad andare oltre la superficie delle cose per recuperare il nostro io più autentico, i sentimenti veri, l’apertura nei confronti dell’altro e del suo punto di vista. In questi lunghi mesi in cui l’interazione sociale è l’aspetto che più ha subìto restrizioni, la scrittura è diventata un bisogno profondo, una necessità fortissima che ci ha protetti e difesi dalla disperazione. “I giorni dell’arroganza sono finiti”, scrive Maria Piera Lo Prete ed, in effetti, lo sono davvero. Siamo stati inclini all’arroganza, egoisti nei confronti del prossimo e della Terra, l’abbiamo calpestata mentre “avremmo dovuto leggermente attraversarla”, abbiamo trascurato gli affetti e pensato solo ai nostri interessi personali. La crisi ambientale non è più una novità per nessuno, l’equilibrio biologico è pesantemente minacciato mentre è urgente un ribaltamento dei modelli e dei comportamenti nel rapporto uomo-società-natura. Occorre immergersi nel verde, riprendere contatto con la natura che ci circonda e difenderla con tutte le nostre forze. Molti sono gli argomenti affrontati in quest’opera, che in alcuni passaggi potrebbe sembrare moralista mentre è una contemplazione ad alta voce, un flusso di coscienza che urge di diventare parola e di parlare alle coscienze. Oltre al tema ecologico, vi si parla di tempo, dono spesso sprecato e che, in epoca di pandemia, si è dilatato, consentendoci di praticare l’esercizio della scrittura, della lettura, della riflessione. Si parla di silenzio, della necessità di ritrovarsi perché si auspica una ripresa di tutte le attività che di nuovo ci travolgeranno ma ci troveranno meno vulnerabili e forse più saggi e maturi. Un altro tema affrontato è la violenza di genere, la paura, la necessità di riappropriarsi della propria vita, perché dopo tanti mesi di isolamento è stato faticoso per tutti tornare a vivere, e ancora grandi temi di utilità sociale come la pace, la libertà, la saggezza dei padri, l’importanza di un buon insegnamento per sostenere i giovani in quel meraviglioso processo di metamorfosi che compiranno, ciascuno secondo le sue potenzialità e il suo impegno, e ancora il dramma dell’immigrazione clandestina, di qui la necessità della carità e di una sorta di coscienza morale che dovrebbe sempre guidare le nostre scelte. Anche la comunicazione diventa un altro strumento di accoglienza. L’invito è quello di usare con cura e cautela le parole, che possono essere manipolate, travisate, usate a sproposito. Oltre alla natura, dunque, va difesa e tutelata anche la lingua italiana, snaturata dall’abuso dei prestiti linguistici. Di qui scaturisce anche l’importanza della storia e della memoria, dei nostri padri, delle nostre storie, di noi stessi che siamo vissuti e un giorno potremo dire “io c’ero”. Nella seconda parte dell’opera le autrici ci invitano ed esortano a ripartire dai nostri luoghi interiori, dalle memorie, dai ricordi, per poi giungere, alla fine del viaggio, a riconoscere noi stessi. L’opera, oltre ad essere un luogo di coincidenza di prosa e poesia, di invenzione e di ragionamento, è un luogo imperdibile di lucida analisi del reale, in cui ritrovarsi e di cui fare tesoro.
© Deborah Mega
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…folla sui navigli
Triste, come tutte le giornate negli ospedali. Si soffre, si sopporta, si resiste, si spera. Voi, raggomitolati nelle vostre sicurezze, nel giro delle occupazioni abitudinarie, nei riti frenetici del vivere, indifferenti alle grandi sofferenze, non sentite di abitare un pianeta che soffre? Non vi ponete domande…? Una società è giusta e umana solo se rispetta l’altro, soprattutto quando l’altro patisce, e nulla può legittimare la violazione di regole prestabilite. Imboccare la movida punteggiata di negozi, ristoranti, bar di civettuola eleganza, con viltà e trascuratezza. Nessuno vi ha afferrato per la spalla quando eravate ancora in tempo? Non c’erano bambini; c’erano ragazzi grandi, forse padri, forse nonni, forse anche zii e zie, forse qualche tipo solitario, di quelli che vivono per strada e non hanno affetti da proteggere. Chi è tutta questa gente? Cosa ci fa lì? Spalla contro spalla, forma gruppi chiassosi. Qualcuno immagina – preso dal delirio – la complessità dei sentimenti, quando la morte si contende la vita? Era malata, vecchia, tutti comprendono e ritengono che in definitiva il caso si spiega da sé! Morire in una branda di ospedale, circondati da sconosciuti, senza accusare nessuno per tanta indifferenza. Da dove origina questo cinismo, questo freddo dell’anima? Il gelo, quello stesso che trasforma in arma uno sputo in volo, è penetrato fino nelle vostre anime?
i giorni dell’arroganza
I giorni dell’arroganza sono finiti,
si mostrano le ferite.
Ma sui Navigli la luna è di tutti;
tutti si sono assiepati,
guardano sgomenti
il suo volto impallidire
e sfumare, andare via,
come fumo, come nebbia;
come leggera fuliggine
appare ora la sua scia
e tutto scolora di nuovo
dinanzi alle nostre facce
impallidite.
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(non son)… cose da femmina!
Essere femmine è dover corrispondere a una definizione, a un ruolo… Se il normale fa paura, è altrettanto vero che il diverso terrorizza. Per questo lei non ha mai disubbidito… Il carnefice alza le braccia. Si ode il grido della vittima! Avrebbe voluto sfuggire a quel malessere che turbinava come il vento ma… le mancavano le parole, l’occasione, il coraggio! Barcolla, prova a muoversi. Non ha forza nelle membra, ma quando lentamente con gambe tremanti lascia quella casa, si dischiude, per lei, il mondo che le si era sigillato addosso, in quelle stanze dall’aria ispida e angusta. Ciò che l’attendeva era così meraviglioso: si sentiva libera, avvertiva una nuova energia. Il calore aveva preso il posto del freddo. La luce il posto della penombra. Aveva conquistato il rispetto di sé. Si era dimostrata più forte di lui. Aveva compreso la ne-ces-si-tà di essere libera dall’infelicità, dal dolore, dalla ferocia. Gli stereotipi regolano ancora l’accesso ai ruoli sociali costruiti dall’uomo sulla differenza di genere. Incidono sull’identità della persona. Femmina, sesso debole? No!
il dramma
Questo è il gusto osceno della vita,
restare nel crogiolo e capitolare
alla fine dietro l’angolo di casa,
con negli occhi uno sfavillio
che ti coglie all’improvviso
quando vedi la lama che
tinge di rosso il tuo
corpo. La carezza
è lieve, lieve e sottile e
ti penetra e ti assottiglia
la vita, te la sfila, la
libera dal corpo
e tutta la tua memoria
diventa storia ora
sulla tela della
nostra scena.
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ANNA CHIARA BRUNO, (Carosino – TA 1953), già docente in lettere, oggi si occupa di promozione della lettura soprattutto presso i giovani, collaborando con associazioni culturali, istituzioni ed enti locali.
MARIA PIERA LO PRETE, (Taranto 1950), già docente e collaboratrice di case editrici. Ha pubblicato le raccolte poetiche Naufragio (2016) e Al sole di agosto (2020). Sue poesie sono pubblicate in antologie di autori contemporanei.
DIANA BOŠNJAK MONAI, (Sarajevo 1970) famiglia multietnica e multiculturale. Architetto, artista, scrittrice, vive e lavora a Trieste. Ha diverse pubblicazioni alle sue spalle tra cui: “Da Sarajevo con amore” (dalla città assediata diario ricostruito con scritti del nonno Puniša Kalezić testimone diretto); “A te, che hai guardato muta” (romanzo 2019).
FILIPPO LA PORTA (1952) Romano ma con profonde radici pugliesi. Critico e saggista. Scrive su “La Repubblica”; una rubrica sul settimanale “Left” e sul mensile “L’immaginazione”. Innumerevoli le sue pubblicazioni, non solo di critica letteraria. Conosce profondamente la produzione letteraria pugliese contemporanea.
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