Tag

,

Piet Mondrian, Composition with large red plane, yellow, black, grey and blue (1921)

 

La poesia è anche incontro, una geometria di rette a volte parallele, altre volte perpendicolari. Similmente al quadro di Mondrian un reticolato vivo e riccamente colorato. Nell’ambito della rubrica Versi Trasversali, presentiamo la poesia di …

SERGIO ORICCI

1.

Passo ogni giorno dalla stazione centrale, che sembra ogni giorno sempre uguale; c’è un ragazzo che inizia a bere di mattina, e canta manele – perché siamo in Romania – fino a quando ha energia. Ha i capelli tirati indietro con un sacco di gel, è sempre a torso nudo se le temperature sono sopra lo zero; tutti i giorni gli stessi jeans. Qualche volta canta e balla davanti a un orso; è un peluche seduto su una sedia, che guarda la strada come fanno gli altri, alla fermata. Ieri l’orso teneva stretta una rosa, ma poteva anche essere qualunque altra cosa.

3.

Mi piacciono i semafori quasi quanto gli spazi vuoti. Attraversare la strada per incrociare gli altri pedoni. Li guardo negli occhi e vorrei che facessero lo stesso, anche quando mi accorgo che li sto infastidendo. Quando mi passa accanto qualcuno che mi piace, a volte chiudo gli occhi per sentirne l’odore. Altre li tengo aperti, per godermi fino in fondo la scena. Le cose che preferisco: capelli lunghi che ondeggiano e profumo di sapone, e gli handicappati a braccetto con un genitore.

12.

Cosa c’è di più bello di un quadro di Botero? Fiori di plastica dai colori artificiali, un film di Harmony Korine, un romanzo di Stephen King, il programma televisivo Ambiental in cui viene trasmessa ventiquattro ore al giorno l’immagine di un caminetto acceso. Una partita di tennis di Roger Federer, REZ di Tetsuya Mizuguchi, Shenmue di Yu Suzuki. Una stanza degli specchi, le case degli orrori, luci stroboscopiche, un club di Berlino, pesci di vetro da appoggiare su centrini su televisori CRT. Interferenze, il magnetismo, un paio di scarpe bianche con la suola fluo; le bottiglie Morandi, le strobosfere, gli Exogini. Andare al mare, non lavorare, la meditazione, gli oggetti senza una funzione. Fontana di Trevi, Fontana, la plastilina, gli orsetti gommosi, la formaldeide, la realtà virtuale, la luna, i laghi artificiali, le liste della spesa, Yves Klein e il suo cocktail blu. Tutto quello che non c’è in questa lista, tu.

36.

 L’arte contemporanea non richiede concentrazione. Basta guardarla senza chiedersi niente e fa succedere un sacco di cose. Un’università della California ha pubblicato i risultati di uno studio: in media a una mostra di arte contemporanea il pubblico passa 90 secondi a guardare un’opera e 180 a leggere la didascalia. Quando la didascalia non c’è, si impiegano 220 secondi a cercarne una, e il tempo davanti all’opera si riduce ancora.

45.

Ho questa immagine di mio padre che mastica a fatica una fetta di carne. Non era ancora vegetariano, ma di quello come di altre cose c’erano già state alcune avvisaglie. La prima volta che disse cose per me senza senso, mia madre mi fece sapere che era già successo, che c’erano stati dei precedenti. Sento la tensione che si scioglie in frammenti; del suo pensiero che saltava tra bombe atomiche e libri di storia. Tra Bordiga, la Sibilla Cumana e la questione sociopolitica. Io avevo otto anni e non capivo, tornavo da scuola e sentivo la sua voce e quella di mia madre. Restavo sulla porta di casa, tra disegni di meccanica, un dialetto che non funzionava, qualche volta una risata arrossata.

54.

A nove anni un’automobile mi ha investito: frattura di tibia e perone, porto ancora le cicatrici. Ricordo la scarpa destra tagliata con le forbici dai paramedici. Era una Reebok Pump, di quelle che si stringevano premendo la linguetta: non ricordo che fine ha fatto, ma il piede era così gonfio che la scarpa mi stava stretta. Tutto sommato non è stato un brutto periodo; a parte il fatto che mia madre, qualche settimana dopo l’incidente, regalò a mio padre un cappotto verde. Mio padre era convinto che fosse il cappotto dell’uomo che mi aveva investito; io non capivo come potesse pensarlo. Solo mesi più tardi, dopo aver saputo che era malato (schizofrenia paranoide la diagnosi – c’erano stati dei precedenti) sono riuscito a comprenderlo.

61.

Da adolescente le mie giornate erano tutte uguali. Uscire, bere, fumare e tingersi i capelli di un nuovo colore. Poi l’adolescenza è finita e dai centri sociali mi sono spostato sul divano a invecchiare. Dormire di giorno e di notte, le mie due vite. Avevo la pelle grigia e occhiaie che non sono più sparite. Uscirne è stato difficile; a volte mi sembra che il sonno sia ancora lì come una cicatrice.

97.

Il mio cane ha tutti i sintomi dell’ansia. Mi chiedo se sia stato io a passargliela. Da quando sono piccolo ci sono tante cose che non sopporto. Avevo quattordici anni la prima volta che me ne sono accorto, e dopo i venticinque la situazione è esplosa, è andata fuori controllo. Non ero più neanche in grado di restare sveglio. Ho provato a spostare i mobili e a cambiare il materasso per sentirmi meglio, poi ho iniziato a correre per non pensare a quanto fossi rotto. Non so esattamente come, ma la situazione si è lentamente messa a posto. Nel senso che mi sono normalizzato, ho smesso di essere disoccupato, mi sono anche sposato. Tutte cose orribili, certo, ma chiunque direbbe che sto meglio. Io dico che sono diverso, e che qualcosa nel viaggio è andato perso.

100.

Guardo le vite degli altri dall’esterno, penso a come mi sentirei se ci finissi dentro.

 

Testi di Sergio Oricci, Pesci di vetro, Gattomerlino, 2020.