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Johnnie Sayre

Papà, non saprai mai
l’angoscia che mi strinse il cuore
per la mia disobbedienza, quando sentii
la ruota spietata della locomotiva
affondarmi nella carne urlante della gamba.
Mentre mi portavano dalla vedova Morris
vidi ancora nella valle la scuola
che marinavo per saltare di nascosto sui treni.
Pregai di vivere fino a chiederti perdono-
e poi le tue lacrime, le tue rotte parole di conforto!
Dalla consolazione di quell’ora ho ricavato una felicità infinita.
Sei stato saggio a scolpire per me:
«Strappato al male a venire».

Edgar Lee Masters

L’Antologia di Spoon River è una raccolta di epitaffi espressi in forma poetica, con i quali i defunti stessi riepilogano gli aspetti salienti della propria vita o della propria morte con accenti di profonda verità. Essendo morti appunto essi si affrancano dai vincoli del pudore e dell’ipocrisia, e possono raccontare tradimenti, violenze, cattiverie e inganni, episodi che hanno segnato l’intera esistenza e dei quali sono stati testimoni, vittime carnefici o artefici senza contenersi, non tanto nella prolissità, che anzi questi epitaffi sono a volte estremamente brevi e, pertanto, anche “fulminanti”, quanto nella sincerità. Colpisce che un’intera vita possa essere riepilogata in così poche parole: un’ iscrizione  sulla pietra tombale, scarna quanto basta per sembrare scolpita nella pietra. Incisa e incisiva dunque, per la sua stessa sua natura d’essere una voce dall’aldilà,  proveniente da uomini e donne ancora memori delle loro vicende umane, adesso alle prese con l’altra misteriosa faccia della (non) esistenza.

Edgar Lee Masters è l’autore di questa Antologia, scritta tra il 1914 e il 1915 e pubblicata sul Mirror di San Luis L’ambientazione è a Spoon River una cittadina statunitense immaginaria del Mid West con la ferrovia e la collina, col fiume e le case. I personaggi immaginati da Lee Masters che sono autori degli epitaffi sono invece veramente esistiti in due paesini nei pressi di Springfield, alcuni di loro ancora vivi, alla pubblicazione dell’opera, riconoscendo le proprie storie e i propri segreti, furono risentiti con l’autore per questa impietosa esposizione.

Non esito a definire quest’opera geniale, l’intuizione di Edgar Lee Masters ha consegnato al mondo qualcosa di sublime, veramente poetico specialmente in certi versi di grande suggestione, altrettanto impressionata ne fu Fernanda Pivano che ricevette questa raccolta da Cesare Pavese e la tradusse, in un’epoca nella quale discorsi di libertà, pacifisti e anticonvenzionali non potevano essere fatti senza conseguenze ed infatti, pubblicata la raccolta con Einaudi nel 1943, la Pivano subì perciò il carcere. Più di recente il cantautore De Andrè si è ispirato ad alcune liriche della raccolta per comporre la sua canzone: Non al denaro o all’amore nè al cielo.

Credo che la lettura dell’Antologia di Lee Masters abbia influenzato molti poeti statunitensi e non e rimanga tutt’ora una sorta di passaggio obbligato di  formazione poetica, ma anche umana. Quando la vita viene raccontata da un cimitero si spoglia di qualunque sovrastruttura ed emerge per ciò che è in tutta la sua forma e forza che si oppone alla morte, nonostante il dolore, le disgrazie, per dignità e coraggio di certi protagonisti, per la saggezza di altri, per l’etica che traspare dalle considerazioni di alcuni, disponendo sul foglio la vasta e varia umanità che l’esistenza ci propone. L’opera è tutta pervasa da una componente nel contempo emozionale e disincantata. Non credo che paragonare Lee Masters ai grandi della letteratura mondiale da Dante a Withman sia improprio.

Di tutta l’opera, che contiene oltre 250  poesie aventi per titolo il nome del defunto, ho scelto questa che propongo nel mercoledì in forma alchemica perché la trovo paradigmatica dell’opera per sintesi, efficacia e soprattutto perché trasmette quel non so che di tremendamente struggente che sta nelle parole di chi non c’è più e racconta se stesso, il momento drammatico della morte, essendo giovane figlio che parla a suo padre.

La poesia dice il pentimento del figlio che marina la scuola non dando ascolto al padre, l’incidente di essere travolto dal treno, il dolore della carne urlante della gamba, il soccorso inutile, il dolore del padre che accorre al capezzale del figlio morente, il perdono e la conclusione della frase scelta per la pietra tombale approvata dal figlio stesso come grande verità “Strappato al male a venire”

Dedico questo post al giovane sfortunato Fabiano Antoniani, più noto come Dj Fabo, vittima di un incidente che lo ha paralizzato e reso cieco. Egli ha scelto di morire oggi praticando l’eutanasia assistita in una clinica svizzera.

Nessuna immagine per Fabo, solo poesia.

Loredana Semantica