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5 voci poetiche, 5 modi diversi d’essere madri: dal paradiso alla dannazione

Quann’ero ragazzino

Quann’ero ragazzino, mamma mia me diceva:
“Ricordate, fijolo, quanno te senti veramente solo
tu prova a recità ‘n’Ave Maria.
L’anima tua da sola spicca er volo
e se solleva come pe’ maggìa”.
Ormai so’vecchio, er tempo m’è volato,
da un pezzo s’è addormita la vecchietta,
ma quer consijo nun l’ho mai scordato.
Come me sento veramente solo
io prego la Madonna benedetta
e l’anima da sola pija er volo.

Trilussa

A’ Mamma

Chi tene a mamma
è ricche e nun ‘o sape;
chi tene a mamma
è felice e nun ll’apprezza
pecchè ll’ammore ‘e mamma
è ‘na ricchezza
è comme ‘o mare
ca nun fernesce maje.
Pure ll’omme cchiù triste e malamente
è ancora bbuon si vò bbene ‘a mamma.
A mamma tutto te dà,
niente te cerca
e si te vede ‘e chiagnere
senza sapè ‘o pecchè…
t’a stregne ‘mpiette
e chiagne ‘nsieme a tè!

Salvatore Di Giacomo

Tu non sei più vicina a Dio

Tu non sei più vicina a Dio di noi;
siamo lontani tutti.
Ma tu hai stupende, benedette le mani.
Nascono chiare in te dal manto,
luminoso contorno:
io sono la rugiada, il giorno,
ma tu,
tu sei la pianta.

Rainer Maria Rilke

Supplica a mia madre

E’ difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile.

Pier Paolo Pasolini

Medèa:

Amiche, è fermo il mio disegno: i figli,
prima ch’io possa, uccidere, e lontano
fuggir da questa terra, e non concedere
che per l’indugio mio muoiano i figli
di piú nemica mano. è ch’essi muoiano
ferma necessità. Poiché bisogna,
io che li generai li ucciderò.
Su, dunque, àrmati, o cuor. Ché indugi? è vile
non far ciò che bisogna, anche se orriblle.
Su, sciagurata mano mia, la spada,
stringi la spada, e muovi a questo truce
termin di vita, non esser codarda,
né dei figli pensar che d’ogni cosa
ti son piú cari, e che li desti a luce.
Questo sol giorno i figli tuoi dimentica,
e poscia piangi. Anche se tu li uccidi,
cari sono essi, e sciagurata io sono.
(Entra nella reggia)

CORO: Strofe prima
O Terra, o fulgidissimo
raggio del Sole, a questo suol volgetevi,
mirate questa sciagurata femmina,
prima che avventi l’impeto
della morte sanguinea
sui figli suoi. Dell’aurea progenie
tua son germoglio; ed uom che versi l’ícore
d’un Dio, dei Numi la vendetta pròvoca.
Ma tu reggila, frenala,
raggio divin: tu scaccia dalla casa
la sanguinaria Erinni, cui lo spirito
della vendetta invasa.

Antistrofe prima

Invano, dunque, i pargoli
generasti alla luce: spersi ed írriti
i travagli materni andaron, misera,
che l’inospite tramite
delle azzurre Simplègadi
abbandonasti. Or, che t’invade l’animo
cura sí grave? A che, furia d’eccidio
segue a furia d’eccidio? Il consanguineo
contagio infesto agli uomini,
pena al misfatto ugual sovressi i rei
desta, che su le lor case precipita,
per voler degli Dei.

da “Medea” di Euripide trad. Ettore Romagnoli