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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi tag: poesia

Riflessioni sulla poesia di Alfredo Panetta – Una vita in scrittura

21 mercoledì Dic 2022

Posted by Antonella Pizzo in Una vita in scrittura

≈ 1 Commento

Tag

Alfredo Panetta, poesia, poesia contemporanea, Poesia dialettale, Una vita in scrittura

panetta

per “una vita in scrittura” ho rivolto l’invito ad  Alfredo Panetta che lo ha interpretato come segue e che ringraziamo per il suo interessante  contributo. Antonella Pizzo

 Una vita in scrittura 

Riflessioni sulla poesia di Alfredo Panetta

Cosa non è poesia? E quanto contano i luoghi per diventare poeti? Parto da questi due cippi per raccontarmi. La seconda domanda è più facile, la prima è a forte rischio retorico. Proverò ad evitare la trappola dell’elenco. Mi sento fortunato, ho vissuto due vite diametralmente opposte. La prima in un paese sperduto delle colline joniche calabresi, la seconda nell’unica metropoli italiana. Dall’innesto tra questi due luoghi si è concretizzata la mia poesia. Oggi non saprei immaginarmi privo di versi. Almeno uno al giorno, un piccolo mattoncino. Ma torniamo ai luoghi, ai contrasti. Per scrivere ho bisogno di concretezza, di materia che scintilli. Mi serve la terra per immaginare il volo. Mi serve l’odore del cemento per innescare la potenza della memoria. Mi servono i tondini arrugginiti, le crepe sui muri, il profumo di elicriso per raccontare la tragedia del ponte Morandi. È come se, per scrivere, abbia bisogno dei miei strumenti acquisiti nei primi anni di vita. Mi sento un artigiano (lo sono per guadagnarmi da vivere) delle parole, le mie parole. E in questo bagaglio ben fornito è necessaria la parlata dialettale. Il dialetto mi fa stare a casa, ovunque sia. È il mio amico intimo, l’energia che mi sostiene, l’amante che non pretende nulla. Dialetto e italiano lavorano a braccetto, nessuna antipatia. Le mie non sono versioni ma riscritture. I testi devono funzionare in entrambe le lingue. Il dialetto mi permette di mantenere uno sguardo vergine sulla realtà, mi costringe a guardare da vicino le cose, a chiamarle col loro nome. La parola e la cosa coincidono. Continua a leggere →

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Emilio Capaccio traduce Edgar Allan Poe

02 mercoledì Nov 2022

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

≈ Commenti disabilitati su Emilio Capaccio traduce Edgar Allan Poe

Tag

Emilio Capaccio, poesia, traduzioni

Le invisibili cose sono le uniche realtà.

E. A. P.

Edgar Allan Poe (1809-1849), traduzioni di Emilio Capaccio. Qui altre poesie di Edgar Allan Poe tradotte da Emilio Capaccio.


ANNABEL LEE

Fu molti e molti anni or già,
in un regno alla ripa del mar,
ch’una fanciulla visse e saperla potete
col nome d’Annabel Lee; —
senz’altri pensieri vivea la fanciulla
ch’amarmi ed esser amata.

Bambino ero io, bambina era lei,
in questo regno alla ripa del mar;
con sì amor abbiam amato che più era dell’amor stesso —
io e la mia Annabel Lee —
con sì amor che del ciel alati angeli
furono a invidiar lei, a invidiar me.

Questa la cagion che, tanto tempo or già,
in un regno alla ripa del mar,
il vento da una nube sbuffò,
raggelando la cara Annabel Lee;
e vennero i suoi nobil propinqui
da me a portarla via,
e in un sepolcro la riposero,
in questo regno alla ripa del mar.

Gli angeli, nel ciel non così felici,
furono a invidiar lei, a invidiar me —
Sì! questa la cagion (come tutti sanno,
in questo regno alla ripa del mar)
che il vento di notte dalla nube uscì,
a raggelar la mia Annabel Lee.

Ma era il nostro più forte dell’amor
di quelli più grandi di noi —
di molti di quelli più saggi di noi —
e né lassù gli angeli del ciel,
né i demoni sottomar,
posson dalla mia mai separar
l’anima della cara Annabel Lee: —

Perché luna non brilla che non porti sogni
d’Annabel Lee; né sorgon stelle,
ch’io non senta i fulgidi occhi d’Annabel Lee: —
così, in notturna marea, accanto m’adagio
alla mia cara, mia vita, mia sposa,
là, al suo sepolcro sulla ripa del mar —
sulla ripa del risonante mar. 


ANNABEL LEE

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Lúcio Cardoso traduzioni di Emilio Capaccio

29 giovedì Set 2022

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

≈ 1 Commento

Tag

Emilio Capaccio, Lucio Cardoso, poesia, traduzioni

C’è un’epoca in cui la delusione,
la fatica della lotta,
l’intima convinzione che in fondo
la vita non vale così grandi sforzi,
diventano, per taluni spiriti,
un nembo che a poco a poco s’allarga,
fino a oscurare l’orizzonte intero.

L. C.

Lúcio Cardoso (1912-1968)

traduzioni di Emilio Capaccio 


ALBEGGIARE

La notte è in me
ruota nel mio sangue.
Sento sbattere nella mia bocca
le pupille cieche della luna.
Sento le stelle come dita
smuovere la solitudine in cui cammino.
Poi il profumo della poesia
sale ai miei occhi tremanti, serrati,
odo la musica delle cose che si ridestano
sul corpo nero della terra
e la voce del vento distante,
la voce delle palme che s’aprono in raggi,
la voce dei fiumi che scorrono.
E la notte è in me.
Come un uccello
il mio sogno solleva le ali nel cuore dell’ombra.
Ascolto la musica dei fiori che cadono,
il chiasso delle nubi che passano,
e la mia voce che s’alza
come una preghiera nella pianura solitaria.
Allora sento la notte fuggire da me,
sento la notte fuggire dagli uomini
e il sole che avanza a cavallo del mare
e le nubi curvate che riempiono il cielo
come grandi destrieri di fuoco
che svaniscono risucchiati con l’oscurità.
 
AMANHECER

A noite está dentro de mim,
girando no meu sangue.
Sinto latejar na minha boca,
as pupilas cegas da lua.
Sinto as estrelas, como dedos
movendo a solidão em que caminho.
Logo o perfume da poesia
sobe aos meus olhos trêmulos, cerrados,
ouço a música das coisas que acordam
sôbre o corpo negro da terra
e a voz do vento distante
e a voz das palmeiras abertas em raios
e a voz dos rios viajantes.
E a noite está dentro de mim.
Como um pássaro,
meu sonho ergue as asas no coração da sombra.
Ouço a musica das fiôres que tombam,
o tropel das nuvens que passam
e a minha voz que se eleva
como uma prece na planície solitária.
Então sinto a noite fugindo de mim,
sinto a noite fugindo dos homens
e o sol que avança na garupa do mar
e as nuvens curvas que enchem o céu
como grandes corcéis de fogo côr-de-rosa
desaparecendo sugados pela treva.  


UNICA POESIA D’AMORE

tutto così calmo
la vita che sonnecchia
com’ora che cade senza rumore
nella pianura del mio pensiero…
foglie morte che non volano,
uccelli fissi che non cantano,
acqua stagnante che non scorre…
e il corpo tuo come un giglio sulla terra,
e muta la terra, impregnata di profumo,
gli occhi tuoi grandi come fiori notturni,
fiori che s’aprono nella dolciura del silenzio
e l’ombra mia, nuvoletta perduta
affacciata sui tuoi inerti capelli
che fluttuano, fluttuano sull’acqua della pianura…

 
ÚNICO POEMA DE AMOR

tudo tão calmo
a vida dormindo
como agora que tombasse sem murmúrio
na planície do meu pensamento …
folhas mortas que não voam,
pássaros imóveis que não cantam,
água parada que não corre …
e teu corpo como um lírio sobre a terra,
e a terra muda impregnada de perfume,
teus olhos grandes como flores noturnas,
flores que se abrem na doçura do silêncio
e minha sombra como uma nuvem perdida
debruçada sobre teus cabelos imóveis
que bóiam na água da planície…
 
POESIA DEL FERRO E DEL SANGUE

Hanno dimenticato i campi scompigliati
dove vegetano perdute
le ossa oscure
calcinate
di dieci milioni di morti.

Hanno dimenticato le croci improvvisate
che sollevano in alto
preghiere di rami contorti.

E hanno dimenticato il rumore delle granate
rivoltando la terra e i vivi
divorando e i morti
annientando.
 
POEMA DO FERRO E DO SANGUE

Esqueceram os campos revolvidos
onde vegetam perdidos
os ossos obscuros
calcinados
de dez milhões de mortos.

Esqueceram as cruzes improvisadas
erguendo para o alto
preces de galhos retorcidos.

E esqueceram o rumor das granadas
revolvendo a terra e os vivos
devorando os mortos
destruindo.
 
RICETTA DELL’UOMO

Poi deve esser alto,
senza far pensare al freddo stile della palma.
Quanto basti moro per vedersi
tinti i capelli dal sol d’agosto.
E non troppo biondo, talché d’improvviso
nei suoi occhi scintilli qualcosa della zigana patria assopita.
E che abbia mani grandi, per lunghe carezze
e addii rallentati dal peso stesso del gesto.
Anche piedi grandi, perché no,
cosicché i ritorni siano brevi
e ch’abbiano animo a camminar con altri piedi.
Gli occhi parlino, parlino sempre, parlino
d’amore, gelosia, morte o tradimento.
Ma che parlino. Perché senza la musica degli occhi
l’uomo è come una tomba al sol di mezzogiorno.
E possa la risata ricordar un po’ dell’infanzia,
affinché abbia, nel fervor del bacio,
una memoria di pitanga e mora pesta.
Ah, il corpo! S’avvicendino albe per il gentil petto,
e scurisca la calugine fin al sesso velato.
(Ma non del tutto.)
E il suo passo ricordi la danza, ma solida danza,
e parli la sua scia di profumo, senza profumo,
e lenti scorrano fiumi sui fianchi ieratici.
E che canti, senza cantare,
per tutta la sua umana tessitura,
affinché anche le cose attorno a lui cantino,
allorquando, come il prim’uomo,
nudo s’erge davanti al mare. 


RECEITA DE HOMEN

Depois deve ser alto,
sem lembrar o frio estilo da palmeira.
Moreno sem excesso para que se encontre
tons de sol de agosto em seus cabelos.
E nem louro demais para que, de repente
no olhar cintile algo da cigana pátria adormecida.
E que tenha mãos grandes, para demorados carinhos
e adeuses que se retardem ao peso do próprio gesto.
Pés grandes, também, por que não,
para que os regressos sejam breves
e haja resistência para as conjuntas caminhadas.
Os olhos falem, falem sempre, falem
de amor, de ciúme, de morte ou traição.
Mas que falem. Porque o homem sem a música dos olhos
é como sepultura exposta ao sol do meio-dia.
E que o riso relembre um pouco da infância,
para que se tenha, no fervor do beijo,
uma memória de pitanga e amora esmagadas
Ah, o corpo! Sucedam alvoradas ao longo do tórax gentil,
e escureça a penugem até o sexo velado.
(Mas não definitivamente.)
E o seu passo lembre a dança, mas com firmeza,
e o seu rastro fale de perfume, sem perfume
e escorram pausados rios em seus flancos hieráticos.
E que ele cante, sem cantar
por toda a sua humana contextura,
para que também em torno dele as coisas cantem,
quando, como o primeiro homem,
nu ele se erguer defronte ao mar.
 
A UNA STELLA

Il mio dominio è quello del sogno,
la mia gioia, del ciel c’abbuia la bufera
il mio domani al chiar della disperazione.
Solo tu sai il segreto della mia predestinazione.
Solo tu sai l’estensione di tanto dover andare,
solo tu sai l’umile casina in cui ho vissuto.
Chi saprebbe spezzare il sortilegio che m’attornia,
O rosso sole, alba dei moribondi?

Ma mai rifletti il gesto che condanna.
Questo paese, ahimè, è d’arido eterno!
Se dall’alto la stella non guarda la palude,
più grande allor del suo splendore è la sua malignità.

E tu, Vespero, solo tu placherai il mio desiderio,
solo tu potrai deporre, su quest’aggrinzita carne,
il bacio che nelle tenebre dà al sonno il sereno del riposo.
 
A UMA ESTRELA

Meu domínio é o do sonho,
minha alegria é a do céu que a tormenta obscurece,
meu futuro é aquele que amanhece à luz do desespero.
Só tu saberás o segredo da minha predestinação.
Só tu saberás a extensão de tantas caminhadas,
só tu conhecerás a casa humilde em que morei.
Quem saberia romper o sortilégio que me cerca,
ó sol vermelho, aurora dos agonizantes.

Mas não reflitas nunca o gesto que condena.
Ai, este país é o da eterna aridez!
Se da altura a estrela não baixar o olhar ao pântano,
maior será a sua impiedade que o seu esplendor.

E só tu Vésper, só tu aplacarás o meu desejo,
só tu poderás depositar, nesta carne crispada,
o beijo que nas trevas dá ao sono a serenidade do repouso.

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Fernando Pessoa. Traduzioni di Emilio Capaccio

19 giovedì Mag 2022

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

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Emilio Capaccio, Fernando Pessoa, poesia, traduzioni

La vita è ciò che facciamo di essa.

I viaggi sono i viaggiatori.

Ciò che vediamo non è ciò che vediamo,

ma ciò che siamo.

F. P.

Fernando Pessoa (1888-1935), traduzioni di Emilio Capaccio 

QUANDO VERRÀ LA PRIMAVERA

Quando verrà la primavera
se sarò già morto,
i fiori fioriranno della stessa maniera.
E gli alberi non saranno meno verdi della primavera scorsa.
La realtà non ha bisogno di me.
Sento un’allegria enorme
nel pensare che la mia morte non abbia alcuna importanza.
Se sapessi che domani morirei
e la primavera venisse dopo domani
morirei contento perché essa verrebbe dopo domani.
Se la primavera è il suo tempo, quando dovrebbe arrivare se non nel suo tempo?
Mi piace che tutto sia reale e che tutto sia certo;
e mi piace perché così sarebbe, anche se non mi piacesse.
Per questo, se muoio adesso, muoio contento,
perché tutto è reale e tutto è certo.
Possono pregare in latino sulla mia bara, se lo vogliono.
Se lo vogliono, possono danzare e cantare a ruota di essa.
Non ho preferenze per quando non è più possibile avere preferenze.
Qualunque cosa, quando sarà, sarà per quello che è.
 
QUANDO VIER A PRIMAVERA

Quando vier a Primavera,
Se eu já estiver morto,
As flores florirão da mesma maneira
E as árvores não serão menos verdes que na Primavera passada.
A realidade não precisa de mim.
Sinto uma alegria enorme
Ao pensar que a minha morte não tem importância nenhuma
Se soubesse que amanhã morria
E a Primavera era depois de amanhã,
Morreria contente, porque ela era depois de amanhã.
Se esse é o seu tempo, quando havia ela de vir senão no seu tempo?
Gosto que tudo seja real e que tudo esteja certo;
E gosto porque assim seria, mesmo que eu não gostasse.
Por isso, se morrer agora, morro contente,
Porque tudo é real e tudo está certo.
Podem rezar latim sobre o meu caixão, se quiserem.
Se quiserem, podem dançar e cantar à roda dele.
Não tenho preferências para quando já não puder ter preferências.
O que for, quando for, é que será o que é.
 
HO COSÌ TANTO SENTIMENTO

Ho così tanto sentimento
che spesso mi convinco
di essere sentimentale,
ma riconosco nel valutarmi
che tutto questo è un pensiero
che alla fine non ho mai fatto.
Noi, tutti quelli che vivono,
abbiamo una vita che è vissuta
e un’altra che è pensata,
ma l’unica che abbiamo
in effetti, è quella che si divide
tra la vera e la falsa.
Quale tuttavia sia quella vera
e quale quella falsa,
nessuno potrà mai spiegarlo;
e viviamo di modo
che la vita che abbiamo
è quella che pensiamo.
 
TENHO TANTO SENTIMENTO

Tenho tanto sentimento
Que é frequente persuadir-me
De que sou sentimental,
Mas reconheço, ao medir-me,
Que tudo isso é pensamento,
Que não senti afinal.
Temos, todos que vivemos,
Uma vida que é vivida
E outra vida que é pensada,
E a única vida que temos
É essa que é dividida
Entre a verdadeira e a errada.
Qual porém é a verdadeira
E qual errada, ninguém
Nos saberá explicar;
E vivemos de maneira
Que a vida que a gente tem
É a que tem que pensar.
 

VEDO I PAESAGGI SOGNATI


Vedo i paesaggi sognati con la stessa chiarezza con cui fisso quelli reali. Se mi sporgo sui miei sogni è su qualcosa che mi sporgo.
Se vedo passare la vita, sogno qualcosa.

Qualcuno ha detto che le figure dei sogni hanno stesso rilievo e ritaglio delle figure della vita. Per me, anche se comprendessi che si usasse una simile frase, non la accetterei. Per me, le figure dei sogni non sono uguali a quelle della vita. Sono parallele.
 
VEJO AS PAISAGENS SONHADAS


Vejo as paisagens sonhadas com a mesma clareza com que fito as reais. Se me debruço sobre os meus sonhos é sobre qualquer coisa que me debruço.
Se vejo a vida passar, sonho qualquer coisa.

De alguém disse que para ele as figuras dos sonhos tinham o mesmo relevo e recorte que as figuras a vida. Para mim, embora compreendesse que se me aplicasse frase semelhante, não a aceitaria. As figuras dos sonhos não são para mim iguais às da vida. São paralelas.
 
NON VADO A TROVARE NESSUNO NON FREQUENTO ALCUNA SOCIETÀ


Non vado a trovare nessuno, non frequento alcuna società — né dentro i salotti, né dentro i caffè. Farlo sarebbe sacrificare la mia unità interiore, arrendersi a conversazioni inutili, rubare tempo quantomeno ai miei ragionamenti e ai miei progetti, se non altro ai miei sogni, che sono più belli delle chiacchiere altrui.
Mi devo all’umanità futura. Quanto di me sprecherei è il patrimonio divino possibile degli uomini di domani; ridurrei la felicità che potrei dargli e ridurrei me stesso, non solo ai miei occhi reali, ma agli occhi di Dio.
Può non essere così, ma sento il dovere di crederlo.
 
NÃO FAÇO VISITAS NEM ANDO EM SOCIEDADE ALGUMA


Não faço visitas, nem ando em sociedade alguma – nem de salas, nem de cafés. Fazê-lo seria sacrificar a minha unidade interior, entregar-me a conversas inúteis, furtar tempo senão aos meus raciocínios e aos meus projectos, pelo menos aos meus sonhos, que sempre são mais belos que a conversa alheia.
Devo-me a humanidade futura. Quanto me desperdiçar desperdiço do divino património possível dos homens de amanhã; diminuo-lhes a felicidade que lhes posso dar e diminuo-me a mim-próprio, não só aos meus olhos reais, mas aos olhos possíveis de Deus.
Isto pode não ser assim, mas sinto que é meu dever crê-lo.
 

 
NON HO MAI CUSTODITO GREGGI

Non ho mai custodito greggi
ma è come se li custodissi.
La mia anima come un pastore
conosce il vento e il sole
e va mano a mano con le stagioni
a seguire e a guardare.
Tutta la pace della natura senza gente
viene a sedersi accanto.
E io divento triste come un crepuscolo
per la nostra immaginazione
quando raffresca in fondo alla pianura
e si sente la notte entrare
dalla finestra come una farfalla.

Ma la mia tristezza è quieta
perché è naturale e giusta
ed è ciò che nell’anima deve esserci
quando essa pensa d’esistere
e le mani colgono fiori senza che se ne accorga.

Come uno scampanellio di sonagli
oltre la curva della strada,
i miei pensieri sono contenti.
Solo mi dispiace sapere che sono contenti,
perché se non lo sapessi
invece d’essere contenti e tristi,
sarebbero allegri e contenti.

Pensare è spiacevole come andare nella pioggia
quando il vento cresce e sembra piovere di più.

Non ho ambizioni né desideri
essere poeta non è una mia ambizione
è il mio modo di stare solo.

E se desidero a volte,
per divagare, essere un agnellino
(o tutto il gregge
a sparpagliarmi nella costa
ed essere al contempo tante cose felici)

è solo perché sento ciò che scrivo al crepuscolo
o quando una nuvola passa la mano sulla luce
e corre un silenzio attraverso l’erba.

Quando mi siedo a scrivere versi
o, passeggiando per sentieri e scorciatoie,
scrivo versi su un foglio che è nel mio pensiero,
sento un vincastro tra le mani
e vedo un ritaglio di me
in cima ad un’altura,
tenere d’occhio il mio gregge e vedere le mie idee
o tenere d’occhio le mie idee e vedere il mio gregge
e sorridere vagamente come chi non comprende
ciò di cui si parla e vuole fingere di comprendere.
Saluto tutti quelli che mi leggeranno,
togliendomi il largo cappello
quando mi vedono alla mia porta
non appena la diligenza s’eleva in cima alla collina.

Li saluto e gli auguro il sole,
e la pioggia, quando la pioggia è necessaria
e che le loro case abbiano
ai piedi d’una finestra aperta
una sedia prediletta
dove si seggano, leggendo i miei versi.
E leggendo i miei versi pensino
che io sia una cosa naturale ―
per esempio, un albero antico
all’ombra del quale da bambini
si sedevano con un tonfo, stanchi di giocare
e si pulivano il sudore dalla testa accaldata
con la manica del grembiulino a righe.
 
EU NUNCA GUARDEI REBANHOS

Eu nunca guardei rebanhos,
Mas é como se os guardasse.
Minha alma é como um pastor,
Conhece o vento e o sol
E anda pela mão das Estações
A seguir e a olhar.
Toda a paz da Natureza sem gente
Vem sentar-se a meu lado.
Mas eu fico triste como um pôr de sol
Para a nossa imaginação,
Quando esfria no fundo da planície
E se sente a noite entrada
Como uma borboleta pela janela.

Mas a minha tristeza é sossego
Porque é natural e justa
E é o que deve estar na alma
Quando já pensa que existe
E as mãos colhem flores sem ela dar por isso.

Como um ruído de chocalhos
Para além da curva da estrada,
Os meus pensamentos são contentes.
Só tenho pena de saber que eles são contentes,
Porque, se o não soubesse,
Em vez de serem contentes e tristes,
Seriam alegres e contentes.

Pensar incomoda como andar à chuva
Quando o vento cresce e parece que chove mais.

Não tenho ambições nem desejos
Ser poeta não é uma ambição minha
É a minha maneira de estar sozinho.

E se desejo às vezes
Por imaginar, ser cordeirinho
(Ou ser o rebanho todo
Para andar espalhado por toda a encosta
A ser muita cousa feliz ao mesmo tempo),

É só porque sinto o que escrevo ao pôr do sol,
Ou quando uma nuvem passa a mão por cima da luz
E corre um silêncio pela erva fora.

Quando me sento a escrever versos
Ou, passeando pelos caminhos ou pelos atalhos,
Escrevo versos num papel que está no meu pensamento,
Sinto um cajado nas mãos
E vejo um recorte de mim
No cimo dum outeiro,
Olhando para o meu rebanho e vendo as minhas ideias,
Ou olhando para as minhas ideias e vendo o meu rebanho,
E sorrindo vagamente como quem não compreende o que se diz
E quer fingir que compreende.
Saúdo todos os que me lerem,
Tirando-lhes o chapéu largo
Quando me vêem à minha porta
Mal a diligência levanta no cimo do outeiro.

Saúdo-os e desejo-lhes sol,
E chuva, quando a chuva é precisa,
E que as suas casas tenham
Ao pé duma janela aberta
Uma cadeira predileta
Onde se sentem, lendo os meus versos.
E ao lerem os meus versos pensem
Que sou qualquer cousa natural –
Por exemplo, a árvore antiga
À sombra da qual quando crianças
Se sentavam com um baque, cansados de brincar,
E limpavam o suor da testa quente
Com a manga do bibe riscado.
 
PREGHIERA

Signore, la notte viene e l’anima è vile.
Tanto fu lo sconquasso e la bramosia!
Ci rimane oggi nel silenzio ostile
il mare universale e la nostalgia.

Ma la fiamma, che la vita in noi creò,
se ancora ha vita, ancora non è spenta.
Il freddo morto in cenere la occultò:
la mano del vento può darle altra spinta.

Dia il soffio, la brezza – rovina o trepidanza –
affinché la fiamma dell’ardire venga in mostra,
e conquisteremo di nuovo la Distanza –
del mare o un’altra, ma che sia la nostra!
 
PRECE

Senhor, a noite veio e a alma é vil.
Tanta foi a tormenta e a vontade!
Restam-nos hoje, no silencio hostil,
o mar universal e a saudade.

Mas a chamma, que a vida em nós creou,
se ainda há vida ainda não é finda.
O frio morto em cinzas a ocultou:
a mão do vento pode erguel-a ainda.

Dá o sopro, a aragem – ou desgraça ou ancia –
com que a chamma do esforço se remoça,
e outra vez conquistemos a Distancia –
do mar ou outra, mas que seja nossa!
 
NON BASTA APRIRE LA FINESTRA

Non basta aprire la finestra
per vedere i campi e il fiume.
Non basta non essere ciechi
per vedere alberi e fiori.
È necessario anche non avere alcuna filosofia.
Con la filosofia non ci sono alberi: ci sono solo idee.
C’è soltanto ognuno di noi, come una caverna.
C’è soltanto una finestra chiusa e il mondo là fuori;
e un sogno di ciò che si potrebbe vedere se la finestra s’aprisse,
che mai è ciò che si vede quando la finestra s’apre.
 
NÃO BASTA ABRIR A JANELA

Não basta abrir a janela
para ver os campos e o rio.
Não é bastante não ser cego
para ver as árvores e as flores.
É preciso também não ter filosofia nenhuma.
Com filosofia não há árvores: há ideias apenas.
Há só cada um de nós, como uma cave.
Há só uma janela fechada, e todo o mundo lá fora;
e um sonho do que se poderia ver se a janela se abrisse,
que nunca é o que se vê quando se abre a janela.

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La vetrina di Limina: “Quasi madre” di Rita Pacilio – Pequod, Collana Rive, 2022

11 lunedì Apr 2022

Posted by Deborah Mega in Vetrina

≈ Commenti disabilitati su La vetrina di Limina: “Quasi madre” di Rita Pacilio – Pequod, Collana Rive, 2022

Tag

Pequod, poesia, Rita Pacilio

 

Fammi un favore… questa volta

mi è sembrato possibile riuscirci

qualcosa simile a togliere lo sporco

dalle mani o discutere nella striscia

d’ombra che raggela quando sono qui.

Non serve a niente arrivare in anticipo

cercare di piacerti un’altra volta.

Ci provo da quando ero bambina

nel catino freddo di nonna da cui uscivo

più piccola e più bianca.

Lascia perdere, non è così che diventi

fiume! Ma io scorro senza tregua,

senza consolazione ed è incredibile

quanto oceano sia diventata

nel vetro scuro dei tuoi occhiali

se ogni giorno appaio povera, profanata.

 

 

[…] Ecco allora Rita Pacilio mettere a nostra disposizione una poesia “calma”, una poesia della parola quotidiana (meno male!), una sabiana poesia onesta, rifiutandosi di accedere, tanto per fare qualche esempio, a qualsiasi “scatenamento” espressionista, o surrealista, o peggio, parole in libertà più o meno futuristiche, perché il suo progetto stilistico appartiene a un bisogno aurorale di poesia, giocata sulla figura della madre, non più come un colloquio con i morti di tanta lirica contemporanea, da Pascoli a Raboni, per esempio, ma invece come dialogo, con una presenza che disarticola continuamente la quotidianità e che possiede già “naturalmente” una propria disarticolazione. Una madre come completamento della stessa autrice. […]

Dalla postfazione di Piero Marelli

Rita Pacilio (Benevento, 1963) è poeta e scrittrice. Sociologa di formazione e mediatrice familiare di professione, da oltre un ventennio si occupa di poesia, musica, letteratura per l’infanzia, saggistica e critica letteraria. Direttrice del marchio Editoriale RPlibri è Presidente dell’Associazione Arte e Saperi. È stata tradotta in nove lingue. Sue recenti pubblicazioni: Gli imperfetti sono gente bizzarra, Quel grido raggrumato, Il suono per obbedienza, Prima di andare, La principessa con i baffi, L’amore casomai, La venatura della viola, Cosa rimane, Pretesti danteschi per riflettere di sociologia, Quasi madre.

 

https://www.rplibri.it/rita-pacilio/

 

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Norah Lange -Traduzioni di Emilio Capaccio

23 mercoledì Mar 2022

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

≈ 1 Commento

Tag

Norah Lange, poesia, traduzioni

Norah Lange (1905-1972)

Da quel braccio
da cui discendi
arriverai alla mano.
La mano aperta
che ti insegna ad amare
.

N. L.

LUNGO LA STRADA

Lungo la strada c’è un silenzio di parole impossibili
la sera prega in eremo di fuoco.
Sul luogo deserto
fanno penitenza le ombre
le stelle dondolano la scala
da dove gli angeli scenderanno sulla terra.
Goccia a goccia la mia vita si dissangua.

La sera una sola lacrima chiara
ogni ombra è un palpito del cuore che ci bacia.
Vicino, più vicino
è il cuore della notte.

Il silenzio piega gli istanti.
Ogni foglia è una parola in più
che dice la primavera quest’anno.
Per perpetuare l’emozione
la notte serra la parola che è nata.
 
EN EL CAMINO

En el camino hay un silencio de palabra imposible
La tarde reza en ermita de fuego
Sobre el despoblado
hacen penitencia las sombras
Las estrellas columpian la escalera
por donde bajarán los ángeles a la tierra
Mi vida se desangra gota a gota.

La tarde es una sola lágrima clara
Cada sombra es un latido que nos besa
Cerca, más cerca
el corazón de la noche.

El silencio doblega los instantes
Cada hoja es una palabra más
que dice la primavera este año
Para perpetuar la emoción
cerró la noche la palabra que nacía.
 
IL SOLE È CADUTO

Il sole è caduto
con ali spezzate
sopra un ponente.

I tuoi occhi si sono riempiti di crepuscoli pallidi.

È venuto l’eterno vuoto della tua presenza
e tutte le mie ore si sono riempite
di distanze.

Le tue lacrime scivolano
lungo il pendio d’un ricordo.

Il rosario dei tuoi baci
delle tue impronte
attende i tuoi passi.

Ritorna.

Forse alla tua finestra
un verso mio si dissangua.
 
EL SOL SE HABÍA CAÍDO

El sol se había caído
con las alas rotas
sobre un Poniente.

Tus ojos se llenaron de crepúsculos pálidos.

Vino el vacío eterno de tu presencia
y todas mis horas se llenaron
de distancias.

Tus lágrimas se deslizan
por la pendiente de un recuerdo.

El rosario de tus besos
de tus huellas
aguarda tus pasos.

Vuelve.

Acaso en tu ventana
un verso mío se desangra.
 
ALBEGGIARE

Nel cuore d’ogni albero
ha sussultato la mezzanotte.

La notte si sminuzza
in una lenta processione di nebbia.

Tutte le sere mettono fine alla loro stanchezza.

Le insegne luminose dormono
nello stupore dei loro colori
e anticipano la contemplazione d’ogni misero.

In ogni angolo veglia il sonno
e il tuo ricordo è l’unico dolore
che umilia la superbia dei marciapiedi.

Lontano, il primo mendico,
tradisce il portico dove ha dormito.

E la città s’apre come una lettera
per svelarci la sorpresa delle sue strade.

AMANECER

En el corazón de cada árbol
se ha estremecido la medianoche.

La noche se desmenuza
en lenta procesión de niebla.

Todas las tardes terminan su cansancio.

Los letreros luminosos duermen
el asombro de sus colores
y anticipan la contemplación de cada pobre.

En toda esquina vigila el sueño
y es tu recuerdo la única pena
que humilla la altivez de las aceras.

Lejos, el primer mendigo,
traiciona el portal donde ha dormido.

Y la ciudad se abre como una carta
para decirnos la sorpresa de sus calles.

SERA DA SOLA

Vuota la casa dove tante volte
le parole incendiarono i suoi angoli.
La notte si porta avanti
sul piano muto
che nessuno sta suonando

Sola passo da un ricordo a un altro
aprendo le finestre
perché il tuo nome popoli
la misera quiete di questa sera.
Più nessuno immobilizza le lunghe ore chiuse
alla mia felicità.

E il tuo ricordo è un’altra cosa
grande e quieta
dove inciampo da sola.
E i miei battiti formano una fila di passi
che vanno dalla tua porta all’oblio.
 
TARDE A SOLAS

Vacía la casa donde tantas veces
las palabras incendiaron los rincones.
La noche se anticipa
en el piano, mudo
que nadie toca.

Voy a solas desde un recuerdo a otro
abriendo las ventanas
para que tu nombre pueble
la mísera quietud de esta tarde a solas.
Ya nadie inmoviliza las horas largas y cerradas
a toda dicha mía.

Y tu recuerdo es otra cosa
grande y quieta
por donde yo tropiezo sola.
Y mis latidos forman una hilera de pisadas
que van desde tu puerta hacia el olvido.
 
PERCHÉ LA TUA VITA ERA CHIARA

Tu che hai la vita così chiara
mi guardi, come se fossi una lacrima.
Ho messo a tacere le cattive parole
e mi alzo come la prima ombra.
Precisa come l’ombra d’un albero
creata da una luna piena.
E tu non la capisci. Non vedi più
della luce che causa quell’ombra.
Domani, quando non ci sarà più luce
dietro la mia figura triste,
cercherai l’ombra. Io sarò un paesaggio
abbrumato di tenebre, senza contorni,
come quei singhiozzi ripetuti, lenti:
e poiché la tua vita deve essere sempre chiara,
mi eliminerai come una lacrima,
ed io allora, prosciugata in ore vuote,
avrò la purezza dei cimiteri
dentro le lunghe notti…
 
POR QUÉ TU VIDA FUE CLARA

Tú que tienes la vida tan clara
me miras, como si yo fuese una lágrima.
He callado las palabras malas
y me alzo como una primera sombra.
Precisa como la sombra de un árbol
originada por una luna llena.
Y tú no lo comprendes. No vez más
que la luz que causa esa sombra.
Mañana, cuando no se haga la luz
detrás de mi figura triste,
buscarás la sombra. Yo seré un paisaje
abrumado de tinieblas, sin contornos,
como esos sollozos repetidos, lentos:
y como tu vida ha de ser siempre clara,
me eliminarás como a una lágrima,
y yo entonces, agotada en horas huecas,
tendré la pureza de los cementerios
en las noches largas… 

VERSI A UNA PIAZZA

La sera muore come un eremita.
Sul dorso della notte
il cielo trema stretto alle stelle.

La notte tesa e lenta
s’aggrappa ai lampioni,
piccoli e tenui come una luna nuova.

Piazza: sulla tua soglia d’ombre
la sua voce s’alza come una litania
al verde silenzio dei tuoi alberi.

Le strade sono fremiti del destino
sotto il bagliore azzurro di tanto cielo.
La città si rompe bruscamente
contro il grembo dei tuoi piccoli angoli verdi.

 
VERSOS A UNA PLAZA

La tarde muere como una eremita.
Sobre la espalda de la noche
el cielo se estremece apretado de estrellas.

La noche crispada y lenta
se apega a los faroles,
pequeños y suaves como una luna nueva.

Plaza: sobre tu umbral de sombras
su voz sube como una letanía
al silencio verde de tus árboles.

Los caminos son temblores de dicha
bajo la llamarada azul de tanto cielo.
La ciudad se rompe bruscamente
contra el regazo de tus esquinitas verdes.
 
TUTTO IL DOLORE SI È ROVESCIATO

Tutto il dolore si è rovesciato
sul paesaggio.
La sera trasparente
come l’acqua
si è guardata nei tuoi occhi.
Lontano
la notte inginocchiata
tesse tenebre
innanzi al suo specchio.
Il mio cuore un plenilunio di tristezza.

TODO EL DOLOR DERRAMANDO

Todo el dolor derramado
sobre el paisaje.
La tarde transparente
como un agua
se ha mirado en tus ojos.
Lejos
la noche arrodillada
trenza tinieblas
ante su espejo.
Mi corazón es un plenilunio de tristeza.

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La vetrina di Limina: “Dispositivi” di Stefano Guglielmin, Marco Saya Edizioni, 2022

09 mercoledì Mar 2022

Posted by Loredana Semantica in Vetrina

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Dispositivi, Marco Saya Edizioni, poesia, Stefano Guglielmin

copertina

Questo libro evidenzia la centralità dei dispositivi nella nostra esperienza quotidiana, scegliendone alcuni di esemplari rispetto al poetico e alla salute. Essi si rivelano decisivi nella determinazione del soggetto che scrive e che vive, al punto da condizionarne la stessa possibilità di esistenza.

l poeta, infatti, si definisce attraverso lo stile, che altro non è che la messa in atto di specifici dispositivi retorici. Lo stesso vale per gli apparati che ci determinano in quanto esseri umani in grado di sopportare la precarietà del vivere: filosofie, processi biochimici, procedure sanitarie e scelte di campo definiscono il nostro modo di essere-nel-mondo, in un’età in cui del soggetto non è rimasto quasi nulla, giacché volontà e libertà si irregimentano secondo modelli di cui egli non dispone, ma che lo dispongono, anzi lo indispongono in un aperto già tutto mediato dal potere.

Guglielmin prosegue la sua ricerca sulla finitudine, mettendo in scena un io plurale, contraddittorio eppure ostinatamente alla ricerca di un senso, ma tutto ancora da costruire e decostruire, dove gli opposti – autenticità / inautenticità, natura / cultura, elitario / popolare, interiore / esteriore – non sono che imprescindibili dispositivi del presente, spesso figli dell’alienazione.

Terapia

Si porta fuori un peso, con la parola,
ma c’è tutto un labirinto da fare, prima,
una salita temporale (e un temporale,
anche, da smaltire), che ci mette infine
il corpo quieto, nel suo porto, e la mente
pure. Per essere più precisi, è la psiche
a riordinarsi, non l’intelletto né il lucido
pensiero. Lo so
Spaccare il capello è una metafora pedante,
denota che ancora il peso non ha trovato
la via: qualcosa langue nel fondo, nel botro
(anch’essa parola malata, introflessa).
Nemmeno scrivere guarisce, anzi alimenta
l’intrigo, ammalia come Medusa, o la mia
terapeuta: una topolina bianca, da emporio.

Caterpillar

L’ermo colle, dice, sarà spianato
dalle ruspe. Lui vede lontano: finisce
l’orizzonte con la biro e prevede,
per noi, un controllato naufragio.
Da ogni lato, tecnici piantano chiodi
e un pugno di tracce da seguire:
il futuro cresce sugli assi cartesiani
su siepi-silvie rase al suolo. Tace l’assiolo.

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Joyce Kilmer, traduzioni di Emilio Capaccio

23 mercoledì Feb 2022

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche

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Emilio Capaccio, Joyce Kilmer, poesia, traduzioni

La tromba echeggia stridula e dolce,
ma non di guerra canta oggi.
La via è ritmata da piedi
di soldati che vengono a pregare.

J. K.

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Joyce Kilmer (1886-1918), traduzioni di Emilio Capaccio

LA LANTERNA DELL’AMORE

Perché la strada era lunga e ripida
per una terra oscura e solitaria,
Dio mise sulle mie labbra una canzone
e una lanterna nella mano.

Di notte in miglia e stanche miglia
che si tendono implacabili sul mio cammino
la mia lanterna arde chiara e serena,
un inesauribile calice di bagliore.

Dorate luci e luci violette,
come fiochi sono i vostri vantati splendori.
Osservate questa mia minuscola lucina;
più stellata d’una stella!

LOVE’S LANTERN

Because the road was steep and long
and through a dark and lonely land,
God set upon my lips a song
and put a lantern in my hand.

Through miles on weary miles of night
that stretch relentless in my way
my lantern burns serene and white,
an unexhausted cup of day.

O golden lights and lights like wine,
how dim your boasted splendors are.
Behold this little lamp of mine;
it is more starlike than a star!

COME VENTI CHE SOFFIANO CONTRO UNA STELLA

Per Aline

Ora per quale capriccio d’insensato caso
occhi radiosi conoscono giorni bui?
E piedi calzati di luce dovrebbero incedere
danzando per uggiosi e grevi cammini?

Ma i raggi dai Cieli, chiari e colmi di sé,
possono penetrare l’oscurità della terra;
e dirompe ma nutre, nella tua anima,
la gloria della celeste allegria.

I dardi d’affanno e sofferenza, scagliati
contro la tua pacifica bellezza, sono
tanto sciocchi quanto impotenti
come venti che soffiano contro una stella.

AS WINDS THET BLOW AGAINST A STAR

For Aline

Now by what whim of wanton chance
Do radiant eyes know sombre days?
And feet that shod in light should dance
Walk weary and laborious ways?

But rays from Heaven, white and whole,
May penetrate the gloom of earth;
And tears but nourish, in your soul,
The glory of celestial mirth.

The darts of toil and sorrow, sent
Against your peaceful beauty, are
As foolish and as impotent
As winds that blow against a star.

ALBERI

Penso che non vedrò mai
una poesia bella come un albero.

Un albero la cui bocca affamata è pronta
per il dolce seno fluente della terra;

un albero che guarda Dio tutto il giorno,
e alza le braccia fogliose per pregare;

un albero che può portare in estate
un nido di pettirossi tra i suoi capelli;

sul cui petto è caduta la neve;
che vive intimamente con la pioggia.

Le poesie sono fatte dagli sciocchi come me,
ma solo Dio può fare un albero.

TREES

I think that I shall never see
A poem lovely as a tree.

A tree whose hungry mouth is prest
Against the earth’s sweet flowing breast;

A tree that looks at God all day,
And lifts her leafy arms to pray;

A tree that may in summer wear
A nest of robins in her hair;

Upon whose bosom snow has lain;
Who intimately lives with rain.

Poems are made by fools like me,
But only God can make a tree.

MAIN STREET

Per S. M. L.

Mi piace guardare la scia fiorita della luna sul mare,
ma non è una vista così bella come una volta era Main Street
quando tutto era coperto da un paio di piedi di neve,
e sulla strada frizzante e radiosa scampanellavano le slitte.

Main Street, orlata di foglie autunnali, era piacevole,
e le sue grondaie erano piene di denti di leone all’inizio della primavera;
mi piace ricordarla bianca di brina o impolverata nel caldo
perché penso sia più umana di qualsiasi altra strada.

Una strada larga e trafficata di città è battuta da mille ruote,
e un peso di traffico sul petto è tutto ciò che sente:
è ottusamente cosciente del carico e della fretta e del lavoro che non cessa mai,
ma umana non può essere come Main Street e riconoscere i suoi fedeli.

Un centinaio di squadre d’operai al giorno c’erano in Main Street,
e venti o trenta persone, e qualche bambino fuori a giocare
e non c’era cocchio o carrozza o uomo o ragazza o ragazzo
che Main Street non ricordasse e che non sembrasse rallegrarsi.

Camion, macchine e tram sopraelevati
fanno risuonare di dolore la stanca strada della città
ma c’è ancora un’eco rimasto nel profondo del mio cuore,
una musica che i ciottoli di Main Street hanno fatto sotto un carretto da macellaio

Sia ringraziato Dio per la Via Lattea che attraversa il firmamento,
questo è il sentiero che i miei piedi calpesterebbero ogni volta che devo morire.
Alcuni la chiamano Spada d’Argento e altri Corona di Perle,
ma è lei l’unica cosa a cui penso, Main Street, Heaventown.

MAIN STREET

For S.M.L.

I like to look at the blossomy track of the moon upon the sea,
But it isn’t half so fine a sight as Main Street used to be
When it all was covered over with a couple of feet of snow,
And over the crisp and radiant road the ringing sleighs would go.

Now, Main Street bordered with autumn leaves, it was a pleasant thing,
And its gutters were gay with dandelions early in the Spring;
I like to think of it white with frost or dusty in the heat,
Because I think it is humaner than any other street.

A city street that is busy and wide is ground by a thousand wheels,
And a burden of traffic on its breast is all it ever feels:
It is dully conscious of weight and speed and of work that never ends,
But it cannot be human like Main Street, and recognise its friends.

There were only about a hundred teams on Main Street in a day,
And twenty or thirty people, I guess, and some children out to play.
And there wasn’t a wagon or buggy, or a man or a girl or a boy
That Main Street didn’t remember, and somehow seem to enjoy.

The truck and the motor and trolley car and the elevated train
They make the weary city street reverberate with pain:
But there is yet an echo left deep down within my heart
Of the music the Main Street cobblestones made beneath a butcher’s cart.

God be thanked for the Milky Way that runs across the sky,
That’s the path that my feet would tread whenever I have to die.
Some folks call it a Silver Sword, and some a Pearly Crown,
But the only thing I think it is, is Main Street, Heaventown.

IN MEZZO ALL’OCEANO IN TEMPO DI GUERRA

Il fragile splendore della linea del mare,
il volto sereno e velato d’argento della luna,
fa di questa nave un luogo incantato
pieno di chiara gioia e dorata malia.
Ora, per un po’, sarà spontanea risata
mischiata al canto per conferir più dolce grazia,
E le vecchie stelle, nella loro corsa senza fine,
daranno ascolto e invidieranno la giovane umanità.

Nondimeno stanotte, a cento leghe di distanza,
queste acque si tingono d’uno strano e terribile rosso.
Avanti alla luna, una nube oscenamente grigia
s’alza da ponti che si schiantano con cavi volanti.
E queste stelle sorridono a modo loro immemorabile
su onde che avvolgono un migliaio di nuovi morti.

MID-OCEAN IN WAR-TIME

The fragile splendour of the level sea,
The moon’s serene and silver-veiled face,
Make of this vessel an enchanted place
Full of white mirth and golden sorcery.
Now, for a time, shall careless laughter be
Blended with song, to lend song sweeter grace,
And the old stars, in their unending race,
Shall heed and envy young humanity.

And yet to-night, a hundred leagues away,
These waters blush a strange and awful red.
Before the moon, a cloud obscenely grey
Rises from decks that crash with flying lead.
And these stars smile their immemorial way
On waves that shroud a thousand newly dead!

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Edgar Allan Poe: il poeta del mistero

16 mercoledì Feb 2022

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

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Edgar Allan Poe, poesia, traduzione

Perché la tartaruga ha il passo sicuro,
è questa una ragione per tagliare le ali dell’aquila?

E. A. P.

poe

Edgar Allan Poe (1809-1849), articolo e traduzioni di Emilio Capaccio

Egdar Allan Poe nacque il 19 gennaio del 1809 a Boston, nel Massachussetts.
Fu il secondogenito di una coppia di attori girovaghi, David Poe Jr. (1784-1811) ed Elizabeth Arnold Poe (1787-1811), i quali vennero a mancare entrambi, quando Edgar ebbe appena 3 anni.
La madre morì in seguito a una lunga malattia, probabilmente tubercolosi o polmonite, sola e abbandonata dal marito, in uno squallido albergo di Richmond, chiamato “Indian Queen Tavern”.
Per quanto riguarda la morte del padre, invece, le fonti dell’epoca concordano nell’affermare che morì poco tempo prima o dopo la morte della moglie, ma non sono state mai chiarite le circostanze della sua morte, né è stato mai rinvenuto il luogo della sua sepoltura.
Oltre a Edgar, gli altri figli della coppia furono: William Henry Leonard (1807-1831) anche egli versato alla poesia, prematuramente scomparso a causa di una grave forma di tubercolosi, e Rosalie (1810-1874), la cui nascita, suscitò, all’epoca, molte dicerie sull’effettiva parentela con i fratelli.
Il padre di Poe, infatti, diventato violento e schiavo dell’alcool, aveva abbandonato la moglie, Elizabeth, quando presumibilmente la stessa non avrebbe potuto essere stata già incinta della bambina.
Alla morte dei genitori, i 3 bambini furono separati e dati in affidamento: il fratello maggiore fu affidato ai nonni di Baltimora, nel Maryland, mentre Edgar e Rosalie, che sarebbe diventata un’ottima insegnante di calligrafia presso una scuola femminile di Richmond, furono affidati a due diverse famiglie di Richmond, in Virginia, rispettivamente alla famiglia di John e Frances Allan, di origini scozzese e facoltosi commercianti di tabacco, e alla famiglia di John e Jane Scott Mackenzie.
Nel 1815, Poe si trasferì a Londra con la famiglia adottiva dove ricevette la prima istruzione presso alcune scuole private.
Nel 1821, ritornato a Richmond, cominciò ad appassionarsi molto presto alla musica, alla letteratura e alla poesia, iniziando a scrivere i suoi primi versi e frequentando la scuola di Joseph H. Clarke.
In questo periodo, si infatua di Jane Stith Craig Stannard (1793-1824), madre di Robert Stannard, compagno di studi di Poe.
La donna lo aveva sempre elogiato e incoraggiato nei suoi primi sforzi letterari e a lei Poe dedicò una delle sue poesie più belle: To Helen.
La morte prematura di Jane, in seguito a uno scoppio di un’arteria, gettò il poeta in una profonda disperazione.
L’anno seguente iniziò la frequentazione di Sarah Elmira Royster (1810-1888), quindicenne e sua vicina di casa.
I due, a causa della disapprovazione del padre della ragazza, che non considerava Poe adatto a sposare la figlia perché squattrinato e orfano, vissero una breve relazione clandestina e passionale fino a quando la volontà del padre non la spuntò e la ragazza dovette lasciare Poe per sposare, qualche tempo dopo, il ricco uomo d’affari Alexander Barrett Shelton (1807-1844).
Nel 1826, con già tante sofferenze alle spalle, si iscrisse all’università di Charlotteville, Virginia, alla facoltà di lingue antiche e moderne, ma 6 mesi dopo fu costretto a lasciare l’università a causa dei debiti che aveva contratto con il gioco d’azzardo, e del conseguente rifiuto del padre adottivo di continuare a pagargli la retta universitaria.
In aperto conflitto con John Allan, nel 1827, decise di lasciare la Virginia per andare a Boston, dalla zia Maria Clemm, parente del padre naturale.
Qui conobbe la figlia di Maria Clemm, Virginia, che diventerà nel 1836 sua moglie, quando la ragazza non aveva ancora che 13 anni, con un matrimonio celebrato in segreto.
Sempre nel 1827, pubblicò la sua prima raccolta di versi: Tamerlane and Other Poems, seguita, nel 1829, dalla seconda raccolta, intitolata: Al Aaraaf, Tamerlane and Minor Poems.
Dopo lo scarso successo di queste prime raccolte, decise di entrare nell’Accademia militare di West Point, ma circa 8 mesi più tardi si fece cacciare per insubordinazione, determinando la definitiva rottura con il padre adottivo che nel 1834 lo cancellerà anche dalle disposizioni testamentarie.
Nel 1831 si trasferì per un breve periodo a New York dove pubblicò senza successo una terza raccolta di poesie, intitolata: Poems.
Ritornato nuovamente a Baltimora, dalla zia Clemm, iniziò a scrivere i primi racconti horror e del grottesco, collaborando con alcuni giornali di Baltimora, Richmond, New York e Filadelfia, tra i quali: “Saturday Visitor”, “The Courier”, “The Gift”, Southern Literary Messenger”.
I racconti riscossero inaspettatamente un notevole successo di pubblico, tanto che sull’onda della popolarità, gli fu offerto la carica di vicedirettore del “Southern Literary Messenger”.
Dal 1838 al 1840 diresse, insieme a William Evans Burton (1804-1860), il giornale “Burton’s Gentleman’s Magazine” di Filadelfia.
In questo stesso periodo pubblicò anche il suo unico romanzo: The Narrative of Arthur Gordon Pym, e nel 1840 la sua prima raccolta di racconti: Tales of the Grotesque and Arabesque, tradotta nel 1856 da Charles Baudelaire (1821-1867) con il titolo: “Histoires extraordinaires”.
Nel 1844 si trasferì nuovamente a New York e l’anno successivo divenne redattore e proprietario del “Broadway Journal”.
Pubblicò sulla rivista “The Evening Mirror”, il poemetto The Raven con il quale raggiunse la definitiva consacrazione.
Tuttavia, le continue difficoltà economiche, l’abuso di alcool e le accuse di plagio mosse in seguito alla pubblicazione di un secondo volume di racconti dal titolo: Tales (accuse già ricevute in occasione della pubblicazione di un trattato di conchiliologia, nel 1838), gettarono Poe in uno stato di profonda prostrazione che lo costrinse a chiudere definitivamente il “Broadway Journal”.
La crisi si acuì enormemente nel 1846 con la morte della moglie, Virginia, per tubercolosi, a soli 27 anni.
Nonostante tutto, nel 1848, riuscì a pubblicare un poema in prosa sul tema della cosmogonia dell’universo dal titolo: Eureka.
Iniziò successivamente una serie di viaggi in molte città degli Stati Uniti, tenendo conferenze, recitando poesie, conducendo una vita dissoluta e facendo uso di droghe, soprattutto laudano.
In questo periodo, intrecciò molte brevi relazioni amorose nel tentativo di smorzare un continuo e intimo malessere.
Si riavvicinò al suo vecchio amore, Sarah Elmira Royster, rimasta, nel frattempo, vedova, con la quale strinse un rinnovato legame amoroso che avrebbe dovuti condurli a celebrare quelle nozze che non avevano potuto celebrare in passato per l’ostilità del padre della ragazza.
Il 27 settembre del 1849 Poe uscendo di casa scomparve inspiegabilmente.
Aveva lasciato detto a Sarah Elmira Royster, con la quale doveva sposarsi qualche giorno dopo, che avrebbe dovuto incontrare il suo editore Griswold, dopodiché sarebbe andato a prendere la zia Maria Clemm a Baltimora per portarla definitivamente a Richmond.
Poe non andò né a Baltimora né si incontrò con Griswold.
Fu ritrovato da un amico 6 giorni dopo sul ciglio di una strada, completamente stralunato, semi-cosciente e in preda a delirium tremens.
Morì in ospedale 3 giorni più tardi, il 7 ottobre del 1849, all’età di 40 anni, senza poter spiegare lucidamente quello che gli era accaduto.
Molte teorie si sono congetturate negli anni sulle cause della sua morte, alcune estremamente fantasiose.
Secondo una versione, resa da una testimonianza, fu adescato in un’osteria da alcune persone che lo avrebbero fatto ubriacare per costringerlo a votare più volte lo stesso candidato, una pratica subdola in uso nel XIX secolo, chiamata “cooping”.
Tuttavia, la versione che sembrerebbe più accreditata, esaminando i sintomi che Poe presentava nel momento del ritrovamento, senza avere peraltro una prova certa da un punto di vista medico-legale (poiché non fu mai eseguita un’autopsia e, in aggiunta, il certificato di ricovero in ospedale, insieme all’atto di morte, non sono mai stati ritrovati), potrebbe essere quella che sostiene l’ipotesi che Poe sia morto a causa di idrofobia, contratta dal morso di qualche animale di cui nemmeno lui poté accorgersi o prestò attenzione.

ULALÌ

Solo abitavo
in un mondo di lamento,
e la mia anima una marea stagnante,
finché la bella e dolce Ulalì si fece timida mia sposa,
finché la fulva e giovane Ulalì si fece ridente mia sposa.

Ah, men ― meno scintillanti
son le stelle della notte
degli occhi della radiante fanciulla!
giammai può contender ciò che può far la bruma
dalle tinte di porpora e di perla della luna,
col più trasandato boccolo dell’umile Ulalì ―
giammai può accostarsi al raggiante sguardo più svagato e modesto d’Ulalì.

Or Dubbio ― Or Pena
più non vengono,
perché l’anima sua mi rende sospiro per sospiro,
e per tutto il giorno
splende, forte e luminosa,
Astarte, in mezzo al cielo,
mentre sempre a lei volge gli occhi di matrona la cara Ulalì ―
mentre sempre a lei volge gli occhi di viola la giovane Ulalì.

EULALIE [1] 

I dwelt alone
in a world of moan,
and my soul was a stagnant tide,
till the fair and gentle Eulalie became my blushing bride ―
till the yellow-haired young Eulalie became my smiling bride.

Ah, less ― less bright
the stars of the night
than the eyes of the radiant girl!
that the vapor can make
with the moon-tints of purple and pearl,
can vie with the modest Eulalie’s most unregarded curl ―
can compare with the bright-eyed Eulalie’s most humble and careless curl.

Now Doubt ― now Pain
come never again,
for her soul gives me sigh for sigh,
and all day long
shines, bright and strong,
Astarte within the sky,
while ever to her dear Eulalie upturns her matron eye ―
while ever to her young Eulalie upturns her violet eye.

FANNY [2]

Il cigno morente dei laghi del nord
intona, chiaro e dolce, il suo inno selvaggio di morte,
e come la solenne melodia evade
per la collina e la valle e nell’aria si dissolve,
così giunse la tua morbida voce musicale,
così tremò sulla tua lingua il mio nome.

Come sprazzo di luce in una nuvola d’ebano
che invela l’austero cielo di mezzanotte,
trapassando la fredda sera nel suo nero sudario,
così giunse il primo sguardo di quell’occhio;
ma come roccia adamantina,
stette il mio spirito e affrontò il colpo.

Lascia che la memoria richiami il ragazzo
che depose il suo cuore sul tuo sacrario,
quando lontano risuonano i suoi passi
ricorda che proruppe al tuo fascino divino;
una vittima uccisa sull’altare dell’amore
da occhi ammalianti che scrutavano sdegnosamente.

FANNY 

The dying swan by northern lakes
sing’s its wild death song, sweet and clear,
and as the solemn music breaks
o’er hill and glen dissolves in air;
thus musical thy soft voice came,
thus trembled on thy tongue my name.

Like sunburst through the ebon cloud,
which veils the solemn midnight sky,
piercing cold evening’s sable shroud,
thus came the first glance of that eye;
but like the adamantine rock,
my spirit met and braved the shock.

Let memory the boy recall
who laid his heart upon thy shrine,
when far away his footsteps fall,
think that he deem’d thy charms divine;
a victim on love’s alter slain,
by witching eyes which looked disdain.

A F …

Adorata! Tra ferventi dolori
che s’accalcano intorno al mio passo terreno ―
(miserabile passo, ahimè! dove cresce
una deforme rosa solitaria) ―
la mia anima riceve per lo meno conforto
nel sogno di te, ed in esso conosce
un Eden di blando riposo.

E così la tua memoria viene a me
come una qualche remota isola incantata
in qualche mare tumultuoso ―
qualche oceano che mormora da lontano e libero
dalle burrasche ― ma dove, in quel frattempo,
i cieli più sereni, continuamente,
solo su quella isola luminosa, sorridono.

TO F …

Beloved! amid the earnest woes
that crowd around my earthly path ―
(drear path, alas! where grows
not even one lonely rose) ―
my soul at least a solace hath
in dreams of thee, and therein knows
an Eden of bland repose.

And thus thy memory is to me
like some enchanted far-off isle
in some tumultuous sea ―
some ocean throbbing far and free
with storms ― but where meanwhile
serenest skies continually
just o’er that one bright island smile.

UN SOGNO

In visioni di tenebrosa notte
ho sognato di gioie svanite, ma un sogno
ad occhi aperti di vita e di luce
mi lasciava col cuore spezzato.

Ah, cosa non è un sogno di giorno
per chi i suoi occhi ha posato
sulle cose intorno a lui con un lampo
che volge ancora al passato?

Quel sogno santo ― quel sogno santo,
mentre tutto il mondo stava strillando,
mi sostenne qual amorevole fascio,
amorevole spirito guida.

Sebbene quella luce, in notte e bufera,
tremolò tanto da lontano ―
che mai può esserci di più puramente splendente
nella diurna stella del Vero?

A DREAM

In visions of the dark night
I have dreamed of joy departed ―
but a waking dream of life and light
hath left me broken-hearted.

Ah! what is not a dream by day
to him whose eyes are cast
on things around him with a ray
turned back upon the past?

That holy dream ― that holy dream,
while all the world were chiding,
hath cheered me as a lovely beam
a lonely spirit guiding.

What though that light, thro’ storm and night,
so trembled from afar ―
what could there be more purely bright
in Truth’s day-star?

A M …

O, io non mi curo che la mia sorte terrena
ben poco abbia della terra in sé,
che anni d’amore siano stati bruciati
nel delirio d’un momento:

Non m’importa, mia adorata,
che i disperati siano di me più felici,
ma che tu debba immischiarti in questo mio destino
che mi porta ad andar via.

Né che le mie sorgenti d’estasi
stiano zampillando ― ahimè! di lacrime ―
o che il brivido d’un singolo bacio
abbia scosso i molti anni.

Né che fiori di venti primavere
si siano appassiti come il loro colore
che giace morituro sul mio cuore oppresso
dal peso d’una stagione colma di neve.

Né che l’erba ― O! che possa prosperar!
sulla mia fossa stia crescendo o sia già cresciuta ―
ma che, mentre stia morendo o sia ancor vivo,
non possa io che esser solo, mia signora.

TO M …

O! I care not that my earthly lot
hath little of Earth in it,
that years of love have been forgot
in the fever of a minute:

I heed not that the desolate
are happier, sweet, than I,
but that you meddle with my fate
who am a passer by.

It is not that my founts of bliss
are gushing ― strange! with tears ―
or that the thrill of a single kiss
hath palsied many years ―

‘Tis not that the flowers of twenty springs
which have wither’d as they rose
lie dead on my heart-strings
with the weight of an age of snows.

Not that the grass ― O! may it thrive!
on my grave is growing or grown ―
but that, while I am dead yet alive
I cannot be, lady, alone.

LA DORMIENTE [3]

A mezzanotte, nel mese di giugno,
mi trovo sotto la mistica luna.
Un vapor d’oppio, confuso, umidiccio,
esala dal suo anello dorato
e mollemente cala, goccia a goccia,
sulla cima quieta del monte;
assonnato e musicalmente
slitta lento verso la valle universale.
S’inclina sulla fossa il rosmarino;
fluttua il giglio sulla corrente;
la bruma avvolgendosi al suo petto
fa dissolvere il rudere nel silenzio.
Guarda, simile al Lete! Osserva! Il lago
abbandonarsi a un sonno cosciente
e per nulla vorrebbe svegliarsi.
Dormono tutte le Bellezze! ― Osserva
là dove giace Irene coi suoi Destini!

O, splendente fanciulla! Può esser
giusto questo bovindo aperto sulla notte?
Brezze viziose, dalle cime degli alberi,
scorrono ridenti attraverso la grata ―
brezze intangibili, in magica rotta,
vanno e vengono attraverso la tua stanza
ondulando le tende del baldacchino
così capricciose ― così spaventose ―
sulle palpebre chiuse e orlate, sotto le quali
dormiente la tua anima resta celata,
cosicché, dal pavimento e sulle pareti
come fantasmi s’issano e cadono le ombre!
O, fanciulla adorata, non provi sgomento?
Perché mai, e cosa mai stai sognando tu, qui?
Di certo sei venuta da lontani mari
a meravigliare questi alberi del giardino!
Strano il tuo vestito! Strano il tuo pallore!
E più strane le tue trecce così lunghe
e tutta questa grandiosa silenziosità!

Dorme la fanciulla! O, possa il suo sonno
esser come duraturo, tanto profondo!
Lo serbi il cielo nella sua santa fortezza!
Si tramuti questa stanza in altra più sacra,
questo letto in altro malinconico,
e prego Iddio che ella possa restare
con occhi serrati, finché non se ne andranno
i pallidi spettri ammantati.

Dorme la mia amata! O, possa il suo sogno
esser come lungo tanto profondo!
Possano lievi i vermi strisciar sopra di lei!
Lontano nella foresta, antica e oscura,
per lei possa spalancarsi una grande cripta ―
qualche cripta che sovente si richiuse
allungando i suoi neri e alati pannelli,
trionfante, sui drappi stemmati
nei funerali della sua grande famiglia ―
qualche sepolcro remoto e solitario,
contro il cui portale lei abbia lanciato
delle pietre, per gioco nell’infanzia ―
qualche tomba dalla cui porta risonante
ella mai più forzerà a levarsi un eco,
tremando al pensiero, povera figlia della colpa!
che là dentro erano i morti a gemere tanto.

THE SLEEPER

At midnight, in the month of June,
I stand beneath the mystic moon.
An opiate vapor, dewy, dim,
exhales from out her golden rim,
and softly dripping, drop by drop,
upon the quiet mountain top,
steals drowsily and musically
into the universal valley.
The rosemary nods upon the grave;
the lily lolls upon the wave;
wrapping the fog about its breast,
the ruin moulders into rest;
looking like Lethe, see! the lake
a conscious slumber seems to take,
and would not, for the world, awake.
All Beauty sleeps! ― and lo! where lies
Irene, with her Destinies!

Oh, lady bright! can it be right ―
this window open to the night?
The wanton airs, from the tree-top,
laughingly through the lattice drop ―
the bodiless airs, a wizard rout,
flit through thy chamber in and out,
and wave the curtain canopy
so fitfully ― so fearfully ―
above the closed and fringéd lid
neath which thy slumb’ring soul lies hid,
that, o’er the floor and down the wall,
like ghosts the shadows rise and fall!
Oh, lady dear, hast thou no fear?
Why and what art thou dreaming here?
Sure thou art come o’er far-off seas,
a wonder to these garden trees!
Strange is thy pallor! strange thy dress!
Strange, above all, thy length of tress,
and this all solemn silentness!

The lady sleeps! Oh, may her sleep,
which is enduring, so be deep!
Heaven have her in its sacred keep!
This chamber changed for one more holy,
this bed for one more melancholy,
I pray to God that she may lie
forever with unopened eye,
while the pale sheeted ghosts go by!

My love, she sleeps! Oh, may her sleep,
as it is lasting, so be deep!
Soft may the worms about her creep!
Far in the forest, dim and old,
for her may some tall vault unfold ―
some vault that oft hath flung its black
and wingéd panels fluttering back,
triumphant, o’er the crested palls
of her grand family funerals ―
some sepulchre, remote, alone,
against whose portals she hath thrown,
in childhood, many an idle stone ―
some tomb from out whose sounding door
she ne’er shall force an echo more,
thrilling to think, poor child of sin!
It was the dead who groaned within.

CANTO [4]

Ti vidi nel tuo giorno nuziale ―
quando una vampa di rossore veniva da te
sebbene intorno la felicità si stendeva
e il mondo tutto l’amore avanti a te:

e nel tuo occhio una luce fiammante
(o qual che fosse) era tutta sulla terra
così che il mio sguardo di dolore
poteva vederne la bellezza.

Quel rossore, forse, era pudor di fanciulla ―
così come ben si comprende ―
benché i suoi bagliori avessero alzato più
ardita fiamma nel petto di colui, ahimè!

che ti vide nel tuo giorno nuziale
quando quel profondo rossore veniva da te
sebbene intorno la felicità si stendeva
e il mondo tutto l’amore avanti a te.

SONG

I saw thee on thy bridal day ―
when a burning blush came o’er thee,
though happiness around thee lay,
the world all love before thee:

and in thine eye a kindling light
(whatever it might be)
was all on Earth my aching sight
of Loveliness could see.

That blush, perhaps, was maiden shame ―
as such it well may pass ―
though its glow hath raised a fiercer flame
in the breast of him, alas!

who saw thee on that bridal day,
when that deep blush would come o’er thee,
though happiness around thee lay;
the world all love before thee.

A UNA IN PARADISO

Tu eri per me quel tutto, amore,
per il qual l’anima mia si struggeva,
un verde isolotto in mezzo al mare,
amore, un fontanile e un altare
tutto adorno di bei frutti e di fiori
e tutti miei erano quei fiori.

Ah, sogno troppo splendido per durare!
Ah, siderea speranza, che t’alzasti
solo per essere offuscata!
Là fuori una voce dal futuro grida,
“Avanti! Avanti!” ― ma è sul passato
(vortice oscuro!) che il mio spirito in bilico
giace, muto, immobile, inorridito.

Perché, ahimè! ahimè! per me
la luce della vita è passata!
Non più — non più — non più —
(questa lingua riserva il mare solenne
alle sabbie della riva)
fiorirà l’albero disseccato dal fulmine
o s’alzerà l’aquila ferita.

E tutti i miei giorni sono imbambolati
e tutti i miei sogni notturni
son dove il tuo occhio grigio volge
e dove il tuo passo scintilla —
in qualche eterea danza
su qualche etereo fiume.

TO ONE IN PARADISE

Thou wast all that to me, love,
for which my soul did pine:
a green isle in the sea, love,
a fountain and a shrine
all wreathed with fairy fruits and flowers,
and all the flowers were mine.

Ah, dream too bright to last!
Ah, starry Hope, that didst arise
but to be overcast!
A voice from out the Future cries,
“On! on!” — but o’er the Past
(dim gulf!) my spirit hovering lies
mute, motionless, aghast.

For, alas! alas! with me
the light of Life is o’er!
No more — no more — no more —
(such language holds the solemn sea
to the sands upon the shore)
shall bloom the thunder-blasted tree,
or the stricken eagle soar.

And all my days are trances,
and all my nightly dreams
are where thy gray eye glances,
and where thy footstep gleams —
in what ethereal dances,
by what eternal streams.

SONETTO – ALLA SCIENZA

Scienza! Vera figlia dell’antico tempo!
che muti ogni cosa coi tuoi occhi penetranti!
Perché predi così sul cuore del poeta,
vulture, le cui ali son ottuse realtà?

Come potrebbe egli amarti? o crederti giusta,
se non volesti che libero vagasse
in cerca di tesori per cieli ingioiellati,
benché con ali intrepide s’involò?

Non hai spinto Diana dal suo carro,
e cacciato via l’Amadriade dal bosco
che in una più felice stella ha trovato riparo?

Non hai strappato la Naiade alle sue correnti,
l’elfo al verde prato, e da me il sogno
dell’estate sotto l’albero di tamarindo?

SONNET – TO SCIENCE

Science! true daughter of Old Time thou art!
who alterest all things with thy peering eyes.
Why preyest thou thus upon the poet’s heart,
vulture, whose wings are dull realities?

How should he love thee? or how deem thee wise,
who wouldst not leave him in his wandering
to seek for treasure in the jewelled skies,
albeit he soared with an undaunted wing?

Hast thou not dragged Diana from her car?
and driven the Hamadryad from the wood
to seek a shelter in some happier star?

Hast thou not torn the Naiad from her flood,
the Elfin from the green grass, and from me
the summer dream beneath the tamarind tree?


A FS – S. O – D

Vorresti esser amata? ― allora fa’ che il tuo cuore
non abbandoni il sentiero d’oggi!
Essendo ogni cosa che ora tu sei,
non essere niente che non sei.

Così per il mondo i tuoi modi gentili,
la tua grazia, la tua più che bellezza,
saranno un tema di lode senza fine,
e l’amore ― un semplice dovere

TO FS – S. O – D [5]

Thou wouldst be loved? ― then let thy heart
from its present pathway part not!
Being everything which now thou art,
be nothing which thou art not.

So with the world thy gentle ways,
thy grace, thy more than beauty,
shall be an endless theme of praise,
and love ― a simple duty.

[1] La traduzione letterale del titolo della poesia è: “Eulalia”; componimento che Poe dedicò alla prima moglie-fanciulla, Virginia. Eulalia significa: “colei che parla dolcemente”. “Ulalì” è una libera trasposizione del traduttore.

[2] Poesia pubblicata sul “Baltimore Saturday Visiter”, il 18 maggio del 1833.

[3] La poesia venne pubblicata per la prima volta nel 1831 con il titolo: “Irene”. Il 22 maggio del 1841, completamente riveduta, fu pubblicata sul “Saturday Chronicle” di Filadelfia con il titolo: “The sleeper”

[4] La poesia fu dedicata a Sarah Elmira Royster, fidanzata di Poe che dovette sposare, per volere della famiglia, il facoltoso Alexander Barrett Shelton, il 6 dicembre del 1828.

[5] La poesia fu dedicata da Poe alla poetessa Frances Sargent Locke Osgood (1811-1850).

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My valentine

14 lunedì Feb 2022

Posted by Loredana Semantica in SINE LIMINE

≈ Commenti disabilitati su My valentine

Tag

Loredana Semantica, poesia

Buon S. Valentino

con la poesia “Filosofia dell’amore” di Percy Bysshe Shelley

Le fonti si confondono col fiume
i fiumi con l’Oceano
i venti del Cielo sempre
in dolci moti si uniscono
niente al mondo è celibe
e tutto per divina
legge in una forza
si incontra e si confonde.
Perché non io con te?

Vedi che le montagne baciano l’alto
del Cielo, e che le onde una per una
si abbracciano. Nessun fiore-sorella
vivrebbe più ritroso
verso il fratello-fiore.
E il chiarore del sole abbraccia la terra
e i raggi della Luna baciano il mare.
Per che cosa tutto questo lavoro tenero
se tu non vuoi baciarmi?

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Stavros Girgenis traduce Maria Allo

01 martedì Feb 2022

Posted by Loredana Semantica in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA, Poesie

≈ 1 Commento

Tag

Eleni Marinaki, Maria Allo, poesia, traduzioni

Le poesie di Maria Allo ospitate su  Exitirion  e tradotte in greco da Stavros Girgenis

(I)
Δεν γνώριζα πως ήμουν μέσα
σ’ ένα αιχμηρό σημείο της γλυσίνας
πριν το άνθισμα.

—Γη που παραμένει (Ed. di Poesia Controluna, 2018)


non sapevo di essere dentro
in un punto affilato del glicine
prima di fiorire.

—La terra che rimane (Ed. di Poesia Controluna, 2018


(II)
Η ΓΗ ΠΟΥ ΠΑΡΑΜΕΝΕΙ
Άσε με να μιλήσω για τη θάλασσα και τις αβύσσους της
γίνεται φως στις διαφάνειες
όπως οι αναμνήσεις ή αυτό που λείπει
– κοίτα – αυτό το φαράγγι παραμένει φραγμένο
μια τρύπα στο στήθος
με θάμνους σε όλες τις εποχές.
Άσε με να μιλήσω για τη νύχτα όταν πυκνώνει
στους κροτάφους και στο όνομά σου
τότε με φωτίζεις και μένεις μέσα σ’ αυτή τη σάρκα
διαλύοντας τη σκιά και την απόσταση που εγγίζει τον ουρανό.
Άσε το θάρρος σου οργωμένο στα χείλη μου
περιφρουρεί και αγκαλιάζει τα όρια της θάλασσας
όπως η μνήμη που παραμένει και μεταλλάσσεται.

—Σχισμές ( Ed. L’arcolaio, 2016)


LA TERRA CHE RIMANE
Lasciami parlare del mare e dei suoi abissi
si fa luce nelle trasparenze
come i ricordi o ciò che manca
– vedi – resta questa gola insabbiata
un foro dentro il petto
con sterpaglie in tutte le stagioni.
Lasciami parlare della notte quando si addensa
sulle tempie e sul tuo nome
allora mi rischiari e resti dentro questa carne
strappando l’ombra e la distanza che avvicina il cielo.
Lasciami il tuo coraggio arato sulle labbra
custodisce e abbraccia i confini del mare
come la memoria che resta e si trasmuta.

—Solchi (Ed. L’arcolaio, 2016)


(III)
Πριν τη γένεση του κόσμου
ήμασταν αθώοι
εποχές απρόβλεπτων κυττάρων
τυχαία πλέγματα από τουμπερόζες στον κήπο.
Πριν τη γένεση του κόσμου
ανέπνεε η αυγή και τα φύλλα
αιωρούνταν στην στέγη του στάβλου.
Στον στροβιλισμό υπήρχε το ίδιο όνειρο
[μια μοναδική δύναμη]
σε μετεωρισμό στον άνεμο θερμοί χώροι
βαθύτητα οραμάτων.
Η ιπποκαστανιά σκόρπιζε στα πεζοδρόμια
σκαντζόχοιρους γεμάτους μούρα
με κάποιο κρυφό χάδι του ήλιου
που μερικές φορές έτρεμε ανάμεσα στα μακριά κλαδιά
θωπεύοντάς μας τα χέρια και αίφνης
το θρόισμα των γκρίζων περιστεριών
μέσα στη σιωπή του πρωινού μας ξυπνούσε.
Τώρα δεν υπάρχει εποχή,
κυριαρχεί το σκοτάδι και τα μάτια
χάνονται ανάμεσα στις βλεφαρίδες.
Τώρα στο ψηλάφισμα δεν υπάρχει παρά μόνο ορίζοντας
ο ασταθής πλανήτης εκτοξεύει βέλη.
Είναι εδώ οι Άγιοι Τόποι όπου ο τετράρχης Ηρώδης
ολοκλήρωσε τη σφαγή των αθώων;

—Ξέφωτο (Ed. Ladolfi, 2021)


Prima della genesi del mondo
noi eravamo indocili
stagioni di cellule impreviste
intrecci casuali di tuberose nell’orto.
Prima della genesi del mondo
si respirava l’alba e le foglie
fluttuavano sul tetto della scuderia.
Nel vorticare c’era lo stesso sogno
[una forza unica]
in bilico nel vento caldi spazi
profondità di visioni.
L’ippocastano disseminava sui selciati
ricci gremiti di bacche
con qualche furtiva carezza di sole
che a volte tremava tra i lunghi rami
sfiorandoci le mani e improvviso
il frullare di tortore grigie
nel silenzio del mattino ci destava.
Ora non c’è stagione,
sovrasta il buio e gli occhi
si perdono tra i cigli.
Ora a tentoni si va non c’è orizzonte
il pianeta precario lancia strali.
È qui la Terra Santa dove Erode il tetrarca
consumò la strage degli innocenti?

—Radure (Ed. Ladolfi, 2021)


(IV)
ΞΕΡΕΤΕ
Ξέρετε, έχουμε ρυάκια λάσπης να ανασκάψουμε
πέτρες λάβας και μαύρους αρκεύθους στο πέρασμα των αιώνων.
Όσο για μένα, μια φωτιά φιδογυρνούσε
στα οστά μου: αλλά δεν φαντάστηκα μια φωνή
μέχρι που έβαλα στο στήθος μου
τη μυρωδιά του δέρματός της όπως για να αποφύγει
τις λάμψεις του ιπποφαούς ο χειμώνας έζησε
σε συνεχή πόλεμο από κατάλληλη απόσταση
σαν κόκκινα σφεντάμια που σε μια ανάσα τώρα
στροβιλίζονται έρημα γύρω από τον άνεμο.
Ξέρετε, ξυπνάω το πρωί
σαρώνοντας κάθε φύλλο στο χαμηλότερο κλαδί
αυτού που είναι διασκορπισμένο ανάμεσά μας.

—Ξέφωτο (Ed. Ladolfi, 2021)


SAPETE
Sapete, abbiamo flussi di fango da estirpare
lapilli di lava e ginepri neri lungo i secoli.
Quanto a me un fuoco serpeggiava
nelle ossa: ma non immaginavo una voce
finché ho riposto nel mio seno
l’odore della sua pelle come a stornare
da lampi di biancospini l’inverno vissuto
in continua guerra a debita distanza
come aceri rossi che in un soffio ora
volteggiano deserti intorno al vento.
Sapete, mi sveglio al mattino
scrutando ogni foglia sul ramo più basso
di quel che è disperso fra noi

 —Radure (Ed. Ladolfi, 2021)


(V)
ΚΑΘΕΤΟ 
ΒΛΕΜΜΑ
Δεν υπάρχει σχισμή βράχου
στην οποία μπορεί να κυματίσει η θάλασσα.
Λευκοί ερωδιοί διαβαίνουν τον λήθαργο
των κοχυλιών που κοιμούνται
στον πιο καθαρό βυθό της θάλασσας
αλλά σε μια κατάρα το ηφαίστειο
εξαφανίζει ονόματα και φωνές όταν η νύχτα
κατέρχεται και σε ένα βράχο η κραυγή
αναφλέγεται ανάμεσα στις σαπισμένες ακτίνες στις ακτές
σ’ εκείνον που δεν έχει φως στο πρόσωπό του.
Μόνο μερικές φορές η ανάσα είναι καθρέφτης
[ενός κάθετου βλέμματος.

—Ανέκδοτο (2020)


SGUARDO VERTICALE
Non c’è fenditura di scoglio
in cui il mare possa fluttuare.
Bianchi aironi incrociano il torpore
di conchiglie in dormiveglia
sul fondo più chiaro del mare
ma in una maledizione il vulcano
nomi e voci dilegua quando la notte
scende e sopra una roccia il grido
divampa tra i raggi marci nei lidi
su chi non ha luce in viso.
Solo a tratti il respiro è specchio
[di uno sguardo verticale.

—Inedito (2020)


(VI)
ΔΕΝ ΜΠΟΡΕΙΣ ΝΑ ΣΤΑΜΑΤΗΣΕΙΣ
Δεν μπορείς να σταματήσεις τον άνεμο
μόνο να συλλάβεις τους οιωνούς του
πίσω από το ανάλαφρο βάρος ενός σύννεφου.
Σου μιλώ από άγνωστους καιρούς
δίχως να ξέρω πώς με διαπερνά
η σκιά, ενώ μια δέσμη ακτίνων
αναρριχάται συγκεχυμένα σε αδιαπέραστα μονοπάτια.
Έχω σπείρει ίχνη
πίσω από ασύνδετους άξονες στον βυθό
τώρα επιπλέουν σε ένα χάσμα
ενώ η σκιά διαστέλλει τη λάμψη μου.
Ιδού. Γράφε καθώς πέφτεις.
Λοιπόν, αυτό μου αφήνεις ως στίχο:
τη μυστική φωνή – σπόρο του χρόνου
και τη βροχή στα χέρια.
Στην αναπνοή σου όλες οι λέξεις,
όλη η σιωπή
ολόκληρο το σύμπαν, τα πάντα και όλοι

—Γη που παραμένει (Ed. di Poesia Controluna, 2018)

Eleni Marinaki e Maria Allo, rispettivamente in greco e in italiano, leggono la poesia di Maria Allo

NON SI PUÒ FERMARE
Non si può fermare il vento
solo cogliere i suoi presagi
dietro il peso lieve di una nube.
Ti parlo da tempi sconosciuti
senza sapere come mi attraversa
l’ombra, mentre un fascio di raggi
si inerpica confuso per sentieri impervi.
Ho seminato impronte
dietro cardini sconnessi nei fondali
ora fluttuano in una voragine
mentre l’ombra dilata il mio chiarore.
Ecco. Scrivi mentre cadi.
Dunque questo mi lasci come verso:
la voce segreta − seme del tempo
e la pioggia fra le mani.
Nel tuo respiro tutte le parole,
tutto il silenzio
l’universo intero, tutto e tutti

—La terra che rimane (Ed. di Poesia Controluna, 2018)

Maria Allo è autrice di questo blog, la sua biografia qui

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“Controfobie” di Antonio Corona. Una lettura di Rita Bompadre

11 martedì Gen 2022

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Antonio Corona, Controfobie, poesia, Recensioni, Rita Bompadre

“Controfobie” di Antonio Corona (Quaderni di poesia Eretica Edizioni, 2021) è una raccolta poetica intensa e manifesta con incisiva e profonda emotività la consapevolezza degli affetti e della compassione, mutando la trascrizione e la distorsione della fobia nella comprensiva e generosa espressione dell’empatia. L’autore interpreta, nell’esperienza della pura solidarietà,  l’attitudine della ragione umana d’intuire la capacità emblematica della realtà, relaziona l’approccio altruistico nella coerente osservazione del rispetto e dell’indulgenza nei riguardi di una universale disponibilità all’apertura mentale, affrontando il conflitto persistente dell’irrazionale limitazione della negazione e delle contrarietà. La materia dei versi convince la spiegazione a ogni spontanea condivisione, accoglie l’impulso motivazionale dell’universo interiore, riconosce il disorientamento degli squilibri e condanna l’inafferrabile oscurità dell’ignoranza. Antonio Corona mantiene la disinvoltura dell’indipendenza sentimentale in relazione ai principi ispiratori della libertà, percorre il sentiero compromesso dalla ferita del disagio, dal tormento dell’irresolutezza, dall’apprensione per un’intolleranza che addensa le incrinature dell’anima. Il poeta congiunge la sintonia con il lettore con l’esecuzione di un proposito di colloquio intimo, consolida il tragitto istintivo tra fiducia e affidabilità, esplora le incertezze delle frontiere intellettive, permette di distinguere la discrezione con la quale guarda al mondo attraverso il proprio vissuto e accoglie la potenzialità della diversità, accennata, e non giudicata, da un’angolatura percettiva. Le distinte prospettive delle parole seguono l’originale itinerario delle sezioni poetiche, suggerite con i colori rivelativi, Nero Fardello, Indaco Bastardo, Rosa Fragilità, Rosso Passione e Verde Speranza, per definire ogni rappresentativo stato d’animo, il segno compiuto di ogni  carico morale, l’insolenza dell’offesa, la tenerezza dello smarrimento, il desiderio resistente dell’amore, la dichiarazione profonda di ogni aspettativa. Leggere “Controfobie” accomuna la fermezza coraggiosa e dolorosa all’intonazione della complessità, consente di condannare i provocatori contrasti delle convenzioni e dei pregiudizi sociali e di escludere dall’impostazione esistenziale il conflitto dell’incomunicabilità. Antonio Corona rivendica le occasioni perdute e le promesse ritrovate, indugia sulla consistenza del proprio sentire, scindendo la scelta di mostrare la propria identità dal timore di non essere riconosciuta, rivela un’umanità conquistata con maturità poetica, senza biasimo, predilige la capacità d’identificare il dono di agire secondo i propri sogni, divulgando la voce più autentica nell’urgenza necessaria della scrittura poetica.

Rita Bompadre – Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

Subire

Un vuoto a pressione
che esplode nel petto,
un gesto tagliente
che affonda nel ventre,
una frase sbagliata
che uccide da dentro.

——————-

Amare nell’ombra

Un bacio mai dato
è un’emozione mancata
ma un bacio nascosto
è come un cuore spezzato.

—————

Pioggia d’estate

La senti cadere ferita smarrita
come lacrime gioiose irrompe
in cerca della terra secca zollata
che accoglie i segni dei palmi
di chi carponi cammina trafitta
in cerca di quel sole che corrompe
chi d’amore mancato perisce.

—————–

Sulla fune

Su una fune
sospesa nel vuoto
la vita danza sulle punte
di un amor congiunto
fra anima e corpo
tra sensi e tatto
di chi ascolta e poi agisce
senza cogliere nel segno.
Mi fermo
nel fulcro della ragione
sapendo che seguirla
mi porterà altrove.
Mi muovo
in equilibrio sul cuore,
se cado volo
se arrivo cammino.
Amare è l’unica certezza.
Parole di convivenza

Parole cucite all’orizzonte
perse tra due mondi
uniti sulla linea del niente
congiunte solo in un miraggio
ma in realtà sempre distanti.

Parole vuote nell’aria
affogate nel mare
in due mondi bruciati
dal silenzio del confronto.

Vorrei parole unite da una lampo
riportate all’orizzonte
riflesse sul mare
proiettate lunghe sulla terra
paciere di tolleranze
ed amorevole convivenza.

——————–

A piedi uniti

In quel punto esatto
dove a piedi uniti
premo sulla sabbia bagnata
leggermente sprofondano
pensieri, azioni ed intenti.
Guardo quell’ombra formarsi intorno
e permango in attesa
di un’onda, dell’onda
della forza che m’inonda.
Affonda e ritorna
la spuma circonda
come nebbia spettrale
l’assenza e l’essenza
la gioia e il tormento.
Mi getto mi bagno respiro
vivo. Acqua sabbia sale
un pane bagnato
indissoluto
sotto i miei piedi.
Coraggioso attendo,
il vento.

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Fine del ’68. Eugenio Montale

31 venerdì Dic 2021

Posted by Loredana Semantica in Poesie

≈ 1 Commento

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Eugenio Montale, Fine del '68, poesia

La Redazione di Limina mundi augura Buon Anno Nuovo

Ho contemplato dalla luna, o quasi,
il modesto pianeta che contiene
filosofia, teologia, politica,
pornografia, letteratura, scienze
palesi o arcane. Dentro c’è anche l’uomo,
ed io tra questi. E tutto è molto strano.
Tra poche ore sarà notte e l’anno
finirà tra esplosioni di spumanti
e di petardi. Forse di bombe o peggio,
ma non qui dove sto. Se uno muore
non importa a nessuno purché sia
sconosciuto e lontano.

Eugenio Montale

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Buon compleanno, Arthur

20 mercoledì Ott 2021

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche

≈ Commenti disabilitati su Buon compleanno, Arthur

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Arthur Rimbaud, Emilio Capaccio, poesia, traduzione

Credo di essere all’inferno, quindi ci sono

A.R.

Arthur Rimbaud (1854-1891), traduzioni di Emilio Capaccio

Rimbaud

MIO BOHÉMIEN

Me ne andavo coi pugni nei taschini sfondati.
Il mio cappotto diventava ideale.
Andavo a cielo nudo, Musa! a te leale.
Oh! Là! Là! che amori splendidi sognati!

Le mie mutande avevano un largo foro.
Pollicino sognante, rimavo al furore
Della corsa. La mia locanda l’Orsa Maggiore,
Le mie stelle in cielo un dolce coro.

Le ascoltavo seduto sul ciglio delle vie,
Sere buone di settembre, sentivo un goccìo
Di rugiada sulla fronte, corposo liquore;

Facendo rime in ombre lunghe lunghe,
Come lire, trascinavo le stringhe
Delle scarpe ferite, un piede vicino al mio cuore.
 
MA BOHÈME

Je m’en allais les poings dans mes poches crevées.
Mon paletot aussi devenait idéal.
J’allais sous le ciel, Muse! et j’étais ton féal.
Oh! Là! Là! que d’amours splendides j’ai rêvées!

Mon unique culotte avait un large trou.
Petit Poucet rêveur, j’égrenais dans ma course
Des rimes. Mon auberge était à la Grande Ourse,
Mes étoiles au ciel avaient un doux frou-frou.

Et je les écoutais, assis au bord des routes
Ces bons soirs de septembre où je sentais des gouttes
De rosée à mon front, comme un vin de vigueur;

Où, rimant au milieu des ombres fantastiques,
Comme des lyres, je tirais les élastiques
De mes souliers blessés, un pied près de mon coeur!
 
SOGNATO PER L’INVERNO

D’inverno andremo in un piccolo vagone rosa
Con cuscini azzurri.
Staremo bene. Un nido di baci dissennati riposa
Negli angoli molli.

Chiuderai gli occhi per non veder dal finestrino
Smorfiare le ombre delle sere,
Queste mostruosità astiose popolate
Da demoni neri e lupi neri.

Poi ti sentirai la guancia scalfita …
Un piccolo bacio come un ragno folle
Ti correrà per il collo …

E tu mi dirai: “Cerca!”, inclinando la testa
E prenderemo tempo per trovar quell’animaletto
Che fugge tanto …
 
RÊVÉ POUR L’HIVER

L’hiver, nous irons dans un petit wagon rose
Avec des coussins bleus.
Nous serons bien. Un nid de baisers fous repose
Dans chaque coin moelleux.

Tu fermeras l’oeil, pour ne point voir, par la glace,
Grimacer les ombres des soirs,
Ces monstruosités hargneuses, populace
De démons noirs et de loups noirs.

Puis tu te sentiras la joue égratignée …
Un petit baiser, comme une folle araignée,
Te courra par le cou …

Et tu me diras: “Cherche!” en inclinant la tête,
Et nous prendrons du temps à trouver cette bête
Qui voyage beaucoup …
 
ORAZIONE DELLA SERA

Vivo seduto, come un angelo tra le mani d’un barbiere
Impugnando un boccale a forti scanalature,
L’epigastrio e il collo inarcato, una Gambier ai denti,
Sotto l’aria gonfia d’impalpabili velature.

Come gli escrementi caldi d’una vecchia piccionaia,
Mille sogni in me fanno dolci bruciature:
Poi a istanti, il mio cuore triste è come un alburno
Che insanguina l’oro giovane e scuro delle colature.

E quando ho ringoiato i miei sogni con cura,
Mi giro, avendo bevuto trenta o quaranta boccali,
E mi raccolgo per lasciare l’acre bisogno:

Dolce come il Signore del cedro e degli issopi
Piscio verso cieli bruni, molto alti e molto lontani,
Con il permesso dei grandi eliotropi.
 
ORAISON DU SOIR

Je vis assis, tel qu’un ange aux mains d’un barbier,
Empoignant une chope à fortes cannelures,
L’hypogastre et le col cambrés, une Gambier
Aux dents, sous l’air gonflé d’impalpables voilures.

Tels que les excréments chauds d’un vieux colombier,
Mille Rêves en moi font de douces brûlures:
Puis par instants mon coeur triste est comme un aubier
Qu’ensanglante l’or jeune et sombre des coulures.

Puis, quand j’ai ravalé mes rêves avec soin,
Je me tourne, ayant bu trente ou quarante chopes,
Et me recueille, pour lâcher l’âcre besoin:

Doux comme le Seigneur du cèdre et des hysopes,
Je pisse vers les cieux bruns, très haut et très loin,
Avec l’assentiment des grands héliotropes.

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Omaggio a Sebastiano

06 domenica Giu 2021

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA

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omaggio, poesia, ricordo, Sebastiano A. Patanè Ferro

Recentemente è scomparso il mio amico poeta Sebastiano A. Patanè Ferro. Il 15 maggio scorso aveva scritto un messaggio sulla bacheca di fb comunicando che doveva assentarsi per ragioni di salute che tuttavia era ottimista sul suo rapido ritorno. Ho avuto modo di leggerlo, pur nel mio accedere saltuario alla rete,  per poi scoprire, inaspettatamente e dolorosamente, circa dieci giorni dopo, sempre attraverso la rete, che Sebastiano è venuto a mancare.

L’amicizia con Sebastiano su facebook risale al lontano 11 agosto 2010, così mi comunica la funzione “vedi dettagli amicizia” del social. Non sono pochi dieci anni. Il tempo di conoscere una persona, almeno un po’, anche se frequentandola solo virtualmente, solo saltuariamente. Ed io Sebastiano l’ho conosciuto  come persona sincera, generosa e disponibile, alla quale il destino ha riservato, secondo la mia percezione,  prove di resistenza e di coraggio, inducendolo in ogni modo all’esercizio  della resilienza, a sondare le profondità. Raccontava le sue storie, scriveva poesia, e per la poesia ha fondato “Nuova Arcadia”, organizzando reading, incontri, video, sviluppando una rete di contatti nell’ambiente poetico soprattutto siciliano, scosso dalla sua improvvisa scomparsa. Sciaranera era il nome del blog che curava su internet. Risuona ancora l’assonanza, gli stessi luoghi, nomi e scenari della mia esperienza. Sciara a Catania è la lava del vulcano Etna dopo che si è solidificata. E’ nera, durissima, cupa. Ci accomunava la città di nascita, ma anche l’incandescenza della lava, la durezza spigolosa, l’oscurità della roccia vulcanica. Io sono nata nel nero, in una casa, ormai abbattuta, costruita sulla sciara.

La poesia di Sebastiano era vissuta ed intensa, come era lui stesso, come deve essere la scrittura poetica, specchio della nostra essenza, espressione dell’anima del poeta.

La volta che l’ho invitato a partecipare  al “Canto presente” di questo blog mi ha messo a disposizione “L’amore al tempo delle scimmie”, Poemetti collezione, Catania 2015 e “Lazzaro”, Estensione poetica, 2015, Piccolo Teatro da Camera, Collezione.

Da questa sua offerta sono nati tre post un Canto presente e Prisma lirico 5 e 7, quest’ultimo in sostanza una collaborazione, con mie foto.

Riporto di seguito i link ai post.

Canto presente 17

Prisma lirico 5

Prisma lirico 7

Significativo che il 28 maggio scorso, giorno in cui è stata diffusa la notizia del decesso, pochi minuti prima di apprenderla, io abbia scritto questo testo che riporto più sotto. E’ la prova, se mai ce ne fosse bisogno, che siamo connessi, e non solamente per via della rete, ma in modo più invisibile e misterioso. Un mistero che per Sebastiano non è più tale. Nel suo passare dall’altro lato si è dissolto, è stato rivelato.

Non mi coordino più con la mia specie
tutti hanno una forma aliena del corpo
una bocca sbagliata un’anca storta
la pelle trasuda lacrime e sebo
il battito ha un ritmo sfasciato
come note stonate nel silenzio.

Se penso al passato mi sembra
che abbiamo avuto passi da gigante
un volteggio elegante e parole
da spendere infinite.

Ora mi sembra di sentire
talvolta disfarsi tra le dita
il presente similmente alle ceneri
di un fuoco spento che lascia supporre
lenta una forma che langue e poi
all’improvviso si estingue
senza lamento o preavviso
negli occhi lo sgomento di chi
non s’era accorto
di come tutto corresse
verso l’ultimo spavento.

Loredana Semantica

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Emilio Capaccio traduce Gioconda Belli

29 sabato Mag 2021

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

≈ Commenti disabilitati su Emilio Capaccio traduce Gioconda Belli

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Emilio Capaccio, Gioconda Belli, poesia, traduzione

Credo che il solo fatto di esistere
implichi una responsabilità verso il futuro,
verso ciò che esisterà dopo di noi.

G. B.


Gioconda Belli (1948-vivente), traduzioni di Emilio Capaccio

MAGGIO

Non appassiscono i baci
come i malinches*
né mi crescono baccelli nelle braccia;
fiorisco sempre
con questa pioggia interiore,
come i verdi patii di maggio
perché amo il fiume, il vento e le nuvole
e il passo degli uccelli canterini,
malgrado sia irretita nei ricordi,
coperta d’edera come le vecchie pareti,
continuo a credere ai sussurri trattenuti,
alla forza dei cavalli selvaggi,
al messaggio alato dei gabbiani.
Credo alle radici innumerevoli del mio canto.

MAYO

No se marchitan los besos
como los malinches,
ni me crecen vainas en los brazos;
siempre florezco
con esta lluvia interna,
como los patios verdes de mayo
y río porque amo el viento y las nubes
y el paso del los pájaros cantores,
aunque ande enredada en recuerdos,
cubierta de hiedra como las viejas paredes,
sigo creyendo en los susurros guardados,
la fuerza de los caballos salvajes,
el alado mensaje de las gaviotas.
Creo en las raíces innumerables de mi canto.

  • malinches sono arbusti di fiori rossi, simili ad orchidee che fioriscono in maggio, originari del Sudamerica.

ABBANDONATI

Tocchiamo la notte con le mani
sgocciolandone l’oscurità tra le dita,
maneggiandola come il vello di una pecora nera.

Ci siamo abbandonati al disamore,
alla svogliatezza di vivere collettando ore nel vuoto,
nei giorni che si lasciano passare e tornano a ripetersi
intrascendenti
senza orme, né sole, né raggianti esplosioni di chiarore.

Ci siamo abbandonati dolorosamente alla solitudine
sentendo il bisogno dell’amore sotto le unghia,
il vuoto di un’obliteratrice nel petto,
il ricordo e il rumore come in una conchiglia
che ha vissuto troppo tempo in un acquario di città
e si porta solo l’eco del mare nel labirinto del suo guscio.

Come tornare a riprendere il tempo?

Interporgli il corpo forte del desiderio e dell’angoscia,
farlo retrocedere intimidito
per nostra infrangibile decisione?

Chissà se potremmo riprendere il momento
che perdemmo.

Nessuno può predire il passato
quando forse non siamo più gli stessi,
quando forse abbiamo dimenticato
il nome della strada
dove
qualche volta
potremmo
incontrarci.

ABANDONADOS

Tocamos la noche con las manos
Escurriéndonos la oscuridad entre los dedos,
Sobándola como la piel de una oveja negra.

Nos hemos abandonado al desamor,
Al desgano de vivir colectando horas en el vacío,
En los días que se dejan pasar y se vuelven a repetir,
Intrascendentes,
Sin huellas, ni sol, ni explosiones radiantes de claridad.

Nos hemos abandonado dolorosamente a la soledad,
Sintiendo la necesidad del amor por debajo de las uñas,
El hueco de un sacabocados en el pecho,
El recuerdo y el ruido como dentro de un caracol
Que ha vivido ya demasiado en una pecera de ciudad
Y apenas si lleva el eco del mar en su laberinto de concha.

¿Cómo volver a recapturar el tiempo?

¿Interponerle el cuerpo fuerte del deseo y la angustia,
Hacerlo retroceder acobardado
Por nuestra inquebrantable decisión?

Pero… quién sabe si podremos recapturar el momento
Que perdimos.

Nadie puede predecir el pasado
Cuando ya quizás no somos los mismos,
Cuando ya quizás hemos olvidado
El nombre de la calle
Donde
Alguna vez
Pudimos
Encontrarnos.

SFIDA ALLA VECCHIAIA

Quando arriverò a esser vecchia
– se ci arriverò –
e mi guarderò nello specchio
e conterò le rughe
come delicata ortografia
di pelle distesa,
quando potrò contare i segni
che hanno lasciato lacrime
e preoccupazioni,
e il mio corpo risponderà
già lentamente ai miei desideri,
quando vedrò la mia vita
ravvolta in vene azzurre,
in profonde occhiaie,
e scioglierò i miei capelli bianchi
per andare a dormire presto
– come si conviene –
quando verranno i miei nipoti
a sedersi sulle mie ginocchia ammuffite
per il passo di molti inverni,
saprò tuttavia che il mio cuore
ticchetterà – ribelle –
e i dubbi e i larghi orizzonti
saluteranno ancora
le mie mattine.

DESAFIO A LA VEJEZ

Cuando yo llegue a vieja
– si es que llego –
y me mire al espejo
y me cuente las arrugas
como una delicada orografía
de distendida piel.
Cuando pueda contar las marcas
que han dejado las lágrimas
y las preocupaciones,
y ya mi cuerpo responda despacio
a mis deseos,
cuando vea mi vida envuelta
en venas azules,
en profundas ojeras,
y suelte blanca mi cabellera
para dormirme temprano
– como corresponde –
cuando vengan mis nietos
a sentarse sobre mis rodillas
enmohecidas por el paso de muchos inviernos,
sé que todavía mi corazón
estará – rebelde – tictaqueando
y las dudas y los anchos horizontes
también saludarán
mis mañanas.

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“Lavoro” una poesia di Henry Van Dyke

01 sabato Mag 2021

Posted by emiliocapaccio in Eventi e segnalazioni, Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

≈ Commenti disabilitati su “Lavoro” una poesia di Henry Van Dyke

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Emilio Capaccio, Henry Van Dyke, poesia, traduzione

Henry Van Dyke (1852-1933)

LAVORO

Traduzione di Emilio Capaccio

Lasciatemi fare il mio lavoro giorno dopo giorno,
Nel campo o nella foresta, allo scrittoio o al telaio,
Nella chiassosa piazza o nella stanza tranquilla;
Lasciatemi scorgerlo nel mio cuore e dire,
Quando vaganti piaceri m’invitano dal devio sentiero:
«È il mio lavoro; la mia benedizione, non la mia condanna;
Di tutto ciò che vive, io sono colui dal quale
Questo lavoro può esser fatto nel modo migliore».

Non lo vedrò né troppo grande, né insignificante,
Per giovare al mio spirito e saggiare le mie capacità;
Accoglierò felice le ore del lavoro,
E felice tornerò a casa, quando lunghe ombre cadono
La sera, per divagarmi, amare e riposare,
Perché so che il mio lavoro è il più giusto per me.

*

WORK

Let me but do my work from day to day,
In field or forest, at the desk or loom,
In roaring market-place or tranquil room;
Let me but find it in my heart to say,
When vagrant wishes beckon me astray,
“This is my work; my blessing, not my doom;
“Of all who live, I am the one by whom
“This work can best be done in the right way.”

Then shall I see it not too great, nor small,
To suit my spirit and to prove my powers;
Then shall I cheerful greet the labouring hours,
And cheerful turn, when the long shadows fall
At eventide, to play and love and rest,
Because I know for me my work is best.

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Emilio Capaccio traduce Randall Jarrell

11 domenica Apr 2021

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA

≈ Commenti disabilitati su Emilio Capaccio traduce Randall Jarrell

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poesia, Randall Jarrell. Emilio Capaccio. traduzioni

Un poeta è un uomo che riesce,
durante tutta la vita trascorsa sotto il temporale,
a farsi colpire dal fulmine cinque o sei volte.

Randall Jarrell (1914-1965), traduzioni di Emilio Capaccio

 
O TUTTI O NESSUNO

Ogni anno, al tempo dell’arresa
dei fiori e delle gemme che s’aggrinzano sui rami,
sento dal cielo una voce stupita:
l’uccello ambrato che sonnecchia
per tutto l’anno sulla casa in agitazione
ha sentito nelle vene, un’altra volta
un verde inizio: un brivido di trepidazione
correre in lui — nuova vita
che giunge dalla primavera, eccetto nelle nostre vite.
Dalla loro scena di gusci d’uovo, gli uccellini
stridono ferocemente a un cielo
che piove benedizioni, come piovono ore,
al tendere il becco: vivere, morire.
O tutti o nessuno: è tutt’uno.
“Il vero sole
è l’occhio di chi guarda”,
dice chi guarda, voltando pagina
che un giorno o l’altro sarà voltata dal vento;
“Ogni anno sono un anno più vecchio
e la gente per strada un anno più giovane”.
Ha sempre la stessa età il mondo.
 

ALL OR NONE

Each year, just as the blossoms
Fall, and the buds curl from the boughs,
I hear from the sky a wondering voice:
The brass bird that drowses
All year on the turning house
Has felt in his veins, once more, a green
Start: a shudder of awe
Runs through him — the new life
That comes, in the spring, to everything but our lives.
From their setting of eggshells, the nestlings
Call fiercely up to a sky
That rains, like the hours, blessings
Into their straining bills: to live, to die.
All or none: it is all one.
“The real sun
Is the eye of the beholder,”
Says the beholder, turning the page
That will someday be turned by the wind;
“Each year I am a year older
And the people in the street are a year younger.”
The world is always the same age.
 
VIENI ALLA PIETRA

Il bambino ha visto il bombardiere scorrere come pietra per i campi
mentre si trascinava sulle strade l’estate s’è diffusa
con le sue foglie riluttanti; quante rose
giganti, intraviste giù e svanite, sul sentiero
le formiche hanno sparso le loro briciole e sono morte.

“Quell’uomo è bianco e rosso come il mio clown di pezza”,
dice a sua madre che se n’è andata.
“Io non ho pianto, non ho pianto.”
Nel cielo gli aerei sono rabbiosi come il vento.
La gente sta punendo altra gente — perché?

Risponde facilmente, i suoi occhi tonti
a rischiarare quella lunga similitudine, il mondo.
Gli angeli ondeggiano sulla sua storia come palloncini.
Un bambino crea ogni cosa — eccetto la sua morte —.
Vieni alla pietra e dimmi perché sono morto.
 
COME TO THE STONE

The child saw the bombers skate like stones across the fields
As he trudged down the ways the summer strewed
With its reluctant foliage; how many giants
Rose and peered down and vanished, by the road
The ants had littered with their crumbs and dead.

“That man is white and red like my clown doll,”
He says to his mother, who has gone away.
“I didn’t cry, I didn’t cry.”
In the sky the planes are angry like the wind.
The people are punishing the people — why?

He answers easily, his foolish eyes
Brightening at that long simile, the world.
The angels sway about his story like balloons.
A child makes everything — except his death — a child’s.
Come to the stone and tell me why I died.
 
L’ALITO DELLA NOTTE

Sorge la luna. I cuccioli rossi rotolano
nelle felci dalla quercia marcita
con lo sguardo fisso su un pantano e un prato
al bianco fil di fumo della fattoria.
Una scintilla brucia, in alto nel cielo.
I cervi infilano i rigogliosi filari
del vecchio frutteto, i conigli
saltellano dal cordolo del pozzo. I galli
cantano dall’albero del belvedere;
due stelle intrappolate negli alberi
a occidente, e il tenero verso di un gufo
corre come un alito per la foresta.
Anche qui, benché la morte sia fatta tacere, benché
la gioia oscuri, come la notte, le loro guerre,
gli esseri di questo mondo sono spazzati
dal conflitto che muovono le stelle.
 
THE BREATH OF NIGHT

The moon rises. The red cubs rolling
In the ferns by the rotten oak
Stare over a marsh and a meadow
To the farm’s white wisp of smoke.
A spark burns, high in heaven.
Deer thread the blossoming rows
Of the old orchard, rabbits
Hop by the well-curb. The cock crows
From the tree by the widow’s walk;
Two stars in the trees to the west,
Are snared, and an owl’s soft cry
Runs like a breath through the forest.
Here too, though death is hushed, though joy
Obscures, like night, their wars,
The beings of this world are swept
By the Strife that moves the stars.

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Emilio Capaccio traduce Robert Frost

21 domenica Mar 2021

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

≈ Commenti disabilitati su Emilio Capaccio traduce Robert Frost

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Emilio Capaccio, Georg Heym, poesia, traduzione

La poesia è quando un’emozione ha trovato il suo pensiero

e il pensiero ha trovato le parole.

R. F.


Robert Frost, traduzioni di Emilio Capaccio

LA STRADA NON PRESA


Due strade divergevano in un bosco giallo
Pena non poterle percorrere entrambe
Essendo io un solo viaggiatore, a lungo esitai
Scrutandone una più lontano che potevo,
Fin dove si piegava tra i cespugli;

Poi presi l’altra, buona allo stesso modo
Ma aveva forse la pretesa migliore
Perché era erbosa e meno cercata
Anche se come per l’altra, il passaggio
L’avesse ugualmente segnata.

E tutte e due quella mattina erano coperte
Di foglie che nessun passo aveva annerito.
O, prenderò la prima un’altra volta!
Ma sapendo già che le strade vanno ad altre strade,
Dubitavo che sarei mai tornato indietro.

Dirò questo con un sospiro
In qualche luogo fra anni e anni a venire:
Due strade divergevano in un bosco, ed io —
Io presi quella meno battuta
E questo ha fatto tutta la differenza.
 
THE RAOD NOT TAKEN 

Two roads diverged in a yellow wood,
And sorry I could not travel both
And be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could
To where it bent in the undergrowth;

Then took the other, as just as fair
And having perhaps the better claim,
Because it was grassy and wanted wear;
Though as for that, the passing there
Had worn them really about the same,

And both that morning equally lay
In leaves no step had trodden black
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way,
I doubted if I should ever come back.

I shall be telling this with a sigh
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I —
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.
 
FUOCO E GHIACCIO

C’è chi dice che il mondo finirà nel fuoco.
C’è chi dice nel ghiaccio.
Per quello che ho assaporato del desiderio
Propendo per chi va in favore del fuoco.
Ma se conosco abbastanza l’odio
Dico che la devastazione del ghiaccio
Sarebbe tanto grande
E potrebbe bastare.
 
FIRE AND ICE

Some say the world will end in fire.
Some say in ice.
From what I’ve tasted of desire
I hold with those who favor fire.
But if I know enough of hate
To say that for destruction ice
Is also great
And would suffice.
 
FERMANDOSI AI BOSCHI IN UNA SERA DI NEVE

Di chi siano questi boschi penso di sapere.
Ma la sua casa è nel villaggio;
Non mi vedrà fermare qui
A guardare il suo bosco riempirsi di neve.

Il mio puledro penserà che sia strano
Fermarsi senza una fattoria nei paraggi
Tra i boschi e il lago ghiacciato
Nella più buia sera dell’anno.

Dà una scrollata al suo campanello
A domandare se c’è un errore.
L’unico altro suono è la spazzata
Gentile del vento e il fiocco lanuginoso.

I boschi sono amorevoli, profondi e oscuri,
Ma io ho una promessa da mantenere,
E miglia da fare prima d’addormentarmi
E miglia da fare prima d’addormentarmi
.
 
STOPPING BY WOODS ON A SNOWY EVENING

Whose woods these are I think I know.
His house is in the village, though;
He will not see me stopping here
To watch his woods fill up with snow.

My little horse must think it queer
To stop without a farmhouse near
Between the woods and frozen lake
The darkest evening of the year.

He gives his harness bells a shake
To ask if there is some mistake.
The only other sound’s the sweep
Of easy wind and downy flake.

The woods are lovely, dark and deep,
But I have promises to keep,
And miles to go before I sleep,
And miles to go before I sleep.
 
LA LIBERTA’ DELLA LUNA

Ho saggiato la luna nuova curva nell’aria
Su un albero nebbioso e grappolo di fattoria
Come a provare un gioiello tra i capelli.
L’ho saggiata con la piccola ampiezza del lustro,
Sola o in combinazione d’ornamento
Con una stella di prim’acqua quasi brillante.

L’ho posta a splendere ovunque ho voluto.
Scorrendo lenta su una sera inoltrata
L’ho strappata da una grata d’alberi torti,
L’ho portata a un’acqua lucente, più grande,
E calandola dentro ho visto guazzare la forma,
Correre il colore, ogni genere di meraviglia.
 
THE FREEDOM OF THE MOON

I’ve tried the new moon tilted in the air
Above a hazy tree-and-farmhouse cluster
As you might try a jewel in your hair.
I’ve tried it fine with little breadth of luster,
Alone, or in one ornament combining
With one first-water star almost as shining.

I put it shining anywhere I please.
By walking slowly on some evening later
I’ve pulled it from a crate of crooked trees,
And brought it over glossy water, greater,
And dropped it in, and seen the image wallow,
The color run, all sorts of wonder follow.
 
UN PICCOLO UCCELLO

Ho sperato che un uccello volasse via,
E non cantasse davanti casa mia;

Gli ho battuto sulla porta le mani
Quando non ho retto i suoi baccani.

In parte mio il torto è stato.
L’uccello non era di timbro stonato.

C’è qualcosa di sbagliato con convinzione
Nel voler far tacere una canzone.
 
A MINOR BIRD

I have wished a bird would fly away,
And not sing by my house all day;

Have clapped my hands at him from the door
When it seemed as if I could bear no more.

The fault must partly have been in me.
The bird was not to blame for his key.

And of course there must be something wrong
In wanting to silence any song.

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Emilio Capaccio traduce Georg Heym

14 domenica Mar 2021

Posted by emiliocapaccio in Idiomatiche, LETTERATURA E POESIA

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Tag

Emilio Capaccio, Georg Heym, poesia, traduzione

Il sole pende enorme all’orizzonte
fiamme saetta l’arco della sera.
E il sogno della luce, alto, su tutto.

G. H.

,

traduzioni di Emilio Capaccio

 
LA QUIETE


La vecchia barca che nel porto tranquillo
il meriggio culla alla sua cima.
Gli amanti assopiti dopo il bacio.
Una pietra in fondo alla verde fontana.

Il riposo di Pizia, uguale al sonno
che a superni dèi cala dopo il banchetto.
Il pallido cero che sbianca il morto.
Criniere di nubi sopra una valle.

La pietra fattasi riso d’un tonto.
Coppi polverosi in cui resta ancora l’aroma.
Violini sfasciati nel ciarpame dei solai.
L’aria ferma prima della burrasca.

Una vela che luccica all’orizzonte.
L’essenza dei campi che attrae le api.
L’oro d’autunno, le foglie e il tronco adorni.
Il poeta che dello sciocco sente invidia.
 
DIE RUHIGEN


Ein altes Boot, das in dem stillen Hafen
am Nachmittag an seiner Kette wiegt.
Die Liebenden, die nach den Küssen schlafen.
Ein Stein, der tief im grünen Brunnen liegt.

Der Pythia Ruhen, das dem Schlummer gleicht
der hohen Götter nach dem langen Mahl.
Die weisse Kerze, die den Toten bleicht.
Der Wolken Löwenhäupter um ein Tal.

Das Stein gewordene Lächeln eines Blöden.
Verstaubte Krüge, drin noch wohnt der Duft.
Zerbrochne Geigen in dem Kram der Böden.
Vor dem Gewittersturm die träge Luft.

Ein Segel, das vom Horizonte glänzt.
Der Duft der Heiden, der die Bienen führt.
Des Herbstes Gold, das Laub und Stamm bekränzt.
Der Dichter, der des Toren Bosheit spürt.
 
DORMIVEGLIA


Frusciano le tenebre come un vestito,
gli alberi vacillano all’orizzonte.

Rifùgiati al cuor della notte,
scava dentro l’oscurità un nascondiglio
come l’ape nel favo. Fatti piccolo
nel tuo giaciglio.

Qualcosa vuol andare per i ponti,
scalpita sollevando gli zoccoli,
pallide, sussultano le stelle.

Come un’anziana si trascina la luna
da una parte all’altra
col dorso ricurvo.
 
HALBSCHLAF


Die Finsternis raschelt wie ein Gewand,
Die Bäume torkeln am Himmelsrand.

Rette dich in das Herz der Nacht,
Grabe dich schnell in das Dunkele ein,
Wie in Waben. Mache dich klein,
Steige aus deinem Bette.

Etwas will über die Brücken,
Er scharret mit Hufen krumm,
Die Sterne erschraken so weiß.

Und der Mond wie ein Greis
Watschelt oben herum
Mit dem höckrigen Rücken.
 
O, LE TUE LUNGHE CIGLIA


O, le tue lunghe ciglia,
l’acqua oscura dei tuoi occhi.
Lasciami dentro sprofondare,
discendere fin al fondo.

Come si cala il minatore alla profondità
e oscilla un lume molto tenue
sull’uscio della miniera,
per l’ombrosa parete,

così continuo a calarmi
per dimenticare sul tuo seno
ciò che in superficie riecheggia,
giorno, tormento, splendore.

Cresce fitto nei campi,
ove il vento dimora, con ebbrezza di messe,
l’alto spino delicato
Contro il cielo azzurro.

Dammi la tua mano,
e lascia che al crescer ci uniamo,
preda d’ogni vento,
volo d’uccelli solitari,

che d’estate ascoltiamo
l’organo sfiatato dei temporali,
che d’autunno ci bagniamo alla sua luce
sulla riva di chiare giornate.

Qualche volta andremo a sporgerci
sull’orlo d’un oscuro pozzo,
fisseremo il fondo silenzioso
e là cercheremo il nostro amore.

Oppure usciremo dall’ombra
di boschi dorati
per entrare, grandi, in qualche crepuscolo
che sfiori soavemente la tua fronte.

Divina tristezza,
ala d’eterno amore,
soleva il tuo boccale
e bevi da questo sogno.

Una volta approderemo alla fine
ove il mare macchiato di giallo
mutamente invade la baia
di settembre,

riposeremo a quella dimora
di fiori appassti,
mentre tra le rocce
trema un vento cantando.

E dal bianco pioppo
che s’innalza contro il cielo
cadrà una foglia annerita
a riposar sulla tua nuca.
 
DEINE WIMPERN, DIE LANGEN


Deine Wimpern, die langen,
Deiner Augen dunkele Wasser,
Laß mich tauchen darein,
Laß mich zur Tiefe gehn.

Steigt der Bergmann zum Schacht
Und schwankt seine trübe Lampe
Über der Erze Tor,
Hoch an der Schattenwand,

Sieh, ich steige hinab,
In deinem Schoß zu vergessen,
Fern, was von oben dröhnt,
Helle und Qual und Tag.

An den Feldern verwächst,
Wo der Wind steht, trunken vom Korn,
Hoher Dorn, hoch und krank
Gegen das Himmelsblau.

Gib mir die Hand,
Wir wollen einander verwachsen,
Einem Wind Beute,
Einsamer Vögel Flug.

Hören im Sommer
Die Orgel der matten Gewitter,
Baden in Herbsteslicht,
Am Ufer des blauen Tags.

Manchmal wollen wir stehn
Am Rand des dunkelen Brunnens,
Tief in die Stille zu sehn,
Unsere Liebe zu suchen.

Oder wir treten hinaus
Vom Schatten der goldenen Wälder,
Groß in ein Abendrot,
Das dir berührt sanft die Stirn.

Göttliche Trauer,
Schwinge der ewigen Liebe.
Hebe den Krug herauf,
Trinke den Schlaf.

Einmal am Ende zu stehen,
Wo Meer in gelblichen Flecken
Leise schwimmt schon herein
Zu der September Bucht.

Oben zu ruhn
Im Hause der dürftigen Blumen,
Über die Felsen hinab
Singt und zittert der Wind.

Doch von der Pappel,
Die ragt im Ewigen Blauen,
Fällt schon ein braunes Blatt,
Ruht auf dem Nacken dir aus.

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