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Con cuore puro

Non ho padre, né madre,

né dio, né patria,

né culla, né sepolcro,

né amante né baci.

Da tre giorni non mangio,

né molto, né poco.

Vent’anni la mia forza,

i miei vent’anni li vendo.

Se nessuno li vuole,

allora che il diavolo se li porti.

Con cuore puro rubo,

se occorre ucciderò.

Che mi catturino e impicchino,

mi ricoprano di terra benedetta

un’erba mortale cresca

sul mio bellissimo cuore.

 

Attila Jozsef

Attila József è l’autore di questa poesia, scritta quando si accingeva alla carriera di insegnante. Con questa poesia egli si giocò la possibilità di insegnare, essa segna perciò le stimmate di poeta sui palmi di Attila, piega il suo destino.

Grande il fascino percussivo nella raffica di negazioni che s’inalbera nella prima strofa. Come vessilli di verità, sconforto, disillusione e sofferenza. La seconda strofa della poesia sembra adombrare lo spettro della fame, e sebbene vent’ anni abbiano in sé forza e potenza, se nessuno vuole dare ad essi storia e collocazione, soddisfazioni o vittoria, si buttano via in pasto al diavolo. Un cuore puro è disposto a sacrificare l’uomo, a perdersi nella riprovazione sociale, rubando o uccidendo se occorre. La poesia che inneggia al cuore puro, anticipa la sorte del poeta, la sua fine, eppure non rinuncia il cuore alla sua bellezza: l’erba del finale raccoglie simbolicamente il verde della speranza che questa bellezza non muoia chiusa nella tomba, ma prosegua diffondendosi sulla bocca degli uomini. Questo è ciò che è avvenuto per Attila Jozsef, che a dispetto delle umili origini, e della sua breve vita è riuscito nel breve tempo della sua esistenza a scrivere poesie di un denso lirismo, vitale e profondo, che gli hanno conquistato  l’amore del popolo ungherese.

Attila Jozsef nacque a Budapest nel 1905. Non ebbe un’infanzia felice, il padre, operaio in un saponificio, abbandonò la famiglia quando Attila aveva appena tre anni. La madre, contadina, rimasta sola, per mantenere i figli, si accollerà il duro lavoro di lavandaia. Ciononostante il piccolo Attila le venne tolto e, insieme alla sorella Elteka, affidato ad una famiglia di contadini del villaggio di  Öcsöd che divennero genitori adottivi. L’infanzia di Attila di certo non fu all’insegna del gioco, spensieratezza e affetto, la sua occupazione in campagna era  curare i maiali. I genitori adottivi non accettavano nemmeno il suo nome, preferendo chiamarlo Pista, diminutivo di Istvan. A questo tentativo di “repressione” identitaria, Attila farà risalire, anni dopo, la sua passione per la letteratura, avendo scoperto allora le gesta di Attila, re degli Unni, si rese conto che la letteratura permetteva una possibilità di esprimere idee alternative a quelle imposte da altri e la riaffermazione della propria individualità.

Dalla sistemazione ad Öcsöd  Attila fuggì per tornare dalla madre, della quale rimase orfano ad appena quattordici anni. Per la madre Attila nutrì sempre grande affetto, manifestato anche in commoventi poesie a lei dedicate nelle quali intreccia vissuto personale e anelito alla catarsi sociale, aspetti presenti in tutta la sua produzione.

A questo punto della sua vita per interessamento di Ödön Makai, marito della sorella maggiore, ricco avvocato e tutore di Attila, egli poté studiare. Era uno studente inquieto, discontinuo, ma brillante, otteneva risultati con poco studio, necessitando di poco tempo per apprendere. Il suo disagio tuttavia lo perseguitava manifestandosi in tentativi di suicidio e nella diagnosi  di una forma di schizofrenia.

A vent’anni scrisse la poesia “Con cuore puro” (Tiszta szívvel) nella quale dà voce potente alla sua profonda disillusione in tutte le istituzioni e consolazioni del mondo. La sua poesia tuttavia ben lontana dall’ essere frutto di una posa da poeta maledetto era invece espressione di accusa sociale, di sentimento di abbandono, di esperienza esistenziale di autentica sofferenza, aggravata dalla povertà, da un’ infanzia infelice e da un’acuta sensibilità.  Proprio per la poesia qui proposta egli ricevette il durissimo giudizio del professore di linguistica ungherese, Antonio Horger, dell’Università di Seghedino alla quale Attila era iscritto. Horger ebbe ad affermare che finché fosse stato vivo  non avrebbe mai permesso a Jozsef di diventare insegnante, non potendo consentire che l’educazione delle giovani generazioni fosse affidata ad individui che scrivevano poesie del genere. Si riferiva appunto alla poesia “Con cuore puro” pubblicata sul giornale Szeged. Attila deluso abbandonò l’Università e il proposito di diventare insegnante e si trasferì a Vienna dove cercò di mantenersi facendo vari mestieri: vendendo giornali, facendo pulizie, come precettore ed infine come corrispondente franco-ungherese all’Istituto del Commercio Estero, senza abbandonare l’attività letteraria, dalla quale riceveva anche saltuari compensi. Subentrò tuttavia uno stato di disagio psico-fisico che lo costrinse a lasciare l’impiego di corripondente.

Sul fronte politico Attila da giovane aveva aderito al partito comunista clandestino con fede ed entusiasmo, che tuttavia non impedirono al partito, anni dopo, di  espellerlo per deviazionismo. Probabilmente Jozsef era voce troppo autentica e fuori dal coro per un partito che in quegli anni era ligio alle indicazioni di allineamento staliniane. Questa estromissione fu per il poeta un colpo ulteriore. Egli tuttavia non cessò di esprimere nelle sue liriche le istanze di giustizia, lo spirito rivoluzionario, l’anelito al riscatto sociale, descrivendo il grigio delle periferie, delle fabbriche, l’alienazione del lavoro umile, manifestando la protesta contro l’ ipocrisia del mondo borghese, a favore di poveri, emarginati, operai, della loro degradata condizione, perché essi non ricevono dal mondo la loro parte di felicità, ma solo il salario. Attento anche alla bellezza di paesaggi, cielo, natura e considerando l’arte, unico vero rifugio dalla disperazione, fu sensibile agli influssi dell’espressionismo, del surrealismo, del simbolismo. La sua poesia è ricca di metafore e similitudini, ma esprime principalmente la solidarietà con gli ultimi, col loro dolore esistenziale, specchio del proprio, e uno spirito di contestazione per una società che ha elevato il denaro a priorità, rendendo gravemente inumano vivere per tutti di coloro che non accedono al benessere economico.

Non trovò consolazione nei rari rapporti sentimentali, tutti con esiti fallimentari.

Morì ad appena 32 anni investito da un treno mentre si trovava sui binari della stazione di stazione di Balatonszárszó. L’ipotesi più accreditata è quella del suicidio confortata dai suoi precedenti tentativi, dalle recenti delusioni sentimentali, ma non è escluso l’incidente. Coloro che respingono la tesi del suicidio evidenziano come Jozsef in fondo non è mai stato un vinto, pur nell’indigenza e nell’infelicità non ha mai cessato di lottare, come testimoniano i suoi versi, sempre pervasi da un fuoco ribelle, da un’energia rivoluzionaria che non si arrende. Probabilmente fu qualcosa di molto simile al lasciarsi andare trovandosi, non volendolo inizialmente, in una condizione di pericolo, come potrebbe essere una scelta di accettazione della fine, perseguita successivamente a una caduta accidentale o perché senza scampo.

E’ paradossale che proprio la poesia Con cuore puro che segnò fortemente in negativo la sua esistenza sia stata giudicata dai critici “emblema della nuova poesia”.

Come significativo è anche il più recente episodio avvenuto nel luglio del 2013, quando il governo autoritario di Orban, decise di rimuovere la statua di Attila Jozsef da una piazza centrale di Budapest. Sono accorsi in migliaia nella piazza per impedire la rimozione, testimoniando l’ammirazione per lo scrittore, icona di ideali e giustizia. Si realizza quindi ciò che è stato scritto da Jozsef nella poesia “Per il mio compleanno” nell’anno della morte, riferendosi con ironia al suo desiderio stroncato d’essere insegnante.

“Io non una scolaresca
ma il mio popolo intero
formerò”

La mortificazione del suo desiderio di diventare insegnante è stata riscattata dall’ essere diventato ciò che egli aveva intuito in vita: simbolo e ispiratore dell’intero suo popolo.