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In un mondo digitale come il nostro ricevere una lettera cartacea è ormai una forma d’espressione d’altri tempi, un evento più unico che raro. La telematica e la capillarità della rete telefonica che consentono la trasmissione a distanza delle informazioni in tempo reale hanno reso immediata e veloce la comunicazione interpersonale. Sono lontani i tempi in cui, quando si scriveva una lettera, occorreva avere la pazienza di aspettare che arrivasse a destinazione e che giungesse la risposta. Eppure quell’attesa amplificava le emozioni, lasciava presagire la risposta, fortificava e rinvigoriva i sentimenti. Amore, affetto, amicizia, gioia, dolore, risentimento, dispiacere, follia sono i sentimenti veicolati dalle lettere, capaci di scuotere l’animo di chi scrive e di chi legge. La lettura di Epistole d’autore fornisce un ritratto insolito e inedito, per frammenti e dettagli, di uomini e donne celebri, svela segreti, rende più umani e veri i grandi del passato.

Albert Einstein a  Mileva Marić

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Mileva Marić  era una fisica serba che, durante i suoi studi al prestigioso Politecnico federale di Zurigo  incontrò l’uomo che sarebbe diventato suo marito: Albert Einstein. I due condividevano una forte passione per la fisica. Nelle cinquantaquattro lettere d’amore  scritte tra il 1897 e il 1903, edite da Bollati Boringhieri, emerge come tra i due ci fosse una grande intesa intellettuale. “Quando ho letto Helmholtz per la prima volta, mi è sembrato così strano che tu non fossi qui accanto a me oggi, e la situazione non migliora. Trovo che il nostro lavoro sia molto benfatto, insieme è più semplice,” diceva Albert in una lettera a Mileva del 1899. Dalle lettere emergono gli interessi scientifici, i conflitti con gli altri colleghi, le costanti preoccupazioni per la ricerca di un posto di lavoro. Mileva era una scienziata brillante portata per il lavoro sperimentale in laboratorio e il suo apporto alle ricerche del marito fu decisivo. Purtroppo i lavori che presentavano, frutto delle ricerche di entrambi, erano firmati solamente da Albert, forse perché Mileva voleva aiutare Einstein a farsi un nome all’interno della comunità scientifica così da trovare un lavoro  oppure perché, come ancora avveniva a quei tempi, una scoperta effettuata da un uomo veniva presa maggiormente in considerazione. Nonostante la grande affinità, la loro relazione fu sempre osteggiata dalla madre di Einstein, perché Mileva non era né ebrea né tedesca e perché era troppo “intellettuale” per i suoi gusti.  Mileva contribuì alla ricerca che portò alla formulazione della teoria della relatività. Lo dice Albert stesso in una lettera del 1901, scrivendo: “Quanto sarò orgoglioso e felice quando insieme avremo portato a una conclusione vittoriosa il nostro lavoro sul moto relativo!”. Alcuni studiosi hanno interpretato l’uso del pronome plurale come un segno di trasporto affettuoso. C’è in particolare una lettera datata 27 marzo 1901 scritta da Einstein a Mileva che include la frase “portando il nostro lavoro sul moto relativo a una felice conclusione”. L’aggettivo “nostro” fa pensare a un lavoro condotto in collaborazione. Mileva e Albert ebbero una prima figlia che fu affidata ad una nutrice e di cui non si seppe più nulla. Mileva intanto provò a rientrare all’università per continuare con le sue ricerche e laurearsi ma non ci riuscì. Nel 1903, lei e Albert riuscirono finalmente a sposarsi e si trasferirono in via Kramgrasse 49 a Berna, dove ancora oggi si trova, l’edificio dove la giovane coppia ha vissuto e che di recente è stato trasformato in un museo che porta il suo nome, Einsteinhaus. In quegli anni Albert era un impiegato statale che doveva recarsi al lavoro tutti i giorni, il tempo che poteva dedicare alla scienza era ridotto; per questo motivo si ipotizza che fosse sua moglie Mileva ad occuparsi delle ricerche che lui non aveva il tempo di fare. Il 14 maggio 1904 la donna diede alla luce il secondo figlio, Hans Albert Einstein mentre il terzo, Eduard Einstein nacque il 28 luglio 1910. In quello stesso anno Albert Einstein divenne docente di fisica dell’Università Karolina di Praga. Mileva contribuì anche alla costruzione di un voltmetro ultrasensibile ma anche questa volta scelse di non includere il suo nome tra i firmatari della ricerca. Il matrimonio tra Albert e Mileva si concluse con un divorzio, formalizzato nel 1919, cinque anni dopo che lei lo lasciò a Berlino e se ne andò insieme ai figli. Nel frattempo Albert aveva avuto diverse relazioni, tra cui una con la cugina Elsa Löwenthal,che sposò in seconde nozze ed era diventato uno degli scienziati più acclamati, di lì a poco avrebbe infatti vinto il Nobel. La pratica di divorzio durò molto tempo per i problemi di salute di Mileva Marić, ma anche per il fatto che le due parti non si accordavano sui termini della separazione. Venne stabilita anche la sorte del denaro di un eventuale premio. Stando agli accordi, se ad Albert Einstein fosse stato conferito il Premio Nobel per la fisica, il denaro sarebbe diventato proprietà di Mileva Marić e dei suoi figli. Nel 1921 l’Accademia Svedese delle Scienze conferì ad Albert Einstein il Premio Nobel per la Fisica. Nonostante il sostegno economico dello scienziato, gli ultimi anni di Mileva Marić furono un susseguirsi di lutti, preoccupazioni per la salute del figlio Eduard, sofferente di schizofrenia, problemi burocratici e finanziari, problemi di salute acuitisi soprattutto negli ultimi anni della sua vita. Mileva Marić-Einstein fu colpita da ictus e fu dichiarata incapace di intendere e di volere. Morì il 4 agosto 1948 a Zurigo, all’età di 73 anni.