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strapparti dal mio luogo più remoto,
dallo strato ultimo prima dell’inesistenza,
dal lembo estremo prima di spirare
è stato estirpare alle radici,
sciogliere la stretta
che risparmiava la caduta,
il rovinio a valle che non frena
e quanto fragore,
i rami spezzati,
il tronco scorticato,
le foglie in agonia,
strapparti dal mio cielo
dov’eri astro e firmamento,
angelo superstite in camicetta e gonna,
è stato spegnere la luce,
rimanere al buio in questo mare
e non avere più una terra da toccare.
(dalla raccolta “Variazioni su un dolore solo” di pubblicazione prossima)
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cerco una qualche ragione
un presagio nel cielo
un sussurro di Dio
l’annuncio cifrato
di avventi migliori
(e sui muri di calce
nascerebbero fiori,
il soffitto una festa
di mille colori
e tu coi capelli
sulla grazia del seno)
ma qui sulla terra è ancora rapina,
il cielo è una bocca che ha labbra cucite
ed io che scrivo col fiato sul vetro
un’estrema preghiera ai confini del mondo:
ascoltami Dio
Dio delle maree
Dio lontano mille pianeti
Dio degli astri
io quaggiù
vivo ancora perduto.
Francesco Palmieri
