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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi tag: Grumi sciolti

L’intervista a Cinzia Della Ciana: Grumi sciolti

28 domenica Giu 2020

Posted by Loredana Semantica in Interviste

≈ Commenti disabilitati su L’intervista a Cinzia Della Ciana: Grumi sciolti

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Cinzia Della Ciana, Grumi sciolti

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende
dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti,
sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla
redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del
mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.
La redazione ringrazia Cinzia Della Ciana, per aver accettato di rispondere ad
alcune domande sulla sua opera: Grumi Sciolti, Helicon Edizioni, 2020.

1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

L’ “amore per” è una condizione con cui si nasce, è una predisposizione fatta
di passione e curiosità che fa parte del proprio bagaglio genetico e che si
amplia interagendo con il nutrimento della vita. Per cui posso dire che
nasco con l’amore per la “bellezza”, includendo in essa ogni espressione
artistica a mezzo della quale l’uomo riesce a comunicare emozioni. I miei
studi si sono rivolti fin dalla giovane età a ampliare questa vis interiore e
così ho condotto parallelamente gli studi giuridici presso l’Ateneo fiorentino
e quelli pianistici al Conservatorio. Ma ad un certo punto l’impegno a livello
professionale, anche per l’incompatibilità dei percorsi, ha imposto una
scelta e ho optato per la via “ortodossa”. In pratica, come si fa con un
amore, ho abbandonato la tastiera chiudendola e mi sono dedicata alla
professione forense (che ormai esercito dal 1991, nelle materie prevalenti del
diritto del lavoro e di famiglia). Riavvolgendo il nastro v’è da dire che
giunta a “mezzogiorno” della mia vita (ora più ora meno) improvvisamente
ho avvertito la “necessità” di tornare a suonare. Ormai erano circa 25 anni
che avevo abbandonato lo strumento e poco mi restava nelle dita. Quindi mi
sono detta: “cosa posso suonare dopo oltre 25 anni che “scrivo e leggo” dalla
mattina alla sera (ancorché in ambiti diversi, ma sempre con l’ “umano” al
centro). La mia risposta è stata “le parole”. Da qui inizia l’avventura della
“mia” scrittura che si poggia sul motto “del suonar colle parole”, nel senso
che la musica ha permeato così tanto la mia sensibilità che “penso e scrivo in
musica”, prosa o poesia che sia.

2. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti
hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la
vita e l’arte?

Non basterebbe una giornata per rispondere compiutamente alla domanda.
Diciamo che sono una toscana figlia della mia terra e le mie radici
affondano in Dante (distante da Petrarca che a Arezzo ha avuto solo i
natali). Poi aggiungo a volo di uccello che i miei “livres de chevet” sono una
pila in cui la base resta fissa: “Le lettere a Lucilio” di Seneca, “Le ceneri di
Gramsci” di Pasolini e il meridiano di tutte le poesie di Montale. Gli ultimi
grandi libri che ho riletto “Il Barone rampante” (la genialità del romanzo di
formazione che accoglie fiaba allegorica e filosofia, sempre all’insegna della
leggerezza calviniana) e di Dostoevskij “Ricordi dal sottosuolo” (il flusso di
coscienza ossessivo di un “malato” che opera un distinguo nell’abisso dei
ricordi, dove vi sono cose che non si rivelano a tutti, ma solo agli amici, altre
che non si rivelano neppure agli amici, ma soltanto a sé ed infine, e questo è
spietatamente vero, cose che si ha paura di svelare anche a noi stessi).

3. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente
autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai
con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

Penso di aver già posto le basi alle risposte di questi interrogativi. Scrivo
per necessità che è ri-sorta, non posso fare altrimenti. Sono immersa nella
vita e l’uomo in tutte le sue declinazioni sta al centro del mio interesse, anche
la professione forense ne è “fonte”. Sono figlia della mia Terra di Toscana, in
cui ho il privilegio di esser nata (Montepulciano in provincia di Siena), di
abitare (Arezzo) e di aver studiato (Firenze), un triangolo questo dove
l’ingegno da secoli si è di-spiegato e ha trasformato il territorio in
paesaggio. Qui ogni angolo parla di storia e anche il borgo più piccolo
nasconde tesori artistici unici.

4. Ci parli della tua pubblicazione?

Bella domanda, come chiedere a una madre di parlare dell’ultimo figlio
nato. Tutti sono da lei amati, tutti gridano, ma ora “Grumi sciolti” grida più
degli altri. Dopo una parentesi poetica (“Passi sui sassi”, 2017 e “Ostinato”,
2019) sono tornata al mio primo amore, il racconto. “Quadri di donne di
quadri” (una raccolta di racconti incentrata sulle figure femminili) era
stato, infatti, il mio libro di di esordio, nel 2014. Per me, parafrasando, il
romanzo è un film, mentre il racconto è una foto che concentra, tagliando il
prima e il dopo, quel “grumo” evenemenziale. Insomma il racconto dà la
massima densità “fotografica” su un nodo che la vita ha lungamente
preparato e chissà come svilupperà. La mia esperienza poetica poi fa sì che
il linguaggio anche nella prosa abbia una valenza lirica, evocativa, e mai
solo descrittiva. Ma nonostante ciò, e anche se ogni singolo racconto è un
distillato di un piccolo segmento di vita, il libro “Grumi sciolti” ha una sua
struttura, sottolineata dall’Incipit e dall’Explicit. All’interno ospita 18
racconti articolati in tre sezioni: la prima, i “Grumi”, sono storie, anzi,
“scatti” di donne alle prese con un momento risolutivo della propria vita;
poi i grumi si liberano con la fantasia e diventano “Grumi sciolti”, cioè storie
che variano dal mito alla favola, dove la voce narrante può appartenere
anche a un topo, e perfino a un profumo; infine quando i grumi sono
completamente sciolti, non restano che i “Grani” (racconti simbolicamente
dedicati a qualcosa che attiene al caffè oppure a al tè) e il ciclo si chiude
pronto a riaprirsi in un eterno moto perenne. Un lunghissimo “rosario” che
finisce con un omaggio a “La storia” della Morante, come una sorta di inno
alla vita. Un libro che alla vita, “qua sine proposito vaga est”, è dedicato.
Un libro che la prefatrice Letizia Cirillo ha scritto “va letto a voce alta”,
proprio a sottolineare la sua vocazione a trascendere l’esperienza interiore
per approdare alla dimensione collettiva.

5. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Non mi sono posta e non mi pongo il “problema”, io sento la necessità di
scrivere e di farlo in una sorta di “predicazione”. Portare avanti l’arte
nell’attuale indipendentemente dall’utile e dal riconoscimento, diventare
una sorta di “madonnaro mentale” che ha l’entusiasmo di sdraiarsi a terra
per poetare pavimenti e pittare “pietre di inciampo”… perché gli altri
passano, distratti passano, ma non calpestano e alla fine si fermano. Come
sta scritto appunto nel finale lirico del racconto “Il madonnaro”.

6. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

I racconti sono come le poesie, nascono e basta. Si stratificano col tempo.
Poi il difficile sta nel selezionarli e trovare un fil rouge che in coerenza li
struttura in sequenza in modo da divenire “il racconto dei racconti”. Il
difficile ritengo risieda non tanto, o meglio non solo, nelle singole tessere
dell’opera, ma nel disegnare con esse qualcosa che abbia un senso e un
valore al di là delle stesse.

7. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale”
scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a
poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o
durante la notte, sacra per l’ispirazione?

I racconti di Grumi sono stati scritti in epoche differenti e molti hanno avuto
già riconoscimenti in premi da inediti. Ripeto i racconti sono come le poesie,
ad un certo punto balugina il primo verso e tu ti fermi e lo devi scrivere. Poi
segue il necessario e rigoroso labor limae. La notte o meglio la mattina
presto è una nicchia che mi accoglie bene.

8. La copertina e il titolo. Chi, come, quando e perché?

La copertina è del Maestro Mauro Capitani, un pittore molto noto della cui
amicizia mi fregio. Si tratta di un particolare di opera in vetro dalla mostra
“Tra Kea e Tenedo”, 1996. Questo particolare ben rappresentava il quadro
in divenire di cui volevo parlare: quel cosmo in cui qua e là si osservano
“grumi”, cioè “luoghi di addensamento”, “momenti di intenso ammasso”, in
cui ogni componente fluida si perde e resta solo materia, materia che si
coagula e si rapprende chiudendosi a giro. Ma poiché tutto è movimento,
anche questo processo di avvitamento non si sottrae alla legge del divenire,
e il grumo si evolve in una spirale che lo porta inevitabilmente a spandersi.
Ovvero a sciogliersi, a nebulizzarsi lasciando a galleggiare in sospensione
grani. Grani che a loro volta sono nuclei di potenziali nuovi grumi.

9. Come hai trovato un editore?

La mia casa editrice è la Helicon Edizioni di Maria Eugenia Miano, una
realtà familiare di lunga storia e tradizione E’ un Editore che vanta al suo
attivo anni di pubblicazioni con Autori di pregio (da Parronchi a Macrì, da
Bonifazi a Luti, a Ramat – per citarne solo cinque tra le ‘fedelissime firme
Helicon). Nel 2018 con “Solfeggi” (raccolta di racconti umoristici) vinsi un
premio che prevedeva la loro pubblicazione proprio da Helicon. Adesso i
“Grumi sciolti” sono stati inseriti in una delle sue più prestigiose collane,
quella di narrativa “Le crete” diretta da un’ambasciatrice della cultura per
eccellenza, oltre che autrice, giornalista pubblicista, saggista e critica
letteraria, quale è Marina Pratici.

10. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

A chi ama le parole, il loro suono e la loro storia/valenza/potenza, a chi
vuole non solo leggere un testo, ma piuttosto “rileggerlo” perché come la
musica la parola che si combina alla parola abbisogna di esser riascoltata
per penetrare dentro.

11. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Era programmata l’uscita per il Salone di Torino 2020, ma tutto è saltato e i
Grumi sono voluti nascere ugualmente in pieno lockdown. In pratica nel
momento in cui le librerie per decreto sono state riaperte. Mi sono detta che
era un segnale. Attualmente è distribuito in libreria e nei portali web.
Recensioni, interviste radio e televisive, dirette sui social e presto anche
presentazioni dal vivo.

12. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più
legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se
lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

Ho già citato il racconto del Madonnaro perché finisce con una poesia che è
una metapoesia. Ad esso aggancio un’altra citazione poetica con cui termina
il racconto “La roba”: “La vita era questo scialo di trita roba fatta e
accumulata. E anch’io ero inventariata”

13. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Amo parlare dei passi che ogni giorno compio più che delle mete astratte, la
meta è proprio il passo, ho scritto in una poesia, e il viaggio poi disvelerà il
disegno fatto e inventato con il progredire.

14. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è
venuto in mente di farti?

Mi piacerebbe che mi chiedessero l’autorizzazione a che uno dei miei
racconti diventasse soggetto per un film.

15. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova
opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Scrivere e ancora scrivere come il fiume porta acqua: il prossimo parto sarà
una silloge poetica. Dimenticavo a me piacciono le “contaminazioni” con
varie discipline (come sul mio sito cinziadellaciana.it si può vedere) e quindi
“predicare” poesia e letteratura fuori dai circoli, portare la bellezza per
“strade diverse” avvalendomi della collaborazione di altri artisti, questa la
mia più sentita missione.

Cinzia Della Ciana

Laureata il 24.10.88 in diritto del lavoro con il Prof. A. Aranguren presso l’Università di Firenze,collabora per alcuni anni con il Prof. G. Zangari, docente di diritto del lavoro Università di Siena. Esercita la professione di avvocato in Arezzo dal 1991; dal 2011 iscritta come Cassazionista, materie prevalenti diritto del lavoro e famiglia.
E’membro del direttivo dell’ALT (Avvocati Lavoro della Toscana). E’ membro dell’Accademia delle Scienze e delle Arti e della Letteratura Francesco Petrarca di Arezzo. Parallelamente agli studi giuridici ha effettuato studi di pianoforte col Maestro Carlo A. Neri del Convervatorio Morlacchi di Perugia. E’membro del “Tagete Ass. Scrittori Aretini di Arezzo”. La sua prima opera narrativa è “Quadri di donne di quadri”(Aracne 2014) (World Literary Prize 2015 a Parigi e al Tagete 2015).
Del maggio 2016 è il romanzo edito da Effigi “Acqua piena di acqua”.(premio “Pianeta Donna” al Montefiore Rocca, Fiorino di bronzo al “Premio Firenze 2016”, primo premio al Tagete 2016, secondo premio al “Portovenere – Le Grazie 2016”, la “Targa Città di Cattolica” al “Pegasus 2017” e “Premio speciale della Giuria” al “Città di Pontremoli 2017”, “Premio Speciale Frunzi al Premio Casentino 2018).
Nel maggio 2017 con Effigi pubblica la silloge poetica “Passi sui sassi” (per gli inediti già finalista al premio “Astrolabio 2016”, secondo posto al “Premio Casentino 2016”, finalista al San Domenichino 2017; da edito menzione d’onore a Le Grazie – Portovenere 2017, il diploma d’onore al Milano International 2017, il 2^ premio al “Tagete 2017”, riconoscimento speciale al “Pegasus 2018, premio della giuria al “Città di Pontermoli 2018”, premio speciale giuria Città di Conza 2018). Il libro nel febbraio del 2018 diventa uno spettacolo di poesia e musica con la pianista Lenora Baldelli dal titolo “Accordi di versi”, in scena in varie platee fra il Dovizi di Bibbiena, Cassero di Castiglion Fiorentino e Museco Civico di Sansepolcro. Per vari inediti sia di prosa che narrativa riceve importanti riconoscimenti. Suoi racconti e poesie fanno parte di varie antologie. Con la raccolta di racconti umoristici “Solfeggi”(Helicon 2018) si classifica prima ex aequo al premio “La Ginestra 2017” e successivamente Premio della giuria al Lord Byron Portovenere 2018, Premio speciale al Michelangelo 2019 e il Premio Milano Donna 2018 e il terzo premio al Città di Pontremoli 2019. Con la soprano Gaia Matteini realizza uno spettacolo dal titolo “Solfeggi parlati e cantati” in cui vengono portati in scena letture tratte da Solfeggi cucite da improvvisazioni vocali (Teatro Dovizi di Bibbiena e Auditorium Santa Chiara di Sansepolcro).
Ha tenuto presentazioni dei suoi libri ai Saloni del libro sia di Torino che di Roma, nonché in vari centri d’Italia; ha partecipato anche vari Festival e Rassegne culturali.
Nel maggio del 2019 pubblica con Helicon Edizioni, dove aver ricevuto da inedito il premio Laura Pasquini, la raccolta poetica “Ostinato – Suite in versi” con la quale ha già ottenuto i seguenti riconoscimenti: finalista al PoetiKa di Verbania, Segnalazione di merito al Premio Conza, 2^ posto al Pascoli – L’ora di barga, Finalista al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti 2019, Premio speciale di opera poetico-musicale al Città di Pontremoli 2020; l’opera è stata inserita nel
2020 nella rivista scientifica americana “Gli annali di italianistica”.
A aprile del 2020 nascono sempre per i tipi Helicon Edizioni “Grumi sciolti”. Molti dei racconti di “Grumi sciolti” hanno ricevuto premi da inediti. In particolare al corpo centrale della raccolta fuconferito il Premio della giuria al “Città di Pontremoli 2016”, il Premio  speciale Silvio Miano al “Casentino 2017”, al racconto “Canne d’organo” la menzione d’onore al “Città di Cattolica 2016” e, da ultimo, il racconto “La Teiera triste” ha ricevuto il primo premio a “Lo Zirè d’oro Città dell’Aquila 2019”.
Nel giugno 2020 il “Premio Città della rosa” conferisce all’autrice l’onorificenza di “Eccellenza Donna Italia 2020”.

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Teiera triste. Un racconto di Cinzia Della Ciana

06 sabato Giu 2020

Posted by Loredana Semantica in I nostri racconti, LETTERATURA E POESIA

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Cinzia Della Ciana, Grumi sciolti, racconto

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Teiera triste è un racconto di Cinzia Della Ciana tratto dalla sua ultima pubblicazione “Grumi Sciolti” Helicon, 2020

Un profilo da panciuta teiera montata su una mole di un’altra panciuta teiera, modello Sheffield tardo Ottocento, un vecchio pezzo di un servito da nave non più lucidato, sconvolto da una patina che aveva inciso sulla lamina e fatto affiorare a sparo di proiettile efelidi brune.

Si sedeva al tavolino più esterno del caffè, quello al limitare del grande ombrellone bianco, parallelo al siparietto creato dal bosso rispetto alla piazza salotto della città.

La postazione era perpendicolare all’ingresso del locale e a tutti gli altri tavolini esterni. Era un tavolino quadrato da due, lei occupava la poltroncina di sinistra, mostrando in controluce la silhouette del suo profilo alla platea degli avventori. Fissava con occhi di brace chi non le era seduto di fronte.

 Lo sguardo intenso lustro di rabbia, una teiera bollente protesa a rovesciare improperi. Dalla borsa informe, abbandonata in terra accanto alla gamba del tavolo, pescava con il braccio molle la scatola delle sigarette e una volta raggiunta l’apriva di scatto. Estraeva la sigaretta e con rara abilità accendeva la miccia e aspirava a mantice. Poi rovesciava la nuvola addosso a chi non c’era. Biascicava parole e roteava la mano aggettandosi col petto sconfinando sulla metà del tavolino non di sua competenza. A tratti girava lo sguardo verso la piazza languida, respirando più intensa, scuoteva la testa.

All’arrivo del cameriere ordinava. Poco dopo dal vassoio ondeggiante atterravano sulla tovaglietta bianca una tazzina di caffè e un bicchiere di acqua nell’imbarazzo del cameriere che esitava a disporre le bevande, ma alla fine decideva di appoggiarle davanti a quella bizzarra umana teiera sconvolta da tanta incapacità.

Una volta allontanatosi il pinguino, la donna recuperava una strana calma. Sdraiava l’intera sigaretta sul posacenere e distribuiva quanto ordinato secondo un preciso ordine. L’acqua davanti alla poltroncina vuota. Il caffè sotto al suo bricco. Faceva un cenno quasi di cincìn e blaterando suoni che non arrivavano alla platea trangugiava il caffè in un sorso. Quindi apriva la bustina, la versava dentro la tazzina e girava i granelli allo spasimo, fino a che li raccoglieva a più riprese con il cucchiaino e li gustava deglutendo inquieta quanto in bocca aveva appena sciolto.

E mentre s’addolciva, il parlare defluiva ritmato da pause che nessuno dall’altra parte riempiva, ma che lei rigorosamente rispettava dondolando la testa, a tratti scuotendola per la comprensione che non riceveva. E i minuti diventavano un’ora e anche più. E la gente attraversava incurante la piazza che nell’attardarsi del giorno si andava aranciando. E gli avventori si alternavano agli altri tavolini. Lei ancora lì: non la vedeva nessuno, e nessuno lei vedeva, se non chi davanti a lei non c’era. Poi in un momento incalcolabile, quando le cicche le avevano spento anche l’anima e sfumato ogni desiderio, chiedeva il conto sbandierando minacciosa l’ultima sigaretta a mo’ di marchiatore di bestie. Il cameriere giungeva quasi lanciando il biglietto per il timore di subirne le conseguenze, per il disagio di entrarvi in contatto.

Frugava nel borsello ciondolo le monete che sapevano d’elemosina e maniacale le impilava precise a torre accanto al posacenere. Afferrava il collo alla borsa, raccoglieva le sue curve flaccide e salutava chi non c’era, quasi sputandogli addosso, tanta era la saliva che sporgeva a spuma dal labbro inferiore. Poi scavalcava la siepe nel punto esatto in cui il varco non teneva e s’allontanava sbuffando come una teiera appena messa sul fuoco. La tazzina era vuota, il bicchiere di acqua ancora pieno.

Il cameriere finalmente poteva sparecchiare.

***

“Non ancora, grazie debbo bere.”
“Scusi pensavo la signora fosse sola.”
“Sono arrivata tardi. Posso?”
“Certo, mi scusi si accomodi pure… non avevo capito.”
“Lei non capisce mai!”
“Come scusi?”
“Ogni volta non mi fa finire.”
“In che senso?”
“Porta via tutto senza aspettare.”
“Ma scusi cosa dovrei aspettare?”
“Che io beva.”
“Ma la signora se n’è andata …”
“Il bicchiere è per me e io mi siedo se e quando voglio.”
“Va bene… ma io come facevo a saperlo?”
“Stia più attento nello svolgere il suo lavoro, non deve solo sperare di finirlo presto e di pulire subito. Lei ce l’ha scritto in fronte: fuori uno, uno in meno.”

E solfeggiando con la mano finalmente mi sedetti al tavolino. Con la schiena dritta, come una caffettiera napoletana che aspetta di esser girata appoggiai sul piano la mia borsetta a bauletto. Estrassi gli occhiali, li inforcai e guardai la piazza attraverso la lente di quel vetro pieno. Poi lentamente rovesciai il bicchiere e mi misi a guardare il rigagnolo del liquido che lento si faceva strada sulla tovaglia e s’avviava a affrontare il grande salto verso terra.

“Aspetti, aspetti… asciugo e gliene porto un altro.”

“No! Bere non è la risposta e bevendo dimentichi la domanda. Ha visto come ci si può ridurre a bere? Si parla da soli, come la signora che se n’è appena andata!”

E mentre il cameriere si allontanava, sentii chiaramente le parole dell’ottuso che non aveva capito niente: “Bisogna che smetta di non bere, non vale a nulla essere astemio.”

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