In un testo narrativo e in una descrizione il punto di vista è il punto di osservazione, la posizione di colui che narra o descrive. Tale descrizione può essere monoprospettica quando esiste un’unica angolazione e pluriprospettica nel caso di descrizioni viste da più angolazioni. Quello di cui vorrei occuparmi in questa nuova rubrica, recuperando alcune reminiscenze scolastiche, è l’analisi e il commento di opere d’arte famose e meno famose che apprezzo particolarmente.
Oggi analizziamo La persistenza della memoria di Salvador Dalì.
“La persistenza della memoria” è un dipinto ad olio su tela di cm 24 x 33, realizzato nel 1931 dal pittore spagnolo Salvador Dalí. Il dipinto, inizialmente denominato Gli orologi molli, fu acquistato nel 1932 dal gallerista Julien Levy che lo espose nella propria galleria d’arte a New York, attribuendogli il titolo con cui è maggiormente conosciuto, La persistenza della memoria. Successivamente l’opera fu acquistata al prezzo di 350 dollari dal Museum of Modern Art, dove è tuttora esposta. Pare che sia stata realizzata in sole due ore, nel 1931: venne suggerita all’artista dall’eccessiva morbidezza del formaggio che stava mangiando. Si tratta di un’opera surrealista che raffigura un paesaggio costiero della costa Brava, nei pressi di Port Lligat, illuminato da un cielo con delle sfumature gialle e celesti, in cui sono presenti alcuni orologi dalla consistenza morbida, simboli dell’elasticità del tempo. L’ambientazione è surreale, fuori dal tempo e dallo spazio.
Il paesaggio dipinto è privo di qualsiasi vegetazione ma popolato da strani oggetti: un parallelepipedo su cui cresce un ulivo privo di foglie, un occhio dormiente dalle lunghe ciglia, una costa rocciosa sul mare. L’attenzione dell’osservatore, tuttavia, è catturata dai tre orologi molli, veri protagonisti della scena. Sciogliendosi, questi assumono la foggia dei loro sostegni: il primo, rappresentato in primo piano, ha su di esso una mosca e sembra scivolare, il secondo è sospeso sull’unico ramo dell’albero secco e il terzo è avvolto sulla strana figura che si trova distesa al suolo. Un quarto orologio, l’unico ad essere rimasto allo stato solido, è collocato sempre sul parallelepipedo ed è ricoperto di formiche nere brulicanti; l’artista catalano ha da sempre nutrito una fobia verso questi insetti, sin da quando ancora bambino li vide divorare un coleottero. La rappresentazione del quadro infatti proviene dall’inconscio e dallo stato di sogno, rappresentato dalla creatura quasi embrionale distesa a terra che potrebbe essere la rappresentazione dell’artista stesso. Sensibile all’influenza di Sigmund Freud, Dalì riflette sulla relatività del tempo, il cui scorrere è scandito dal moto cadenzato degli orologi, come si se trattasse di una misura oggettiva da poter quantificare e misurare, non tenendo conto invece della relatività del tempo e della sua caratteristica di essere soggettivo. Ecco che gli orologi diventano simbolo della plasticità del tempo, anche perché regolati dai meccanismi dell’inconscio e dalle percezioni di ciascuno. Di certo è uno dei dipinti più famosi di Dalì, in cui l’invenzione degli «orologi molli» diviene un’intuizione molto suggestiva, che fa riflettere sulla dilatazione o contrazione del senso del tempo dipendente dalla singola individualità.
Deborah Mega
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