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Volevamo conoscere qualcosa di più sul mestiere (o professione?) del traduttore, su questo “tradire” per “restituire” in altra lingua dall’originaria un testo che spesso è scelto per affinità: il contenuto, la forma, il significante esercitano sicuramente nel traduttore una fascinazione per la quale si sceglie di trasferire in altra lingua la bellezza percepita nel testo originario. Ci rivolgiamo a Hiram Barrios, traduttore letterario dall’italiano in lingua spagnola.

  

  1. Hiram, grazie di aver accolto il nostro invito. I lettori del blog “Limina Mundi” sono interessati a conoscere il lavoro del traduttore; tu però sei anche saggista, scrittore, aforista: ci illustri la tua formazione, il percorso, le riviste cui collabori e dirigi, l’evoluzione della scelta di tradurre i libri degli altri e perché la preferenza della lingua italiana?

Ringrazio io per l’invito, è una magnifica opportunità che mi si offre per condividere ciò che ci unisce al di là della distanza geografica: la passione per la letteratura. Sono uno scrittore, pubblicista e traduttore messicano; ho pubblicato una dozzina di libri tra aforismi, poesia breve e critica letteraria (segnatamente saggi, antologie e curatele). Ma è anzitutto l’aforisma il fulcro della mia riflessione intellettuale. In Italia sono uscite due pubblicazioni alle quali ho collaborato grazie all’invito di Donato Di Poce: Silenzi scritti. Aforismi. Antologia Bilingue Italiano-Spagnolo (I Quaderni del Bardo, 2020) e l’antologia di poesia Clandestini / Clandestinos (I Quaderni del Bardo, 2021). Alla prima ho collaborato in qualità di aforista, traduttore e curatore; riguardo alla seconda, ho tradotto i testi italiani in spagnolo e redatto l’introduzione bilingue. In Messico dirigo, per conto dell’Università Nazionale (UNAM), una collana di aforismi: “Esquirlas” (“Schegge”), che raccoglie le nuove proposte del genere in lingua spagnola. Sono collaboratore abituale delle riviste Taller Igitur e Bitácora de Vuelos (in Messico) e faccio parte della Redazione della rivista-blog Zona di Disagio, diretta da Nicola Vacca (in Italia). Ho cominciato a cimentarmi nella traduzione come esercizio per migliorare la mia conoscenza della lingua italiana. All’inizio non aspiravo a pubblicare le mie traduzioni. È stato un professore di italiano a spronarmi a farlo. Non mi considero un traduttore “professionale”, ma un semplice apprendista, uno scrittore che vuole condividere le sue scoperte in un’altra lingua. Non lavoro per nessuna casa editrice o istituzione. Non sono tenuto a rispettare un programma di lavoro o a tradurre qualcosa che non sia di mio interesse. Questa libertà di scelta presenta molti vantaggi per chi, come me, è soprattutto interessato a condividere la passione per la letteratura. Sotto i titoli di Voces paranoicas [Voci paranoiche] (Cuadrivio, 2013) e Mamá Morfina [Mamma Morfina] (Labirinto Ediciones, 2021) ho curato la poesia del giovane Eros Alesi (1951-1971), un poeta pressoché sconosciuto in Italia, al contrario che in Messico, dove parte della sua produzione poetica è nota da decenni grazie all’impegno del traduttore messicano Guillermo Fernández. Ho scoperto da adolescente la poesia di Alesi, che mi ha fortemente impressionato. Il mio desiderio di imparare l’italiano è in parte dovuto all’esperienza di quella lettura. Le sopraddette pubblicazioni rappresentano un tributo non solo a Eros Alesi, ma anche al suo traduttore Guillermo Fernández: proprio grazie a tutti i poeti e alle numerose edizioni bilingui che quest’ultimo ha pubblicato in Messico mi sono formato una prima idea di come si debba tradurre in spagnolo la poesia italiana. Traduco solo quello che mi piace come lettore, che mi insegna qualcosa. Nella maggior parte dei casi si tratta di selezioni di poesie o di aforismi che poi pubblico su riviste messicane. Ho tradotto aforisti come Carlo Gragnani, Guido Ceronetti, Rinaldo Caddeo, Fabrizio Caramagna, Stefano Cazzato, Stefano Elefanti, Alberto Casiraghy, Amedeo Ansaldi; e poeti come Roberto Roversi, Bartolo Cattafi, Alda Merini, Milo De Angelis, Maurizio Cucchi, Antonella Anedda, Gianni D’Elia, Donato Di Poce, Nicola Vacca, Ulisse Casartelli o Sergio Carlacchiani. Non ho avuto il piacere di incontrare personalmente nessuno degli scrittori che ho tradotto, ma credo di poter chiamare amico ciascuno di loro: la stima trascende il regno delle lettere.

 

  1. Padronanza della lingua madre e della lingua da tradurre; fini conoscenze tecniche nell’ordine della parola, della grammatica, della sintassi; sensibilità inventiva e poetica sono le caratteristiche fondamentali che occorre possedere per la traduzione: tuttavia non è difficile pensare che il traduttore sia anche autore, sia corredato di un esprit de finesse indispensabile al buon esito dell’opera.

La traduzione richiede capacità di lettura e di scrittura. Si traduce anche grazie a una volontà di apprendimento creativo. La traduzione letteraria non è esclusiva degli scrittori, ma richiede comunque amore per la parola. Sebbene esistano professionisti della traduzione letteraria, sono sempre stati gli scrittori ad ottenere i risultati più brillanti ed efficaci. In spagnolo, per esempio, sono fondamentali le traduzioni che Jorge Luis Borges ha tratto dalla lingua inglese – ad esempio l’Orlando. A biography (1928), da Virginia Wolf – o le traduzioni che Octavio Paz ha fatto dei surrealisti francesi. La traduzione della poesia da/in spagnolo-italiano annovera illustri cultori, ispanisti e mediatori culturali quali Emilio Coco o Antonio Nazzaro, che sono a loro volta poeti. La sensibilità inventiva e poetica è un aspetto che contraddistingue spesso il traduttore-autore. La traduzione letteraria si trasforma così in una riflessione sugli stessi processi creativi.

  

  1. Intorno alla figura del traduttore esiste un luogo comune: la “solitudine del traduttore”. È solo un retaggio romantico o realmente è condizione necessaria o, forse, acquisita nelle lunghe ore a contatto con “i libri degli altri”, i dizionari, l’ascolto del suono delle parole nella lingua originaria e in quella finale?

Penso che la solitudine sia una condizione necessaria. Ma, nel mio caso, la solitudine è solo la premessa all’esercizio della traduzione. Nella maggior parte delle traduzioni che ho fatto, mi sforzo di identificarmi quanto più possibile nella sensibilità dell’autore, che possiede una profonda conoscenza della lingua di partenza e delle sue potenzialità poetiche, per restituire al meglio le sue parole. Grazie agli scambi di letture con poeti italiani e con i miei colleghi in Messico, decido anche quali libri o quali autori meritino di essere conosciuti in spagnolo.

 

  1. Ancora: quanto è importante l’incontro con altri traduttori, il confrontarsi con altre esperienze, il viaggio, la conoscenza diretta con un autore per il quale si nutre un sentimento di ammirazione, una specchiatura derivante dall’uso della parola, dai contenuti dei testi?

La traduzione è in primo luogo apprendimento. Non smetti mai di approfondire la lingua che traduci, così come la tua lingua madre. Ricordo che fu un’edizione bilingue di Bartolo Cattafi, tradotta e curata da Guillermo Fernández, che mi spinse a tentare la versione alternativa di una poesia. In Le mosche del meriggio (1959), Cattafi aveva scritto:

fu sempre obliqua l’ombra

che ci seguì in silenzio.

Fernández tradusse così:

siempre fue oblicua la sombra

 que nos siguió en silencio.

L’ultima riga, pensai allora, sarebbe riuscita più incisiva in spagnolo con un leggero aggiustamento della sintassi. Rimaneggiai così: “siempre fue oblicua la sombra / que en silencio nos siguió”.  Questo cambiamento, pur minimo, consente alla poesia di trovare un’altra intonazione, cambiando le sillabe toniche e conseguentemente il ritmo. Ho anche ritrovato versioni più riuscite delle mie, ed è sempre bello sapere che si può migliorare. Confrontarsi con gli altri, scambiarsi idee, lavorare insieme aiuta ad avere una migliore comprensione delle cose. Leggere e studiare altri traduttori contribuisce ad ampliare le prospettive e quindi perfezionare gli esiti. Apprezzo in particolare le traduzioni dall’italiano allo spagnolo di Antonio Colinas, Horacio Armani e Fabio Morabito.

 

  1. È corretto pensare che, riguardo al linguaggio, l’esperienza della traduzione «insieme al tempo che scorre, forma degli strati nella nostra lingua madre, e inevitabilmente le parole che usiamo sono sempre nostre», come dichiara la traduttrice Gioia Guerzoni?

Senza dubbio. Siamo quello che pensiamo e quello che diciamo. Siamo fatti di parole, delle nostre e di quelle di altri. Ci sono parole in spagnolo che mi ricordano odori, colori, immagini dell’Italia, e parole italiane che associo a esperienze quotidiane, a cose che mi succedono in Messico. Per esempio, la parola “queso” (“formaggio”) mi ricorda quasi sempre piatti della cucina italiana; la parola “stanza” mi viene in mente quando sono stanco.

 

  1. Quanto è importante la fedeltà al testo? È pensabile, accettabile l’idea di fare la sovrapposizione della lingua finale a quella iniziale? Oppure la lingua, ogni lingua, ha una struttura psichica che non consente il calco e, pertanto, l’invenzione è non solo naturale, ma addirittura auspicabile come atto del pensiero immaginale, soprattutto nei luoghi della poesia?

La fedeltà al testo è la ragion d’essere dei traduttori; l’impossibilità di ottenerla la sua penitenza. Ci sono scuole di traduzione che predicano la massima fedeltà, anche a prezzo di qualche sacrificio in termini di efficacia nella resa; altre, come la “trascreazione” di Haroldo do Campos, auspicano piuttosto una traduzione che non sia che il pretesto per una creazione autonoma a partire dalla parafrasi. La sovrapposizione a volte è necessaria, soprattutto in poesia. Ma ci sono giochi di parole, immagini retoriche, riferimenti culturali o anche parole che perdono il loro significato originario se tradotti letteralmente, in modo pedissequo. A volte è necessario rimodulare la sintassi di una figura retorica. A volte è proprio ‘tradendo’ che ci si può avvicinare meglio ad un’idea…

 

  1. Ne deriva che la traduzione presenta sempre un problema, poiché si va a compiere non solo la versione della psiche di una lingua nella psiche di un’altra lingua, ma anche la versione della psiche dell’autore nella psiche del traduttore, il quale viene a trovarsi nella posizione di decifratore del mondo logico– immaginifico dell’autore senza mai raggiungerne gli abissi, testimoniando invece che sussistono, imprendibili, gli «arcani più segreti del meraviglioso fenomeno della parola» (José Ortega y Gasset, Miseria e splendore della traduzione)

Forse la fedeltà al testo è un’illusione. Forse è impossibile non tradire il testo o l’autore. La traduzione può sembrare in alcuni casi un’utopia. L’impossibilità di tradurre un autore in un testo specifico è sempre presente. La cosa interessante in ogni caso è capire quali sono gli ostacoli che impediscono di trasmettere un messaggio da un codice all’altro.

 

  1. Inoltre: esiste un “talento”, una disposizione innata al linguaggio per cui il traduttore avvicina la parola dell’autore in una sorta di invisibilità in modo da non far percepire la propria abilità linguistica?

Non so se si tratti di un “talento”. Forse sì, ma un talento acquisito. La sfida del traduttore è quella di rendere le parole che un autore scrive nella propria lingua in modo tale che possano essere sentite, ascoltate, comprese e interpretate in una lingua diversa, senza nel contempo perdere le dimensioni estetica, culturale o politica, e senza falsificare il messaggio o la parola originari. Il traduttore deve essere un soggetto invisibile: il compito primario del suo lavoro è di preservare, nei limiti del possibile, le parole di un altro.

 

  1. In un tuo breve scritto riporti un concetto importante: «Costruiamo ponti». Si deduce che tu ti ponga in una relazione etica, da mediatore culturale, per cui la traduzione è non solo rendere al lettore l’ambiente vibrante l’anima del testo, ma anche l’avvicinare culture e saperi differenti, prospettare scambi culturali, incontri di intelletti.

Infatti: ho sempre auspicato la costruzione di “ponti”: tra Messico e Spagna, tra Italia e Messico, oppure tra le diverse nazioni americane che hanno in comune la lingua spagnola. Conoscere la lingua italiana mi ha permesso di addentrarmi in un’altra tradizione culturale e, cosa ancora più importante, mi ha permesso di far conoscere scrittori interessanti che meritano di essere letti e commentati oltre i loro confini. La lingua è portatrice di cultura: traducendo una poesia si traduce un modo di interpretare il mondo, di abitarlo. Condividere i diversi modi in cui si scrive, in spagnolo o in italiano, serve ad ampliare gli orizzonti culturali. Conoscere gli altri è un modo, forse il migliore, di conoscere sé stessi.

 

Hiram Barrios

 

Biobibliografia

Hiram Barrios (Città del Messico, 1983). Scrittore, editore e traduttore. È autore dei libri di saggi El monstruo y otras mariposas (Il mostro e altre farfalle) (2013) e Las otras vanguardias (Le altre avanguardie) (2016) e delle sillogi aforistiche Apócrifo (Apocrifo) (2014 e 2018) e Artimañas (Stratagemmi) (2021). È altresì autore delle antologie bilingui Voces paranoicas. Bitácora Inédita (Voci paranoiche. Registro inedito) (2013) e Mamá Morfina (Mamma Morfina) (2021) di Eros Alesi; ha inoltre curato l’edizione di Gotas tóxicas. Aforismos y minificciones (Gocce tossiche. Aforismi e minicificazioni) di Sergio Golwarz (2015), e i compendi Lapidario. Antología del aforismo mexicano (Lapidario. Antologia dell’aforisma messicano) (2015 e 2020) e Aforistas mexicanos actuales (Aforisti messicani contemporanei) (2019). In collaborazione con Donato Di Poce ha pubblicato l’antologia di aforismi Silenzi scritti / Silencios escritos (2020) e Clandestini / Clandestinos (2021). Fa parte della Redazione della rivista digitale Zona di Disagio. La sua opera letteraria è stata inclusa in antologie provenienti da Messico, Spagna, Italia e Perù.

 

Aforismi di Hiram Barrios:

https://zonadidisagio.wordpress.com/2021/09/28/raffiche-aforismi/

Slenzi scritti:

https://www.cyranofactory.com/i-silenzi-scritti-silencios-escritos-a-cura-di-hiram-barrios-e-donato-di-poce/

Lapidario. Antología del aforismo mexicano. Recensione di Fabrizio Caramagna:

https://aforisticamente.com/hiram-barrios-lapidario-antologia-dellaforisma-messicano/