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“L’adatto vocabolario di ogni specie” di Alessandro Silva, opera edita da Pietre Vive nella collana iCentoLillo, è una raccolta poetica che annota, sotto forma di narrazione cronachistica, la tragedia proletaria di innumerevoli operai-tipo dell’Ilva di Taranto, un esempio dunque di poesia civile che ha ottenuto meritatamente diversi riconoscimenti: vincitrice nell’edizione 2015 del concorso Luce a sud-est, è risultata anche finalista al Premio Elio Pagliarani 2017 e segnalata al Premio Anna Osti 2018.

In epigrafe sono riportate due citazioni: una è tratta da Il lavoro di Jacques Werup, l’altra da Portarsi avanti con gli addii di Francesco Tomada, in cui si affronta con rassegnazione e apparente leggerezza il tema del lavoro, presagio di morte e del lutto da superare in mezz’ora. Nel primo testo sono individuate le coordinate geografiche oggetto della trattazione: mar Ionio, Taranto. Nella silloge, brani in prosa, frammenti di cronaca e di interviste, si alternano a poesie di forte impatto emozionale e alle illustrazioni di Giovanni Munari, talmente realistiche e descrittive da generare un oppressivo senso di claustrofobia. Non a caso luce, aria, fatalità del destino, morti accidentali, sono espressioni che ricorrono in tutto il dipanarsi della narrazione. La famigerata Ilva di Taranto, uno dei maggiori complessi siderurgici in Europa fondato nel 1960, diventa rappresentazione simbolica della fabbrica, strumento di oppressione dei tempi moderni. Il complesso industriale di lavorazione dell’acciaio divenuta Italsider e poi di nuovo Ilva, da sempre è stata oggetto di processi penali per il suo impatto ambientale e per la scarsa tutela degli operai in relazione agli infortuni sul lavoro e non solo. La quantità di diossina emessa nell’ambiente circostante ha reso non pascolabili i terreni entro un raggio di 20 km; gli effetti dannosissimi delle emissioni inquinanti sono ormai sotto gli occhi di tutti per i numerosissimi casi di tumori, leucemie, patologie della tiroide e malattie cardiovascolari. Eppure c’è chi continua a negare il nesso tra ricorrenza e aumento del numero delle patologie e il polo industriale; perfino quando si è svolto il referendum consultivo tra gli stessi tarantini, che proponeva la chiusura dell’acciaieria, non si è raggiunto il quorum. Purtroppo l’Ilva è ancora oggi una delle poche realtà a fornire lavoro, uno stipendio accettabile che spinge perfino a farsi raccomandare pur di essere assunti. Dal 2012 al 2014 sono stati approvati sei decreti salva Ilva, convertiti in legge, che hanno continuato a tutelare l’azienda più che l’ambiente, il suolo e le acque sotterranee. L’adatto vocabolario di ogni specie, di cui parla Silva, riguarda tutti: operai, ex operai, abitanti dei quartieri limitrofi, donne, bambini, animali, vegetali, prodotti agricoli, persino mitili. Le polveri d’amianto, presto o tardi, raggiungono tutti.

Il lessico è specialistico e attento alla quotidianità del dettaglio, non mancano però espressioni di puro lirismo, mai ostentato, quasi una conseguenza del nostro voler essere e restare umani. La raccolta è composta da un prologo, da quattro atti e da un epilogo. Ad essere rappresentato è il dramma umano e il disastro ambientale, distopico, crudele, nero, come alcune pagine all’interno della raccolta, le immagini che rappresentano il fumo delle ciminiere e la morte che imperversa ogni giorno sul quartiere Tamburi.

La prima sezione descrive la vita di un operaio tipo, l’atmosfera, sentimenti e sensazioni di chi raggiunge ogni giorno il complesso, vi lavora e ritorna verso casa, stanco e intossicato, si narra come “si sta dentro la città che muore, nel viaggio verso casa” mentre “il cielo continua a stridere sulla pelle e tutto è un’asimmetria di dolore”.
La seconda sezione reca il titolo del libro, è la sezione centrale in cui si fa riferimento anche alla sterilità delle donne raggiunte dal nero tossico: «  Una scintilla/ spenta di estrogeni nelle cellule/ che baciano l’ovulo e lo portano/ dolci a maturazione è la causa/ del vostro esser sterili». Nella terza e quarta sezione è tangibile un diffuso sentimento di rabbia e frustrazione, il conseguente desiderio di giustizia con qualche sprazzo riflessivo e nostalgico. Epilogo conclude la raccolta con due testi che denunciano gli effetti dell’inquinamento, il dramma sanitario ormai uscito allo scoperto. Nonostante ciò Taranto, La Bella Avvelenata, continua a subire gli errori dei padri che non arrivano “a seppellire i genitori ma i propri figli”, del resto “la malattia è solo una sera di solitudine smarrita/nella memoria. Lui vorrebbe morire lavorando”. Silva realizza un’opera densa di eventi e di immagini, pregevole e degna di attenzione; anche se non abitiamo nei pressi del rione Tamburi,  il problema riguarda tutti: Taranto siamo noi e i nostri figli.

Deborah Mega

*

LUCE DENTRO LA TERRA

Non si vedono case ma una colonna

alzata per trentacinque metri di cielo,

quel tanto che basta a oscurare

il sole. Una torre medioevale

di argento e pietra, per i più ilari

bicchiere rovesciato sul sostegno

di una tazza, un tino posato sopra

una sacca. C’è un silenzio di bocca

sulla cima che s’apre a una gola

di lamiere. Maleodora. Sa di

sfacelo e bestemmie a tenere

la bocca di un uomo scucita per aria.

Da impuri bagliori ci si lascia

bruciare, svogliati [urto di luce

conficcato in un recesso di Terra].

 

La barba

va tenuta accorciata per non farne

polvere di nero, d’odore nel piatto

sudore d’ombra.

*

QUALCUNO CHE CADE

otto/giugno/duemilaequindici

Nel pomeriggio è accaduto

all’altoforno Due, l’incidente.

Ci sono state, dopo, ventiquattro

ore di mani alte [mani di ferro

calloso e nodi di dita nerastre].

 

Una babele di passi scesa in battaglia

tra rottami e mantici di aria che ustiona.

Occhi rauchi e cicatrici aperte di labbra.

 

C’era un morto e nessun messia

per motivi di sicurezza. Quaggiù

è la terra in fondo un sudicio

ossario e, del nostro tocco o sguardo

poco importa a qualcuno.

*

L’ADATTO VOCABOLARIO DI OGNI SPECIE

Dal turno di notte si esce malconci

e molli di ossa strette da un’ombra.

 

Scomparse le donne per strada, quelle

con lo strano linguaggio del corpo che

balla sui tacchi e tra i denti si cerca

un sorriso per chi ha voglia di pelle

con forza.

 

Di uomini meno ma chi li compra

non merita lo sdegno stupito degli altri:

è un’esigenza diversa di latte

[annusata ricerca di confronto

fondo come negli alberi stanno

 

avvolti gli anelli].

Un gatto di strada mangia meno

di un gatto ammaestrato alla casa

ma lotta uguale per avere meno

pulci nel pelo.

 

Al semaforo rosso il mattino

ingiallisce in un luogo marcio

di arance e molli fauci di lattuga

nel sacchetto a terra squarciato.

 

Per poco si ha, nel saluto

la voce di roccia della fornace.

*

MESOTELIOMA PLEURICO II

So come muoiono le farfalle
come un uomo disteso di schiena su un prato
[…]
allargano le ali sopra l’erba
per allontanare la fatica
e pensano per sempre di volare.

Francesco Tomada, So come muoiono le farfalle

L’epidermide si scuce dal derma
[dal motore oscuro di nervi]
a manciate si giocano i capelli
mossi e toccati da polvere e unghie.

Torni magro e piccino, bocca secca
nell’acqua di un bicchiere, denti
di farina. Cadono farfalle quando
la morte soffre l’insonnia e dice

a chiunque si svegli che la vita
sarà voce di malanno, d’ora innanzi.
A dare sangue da conficcare
nella pelle mutevole di un angelo.

*

IMMOBILE, SOTTO

Sono le dodici e cinquanta in città.

Nella tristezza del mare l’acqua

crepa [in cristallini tremori]

la pupilla del sole di agosto.

 

Condizioni costanti di deboli

venti germogliano sulle nubi

in arborescenze di polveri,

benzene e vapori d’acciaio.

 

Per la salubrità dell’aria e la folta

macchia di ulivi e pini, si diceva,

il quartiere viveva prima sotto

un’ebrezza di cielo chiaro.

 

Le finestre che guardano al mare

aprono buchi dove l’aria scavata

riposa. La città ora cade e giace

sotto un belato di cielo nero

che consuma memorie di sangue.

 

Alessandro Silva, L’adatto vocabolario di ogni specie, Edizioni Pietre Vive Collana iCentoLillo, 2016

illustrazione di Giovanni Munari