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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi tag: Lorenzo Pataro

LA POESIA PRENDE VOCE: FRANCESCA SERRAGNOLI, ROSARIA DI DONATO, DAVIDE CORTESE, LORENZO PATARO

02 domenica Apr 2023

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

≈ 4 commenti

Tag

Davide Cortese, Francesca Serragnoli, Lorenzo Pataro, Maria Allo, Rosaria Di Donato

La poesia prende voce

POETI DI OGGI

Francesca Serragnoli

Poesia di Francesca Serragnoli da “La quasi notte” Medusa C 2020, legge la stessa autrice

Rosaria Di Donato

Poesia “il padre il figlio” di Rosaria Di Donato, tratta da” Preghiera in Gennaio”, Macabor Editore 2021, legge la stessa autrice

la silloge si può acquistare rivolgendosi direttamente all’Editore: https://www.macaboreditore.it/home/libri/hikashop-menu-for-products-listing/product/166-preghiera-in-gennaio.html

Davide Cortese (ph. Rino Bianchi)
Rome February 16, 2020. Davide Cortese, native of Lipari, poet, photographed in Rome in the church of Sant’Agata de ‘Goti/Davide Cortese, nativo di Lipari, poeta, fotografato a Roma nella chiesa di Sant’Agata de’ Goti.

Poesia tratta da “Darkana” di Davide Cortese, Edizioni Lieto Colle, 2017, legge lo stesso autore

Lorenzo Pataro

Poesia di Lorenzo Pataro da “Amuleti”, Ensemble, 2022, legge lo stesso autore

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“Amuleti ” di Lorenzo Pataro, Ensemble poesia 2022

22 mercoledì Giu 2022

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA, Segnalazioni ed eventi

≈ 1 Commento

Tag

Amuleti, Ensemble, Lorenzo Pataro

«Lorenzo Pataro è nato nel secolo sbagliato, o migliore di tutti a seconda dei punti di vista, per offrire la sua voce di poeta radicale. La sua è una parola di luce e vertigine, di visione e tragedia. È poesia. Autentica. Che se ne frega dei secoli e dei regnanti». Daniele Mencarelli

Potremmo dirci salvi soltanto
tra il freddo delle mura nella casa
di campagna, nell’aperto grido dello spazio
salvi soltanto nel vecchio pagliaio
diroccato incontro alle tele impolverate
nella luce sotto il melo o fra le tegole
spostate, umidi sui greppi o tra le fronde
pronti a gettarci come semi nella terra
salvi come scarti – come la scorza del frutto
spellata dalla lama.

Insegnami la quiete delle gazze
di vedetta sui cipressi
e recita al contrario rovesciati
tutti i salmi che conosci
come fosse un cifrario per il volo,
impara dal silenzio tra i richiami
il segreto di ogni correre in picchiata,
posa la tua insonnia e la tua febbre
– di pane che lievita la notte –
sulle tegole spostate dalla pioggia
e aspetta che ogni passero
spezzi l’ala come un’ostia contro il vento
che ripeta in ogni verso
il miracolo dell’uva che fermenta
ciò che ha visto da lontano
ciò che brilla tra la rena del torrente
e nel raduno dei frammenti nel suo nido
scopre qualcosa che non sai, che non cerchi,
che punge quando dormi nelle scapole
ferite dal respiro troppo umano.

Una fibra di legno rovente tra i passi – la senti? – fa eco ai resti dei merli sotto la terra, chiama e spalanca o dilacera un nome, lo gira sciamanico leggero sul palmo, batte il tamburo, evoca uno spirito antico, il canto lacero delle balene – l’amu leto di pietra che pende dal collo stacca la pelle, scopre il magma perduto, la punta sottile che riga e spolpa le ossa da gli ultimi resti di carne e si macera il gelo (o la nebbia) coi fuochi accesi dai ragazzi a notte sulla riva del fiume e il tonfo di qualcosa che cade dai rami del pioppo nero lucente sveglia un bambino scomparso che dorme nella tana viscerale dei tassi e il tuo occhio che pulsa caldo di febbre è il richiamo del bosco alla fuga o alla resa.

Se dico casa, non avrai riparo. Se dico pane.
Se dico grano tu lieviti e ti spalanchi nel mio nome.
Siamo nati. “Alberi case colli per l’inganno consueto”.
Se dico àncora, mi abissi. Siamo nati.
Gettati in un nome verso un nome.
Se dico tetto mi scoperchi, se dico cielo
mi nevichi e mi scardini dal corpo.
Con la grazia dei vulcani. In quello
stare delle cose illuminate per sé stesse.
Se dico sillaba, fonemi si sparpagliano
e poi il gelo li ricuce, li spoglia
e fa nuda la parola, esposta
e divina come un barbaro in esilio.
Adesso. Se lo dico, già è passato.
Siamo nati. Gettati in un nome verso un nome.

Stella di grafite, ti ho gettato
tra le onde, lieve combustione.
Luce primitiva, fammi iena
fammi aratro, braccato
nella nebbia. Luce-grembo.
Ti ho gettato in tutti i pori
nascita ulteriore, dono dei relitti,
fatica del restauro, sapiente oro.

Entriamo nella nebbia dei corpi,
siamo fari, ci arriva fino al petto, tutta
intera proprio adesso la nostra
debolezza scorticata come i lupi
dell’inverno insieme a quello stare sulla soglia
dove ognuno è la propria nostalgia, quel
momento proprio quello in cui tutto arriva
allo scoccare delle ore, quella voglia
quella furia che divide le frontiere,
ci arriva al midollo e ci attraversa
ci unge della fame che hanno i cani,
ci arriva improvviso come il sale
nell’arteria di uno scoglio quel respiro
che solleva la marea e ci battezza.

Capire che l’Altro è una fiamma:
se la tocchi col dito
o la spegni o ti bruci.

Dicono che ci passerà, questa pigrizia viscerale, il male è ovattato nella stanza, non sentiamo aria respirare nemmeno da una mosca, dicono che il seme disperso ha causato nascite improvvise, lì fuori, la finestra ha favorito il passaggio dei cromosomi, abbiamo bevuto tutto il nettare dai seni sospesi di Madre-Noia, dicono che non resta altro se non piangere, spingere fuori la gioia dalle zampe – come un animale – e dargli un nome, sentirla urlare.

Quanto siamo transitori. Da un buio
verso un altro, piccoli graffi di luce.
Ferite che brillano, schegge nell’aria.
Braccati, con le fiaccole spente
dal vento. Piccole scie. Di una parola
soltanto, dilla adesso, adesso che hai
un altro nome. Benedetto il tuo bacio,
benedetto il tuo fuoco, benedetti gli astri
del corpo, benedetto il grano nel capo,
benedette le mani, le braci negli occhi,
benedetto il tuo passo di neve, benedetto
ogni singolo soffio, ogni gioia che arde,
benedetto ogni sguardo lasciato, benedetta
ogni ora negli anni a venire, benedetto
il nome che hai ora, benedetto sia
tutto il creato celeste in cui voli,
benedetto il tuo amore che è sparso
nel cosmo, benedetta ogni fibra leggera,
ogni spina, ogni graffio, ogni fiamma
riaccesa, splendore di quarzo, miracolo
d’acqua, benedetto ogni seme gettato,
benedetti i germogli, il miracolo, il dono
di esserci stata.

Lorenzo Pataro (Castrovillari, 1998) ha pubblicato la raccolta di poesie Bruciare la sete (Controluna, 2018). Sue poesie sono state pubblicate su ri – viste e blog come Atelier, Interno Po – esia, Poesia del nostro tempo, Clan – Destino, Il sarto di Ulm – bimestrale di poesia, sul sito ufficiale di poesia della Rai (Poesia, di Luigia Sorrenti – no), sul quotidiano La Repubblica. Ha vinto i premi “Ossi di seppia” (2021) e “Poeti oggi” (2022)

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Versi trasversali

19 lunedì Nov 2018

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA, Poesie, Versi trasversali

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Tag

Lorenzo Pataro

Piet Mondrian, Composition with large red plane, yellow, black, gray and blue (1921)

La poesia è anche incontro, una geometria di rette a volte parallele, altre volte perpendicolari. Similmente al quadro di Mondrian un reticolato vivo e riccamente colorato. Nell’ambito della nuova rubrica Versi Trasversali, presentiamo la poesia di …

LORENZO PATARO

 

L’incontro

Sul treno galeotto dell’alba,

una luce e una voce

ti hanno dato

la forma speculare

del mio tavolo ideale apparecchiato.

 

Sei arrivata

come una lama madida d’arancia

a squarciare il mio amore

gettato in un vicolo cieco.

 

La freccia è stata

come la carta

quando taglia le dita.

Vedi il sangue,

ma non la ferita.

*

Attraversarsi

Dopo la tua freccia

lascia che anch’io

ti attraversi

come un frusciante foglio di luce

sottotono e sottovoce.

 

Un fiume che bacia

con gli occhi chiusi

la sua foce.

*

Promessa fragile

Immagina

di buttarti

a capofitto

nel vuoto

e che ci sia

io

lì sotto

a salvarti.

È questa

la fragile promessa

che vorrei farti.

 

Di afferrarti

anche quando sarà impossibile.

*

Icaro

Un giorno di questi

voleremo via

come stormi di uccelli

impauriti dai temporali.

 

E se il sole

brucerà le nostre ali,

cadremo in mari senza fondali

stringendoci le mani,

liberandoci dai mali.

*

Darsi al vento

Ingoiare per sbaglio i noccioli delle ciliegie:

errore di fatalità diresti

istante negato che si partorisce dal buio

emerge dai cunicoli della gola

e li addenta come una madre quando vorace

trascina dai polsi il suo bambino

per insegnargli la ferocia dell’ascolto.

 

Ritirare la sete:

difetto di volontà diresti

istante scelto che si contorce

al sole, come ritira la lingua la serpe,

la saliva amara.

 

Spezzare la punta della matita

sentire le vertebre stridere

con la grafite:

errore di precisione diresti

pugile flaccido

bersaglio mancato per un soffio

troppa superbia nell’impugnare l’arma.

 

– Siamo fatti per cadere –

ti dico

mente ti ergi a un millimetro

dal mio gettare

e vorresti che i coltelli

non sviscerassero il vuoto.

*

L’estinzione

Dopo tanta fugace combustione,

alle fiamme miracolose dell’incendio

l’acqua indiscreta fuoriuscita dalle bende strappate

ha messo punti

dov’erano previste virgole.

 

Dei fuochi

sono rimaste solo poche briciole grigie

disperse tra l’erba notturna

che ci accolse come ustionati orfani

in fuga da un corrosivo ardere.

 

Troppa accecante luce

ha mascherato

i volti plasmati dall’amorosa Idea

che dell’Amore costruisce un’arenosa statua chimerica

pronta a dissolversi al primo liquido disvelamento.

*

Penisole orfane

Rimaniamo sul bordo delle rose

ad osservarle, a guardarci dentro,

attaccati al filo che ci stringe le spalle,

pronti a spiccare il volo

come petali scagliati da un bambino

per guardare come si staccano dal grembo.

 

Rimaniamo sul bordo

di ciò che fummo

e non siamo più,

penisole orfane

nuotiamo verso nuove rive,

nuove spine con cui ferirci.

 

Testi tratti da Bruciare la sete, Controluna, giugno 2018

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