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Archivi tag: Attraverso la serratura

Capo Horn – Tijuana. Cuentos Olvidados. “Attraverso la serratura” di Josefina Peñate y Hernández

23 giovedì Mar 2023

Posted by emiliocapaccio in Capo Horn - Tijuana. Cuentos Olvidados, Idiomatiche, LETTERATURA

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Tag

Attraverso la serratura, Capo Horn - Tijuana. Cuentos Olvidados, Emilio Capaccio, Josefina Peñate y Hernández, Racconti, TRADUZIONI

E L  S A L V A D O R

ATTRAVERSO LA SERRATURA

(1930)

 (1901-1935)

 

Può essere considerata come la prima scrittrice di racconti nel suo paese. È stata anche poetessa e giornalista, allieva di Victoria Magaña de Fortín, prima scrittrice femminista e attivista dei diritti delle donne a El Salvador. Pubblicò in breve tempo, dal 1928 al 1930, tre volumi: “Esbozos”, raccolta di saggi e riflessioni; “Surtidores”, miscellanea di aforismi, prosa e poesia; “Caja de Pandora”, raccolta di racconti. Le tematiche trattate fanno ritenere l’autrice come una delle pioniere del femminismo sudamericano. Nei suoi racconti spesso l’ambiente familiare si trasforma in uno spazio di conflittualità in cui l’uomo opprime la donna attraverso la violenza domestica e una continua emarginazione da tutte le attività sociali, considerate tipicamente maschili per l’epoca.

 

Lesbia era giunta a trovare impiego in quella scuola. Perché? Solamente per capriccio. Non per urgente necessità. Era un’anima sensibile e fine. Brillantemente colta, capace di percepire anche le più vaghe sensazioni e di imprimerle nelle sue pagine predilette. Militava nella legione degli scrittori; non propriamente legione, perché gli scrittori votati a quest’arte si contano sulle dite della mano. Ma quella era la sua bandiera: la suprema idealità della bellezza conquistata dalla parola.

In breve tempo, giunse sotto la lente di quel crocchio di donnicciole volgari della scuola che la esaminavano dalla testa ai piedi e bisbigliavano alle sue spalle. “Pedante, altezzosa.” Ma Lesbia non era né pedante né altezzosa, aveva semplicemente un merito concreto e un valore intrinseco, e questa circostanza mandava le altre fuori dai gangheri. Inoltre, con il suo carattere schivo e ombroso, si teneva sempre a rispettosa distanza, cosa che quelle non gradivano. A questi spiriti gretti che si ritrovavano, scambiandosi sciocchezze e battute volgari, sembrava riprovevole il riserbo altero e dignitoso di Lesbia.

“Chi sei, veramente?” le sussurrava una voce interiore, come per metterla in guardia dalle maldicenze nella scuola. Lesbia si rispondeva: “Chi sono? Una che è molto al di sopra delle loro sciocchezze e delle loro volgarità. Uno spirito che non arriveranno mai a comprendere”.

Taceva, consapevole e fiera, già più volte ferita nel suo amor proprio e nella sua delicatezza.

Un pomeriggio quando andò, come di consueto, per consultare l’orologio, prima di iniziare il suo lavoro, era anche fumettista e caricaturista, si ritrovò con lo stupido mucchietto di carne umana, come sempre, a dire sciocchezze. Salutò educatamente e cercò con lo sguardo l’orologio. Una di loro, forse d’accordo con le altre, le disse:

— Lesbia, di voi dicono che scrivete anche, e che i vostri scritti siano molto belli. Mi piacerebbe leggere un racconto che mi hanno riferito s’intitola: “Attraverso la serratura”, che si deve alla vostra penna magistrale.

Lesbia si pose davanti a quella figura, negli occhi spuntò lo sguardo scrutatore delle sue nere pupille. Dietro il desiderio goffamente espresso si nascondeva un intento malvagio. Lesbia era come un punto luce attorno al quale si raccoglievano tutte le sue compagne, tutti gli artisti. Questo, in luoghi piccoli e calunniosi, suscita pettegolezzi, soprattutto quando la persona che si giudica ha talento e qualità tali da poter essere intaccata dalle coscienze altrui. Ma Lesbia sapeva anche essere perfettamente accattivante. Sapeva farsi lusingare senza mutare di una virgola la sua dignità. Era cresciuta in fretta nei circoli artistici e intellettuali della sua terra natale e la sua casa era sempre apparsa come un cenacolo dove tutti gli iniziati si radunavano per scambiarsi le proprie idee. Lesbia aveva la dote di saper vivere.

Ma quelle anime zuppe di fango cercavano di umiliarla, senza ricordare a loro stesse che tutti noi abbiamo minuscoli recessi nella nostra coscienza che sono molto poco illuminati. Perché se non fosse così, saremmo creature perfette, e dov’è la perfezione? Lesbia con spigliatezza rispose:

— Dite bene, Eleonora. Ho un bel racconto intitolato “Attraverso la serratura”. Non so se vi piacerà. Avevo il ritaglio del giornale da qualche parte ma l’ho perso. Tuttavia, poiché non voglio che rimaniate con il desiderio di conoscerlo, ve lo narrerò a grandi linee.

Così Lesbia iniziò a raccontare una piccola storiella sulla vita intima di Eleonora.

“Lei era una giovane carina e attraente che aveva viaggiato un po’ e per questo credeva di avere illuminazione e finezza, cosa molto difficile. Ebbene, la finezza si eredita, viene dall’anima e dai sentimenti, e l’illuminazione si ottiene quando si ha uno spirito esplorativo assetato di sapere, e quando si viaggia con la mente in talune circostanze. Ma Ifigenia, che è la protagonista della mia storia, non aveva viaggiato in tal modo: aveva semplicemente svolto mansioni gravose, umilianti, futili. Meglio, non aveva perpetrato i costumi generosi della sua gente, ma aveva messo in pratica solo quelli volgari e insignificanti, che si racchiudono nel lusso sfrenato, e imparato a parlare male di tutte le persone a portata di mano, raccontando menzogne e giudicando sempre sotto il prisma dell’invidia e della grettezza morale. Ebbene, senza imparare nulla di buono tornò per necessità in seno alla campagna. Cercò di farsi impiegare come addetta a un banco di rivendita senza riuscirci, fintantoché non la posero a lavorare in una officina dove trascorreva i suoi giorni senza allegria, occupandosi del carico che i carrettieri portavano alle stazioni e ascoltando la loro linguaccia da taverna. Con il cuore spezzato per i pochi spiccioli della paga e per l’umiliazione data dalla sua mansione, decise di cambiare ambiente ed entrò in una scuola superiore per ragazzi. Lì conobbe Edgardo, un maestro piccoletto e nero come una nocciola, ma molto intelligente e buono. Invaghirsi perdutamente l’uno dell’altra alla velocità della luce, fu un tutt’uno. I giorni passavano rapidi come fulmini e lei, ardente di febbre d’amore, aveva nella mente solo il pensiero di farsi sposare. Edgardo, però, non pareva mostrare la stessa determinazione. Un pomeriggio… (arriva la parte interessante) … si diedero appuntamento nei bagni della scuola. Il posto sembrava appropriato, era discreto, buio e chiuso a chiave. Lì si abbandonarono a una passione disperata e orribile. Lui, approfittando del momento e spinto dalle circostanze, aveva sollevato il vestito di raso e cominciava a toccarle il corpo, che tremava di passione. Lei gemeva, desiderando chissà quante altre cose. Naturalmente avevano dimenticato il rispetto che merita un luogo sacro come la scuola e il rispetto umano. Chissà fino a che punto si sarebbero spinti se non fosse stato per due occhi maliziosi e indagatori, che sembravano quelli di un felino, e che, premuti sul buco della serratura, si rallegravano dello spettacolo. Erano quelli di un vecchio insegnante, una vera canaglia, a cui piaceva per giunta impicciarsi dei fatti degli altri, e che, prevedendo l’imminenza di un fatto spiacevole per lui, come direttore, non aveva saputo trattenere un gemito. Edgardo, al sentire il rumore, era impallidito di paura, aveva allontanato l’invasata che era tornata in sé e stava per urtare contro uno dei pilastri della sala da bagno. Quanto avrebbe goduto ancora il vecchio insegnante, vera canaglia, vedendo quelle cosce bianche e chissà cos’altro! Ebbene, in seguito Ifigenia continuò a lavorare e a fingere una serietà senza limite e a giudicare male tutte le donne civettuole e allegre che ardivano esibire le loro cosce marmoree a un uomo che voleva solo divertirsi con loro, come con una bambola di alabastro.”

— Vi è piaciuto il racconto, Eleonora? – Disse Lesbia dolcemente, fissandola negli occhi.

Eleonora si morse le labbra, dissimulando l’imbarazzo, e dicendo:

— Lesbia, avete inventiva e immaginazione. Niente di più bello del racconto della maestra avventuriera. Ma per essere della combriccola voi avreste dovuto tacerlo. Sarà che non è finzione?

Lesbia salutò nuovamente e voltò le spalle ridendo dentro di sé per l’imbarazzo cagionato. Poi rifletté: se noi donne ci odiamo, se non troviamo in noi nulla di buono né di morale, come possiamo sperare di difenderci dagli attacchi degli uomini? Dov’è quel blocco che dovremmo formare per difenderci dall’ingiustizia? Ma se anche così fosse, lo sforzo di noi, donne consapevoli, deve tendere a ottenere la redenzione dopo la morte, a incanalare i passi di quelle donnette senza senno e odiose sul cammino di una bella solidarietà, di un sano e onesto cameratismo. Oggi, non è ancora tempo, ma arriverà. Le nostre mani, a caso, devono gettare nel solco il seme di un nuovo vangelo che parli di comprensione, amore, generosità, perdono. Io amo tutte loro nonostante tutto. Come il Battista nel Giordano delle liberazioni, dobbiamo innalzare l’acqua lustrale di tutti gli ideali di redenzione, sotto la gloria di cieli luminosi e all’ombra dei limoni in fiore.

Questo diceva tra sé, mentre lo sguardo penetrante dei suoi occhi neri si perdeva in lontananza, sui dorsi bui della montagna, dove i petali di un gigantesco crisantemo sanguinante, che orlava il vaso enorme del firmamento, si dissolvevano lentamente. E anche l’orologio lentamente dava i suoi rintocchi.

Con un profondo sospiro, Lesbia disse:

— È ancora presto. Manca ancora tutta la notte per il nuovo giorno, ma quando esso arriverà splendente con la sua faretra di raggi di luce, i miei giardini pensili dello spirito si troveranno copiosi di rose accese e di pallidi gigli di bene e di verità.

Il cielo sembrava di cobalto.

 

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