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Nota dell’Editore
Paolino. L’arte, la bellezza, la vita raccoglie cinque testi di Paolo Isotta. Il primo, «Musica sacra e Bellezza», inedito, è l’intervento scritto in occasione del convegno «L’Arte e il magistero della Chiesa» organizzato nel 2008 dalla casa editrice Settecolori. Il secondo, «La musica, il tempo, il mito», è l’introduzione al libro Wagner Nietzsche e il mito sovrumanista, di Giorgio Locchi, pubblicato nel 1982 da Akropolis-LEDE. Il terzo e il quarto, usciti nel 1980 sul quindicinale «Linea», si iscrivono nella linea degli «apocrifi d’autore» alla maniera di Paolo Vita-Finzi, diplomatico e scrittore da Isotta molto amato. Nella fattispecie, si tratta del «calco» parodico-stilistico della prosa di Leo Valiani e di Giovanni Testori a confronto con un celebre caso ideologico-mondano-giudiziario dell’epoca: l’uccisione della moglie da parte del filosofo francese Louis Althusser. L’ultimo, «Manuale di decomposizione», fa parte del volume C’eravamo tanto a(r)mati uscito ancora per Settecolori nel 1984 e poi riedito nel 1998. Nel riunirli all’indomani della scomparsa del loro autore, l’intento è quello di un omaggio e di un ricordo per un amico e un maestro.
L’Editore
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In occasione del trigesimo di Paolo Isotta, le Edizioni Settecolori di Milano pubblicano il 12 marzo 2021 in edizione limitata di trecento esemplari cinque testi del grande critico musicale, storico della musica, musicista, letterato incandescente. Sono riuniti nel libro Paolino. L’arte, la bellezza, la vita che a me giunge con inciso il numero di tiratura 137: ricevuto in omaggio per quella gentilezza, quel garbo innato e accudito del modus in rebus che alcune personalità ancora manifestano, il libro attesta nell’Avvertenza che lo studioso di musica dalla luminosa ustione letteraria appassionato di Lucrezio, Virgilio, Livio, Tacito – in particolare – scrive a Napoli, settembre duemilanove, al saggio Musica sacra e Bellezza «che definire che cosa Bellezza sia non sa». È il primo dei cinque testi da capogiro per l’autorevolezza, la raffinata genialità di musicologo in cui convivono e declinano saperi che nel lebes della musica trovano esaltazione combustione brillantezza incidendo il pensiero di Isotta del connotato irreversibile di eccellenza, cultura sterminata e originalissima, sostenuto da una particolare vis poetica e polemica che discende da appassionata, oserei dire, vita simbiotica con la musica classica e lirica, da un non comune amore per la letteratura classica, un’acuta intelligenza olistica che consente, in una prosa straordinaria, inusuale, coltissima, l’elogio ardente, la stroncatura implacabile.
Adriana Gloria Marigo
Da Musica sacra e Bellezza
«Nessuna arte nasce sotto il sigillo dell’estetica: vale a dire di quella mescolanza di scienza e intuizione, a lor volta composte di analitica, esegetica, ermeneutica, la quale determina il suo destino. Se codesto destino sia poi un Wesen ovvero un Sein non sarà il modesto estensore della presente noterella a poter indicare. Meno di tutte nasce more aesthetico la musica. Si può affermare che, indistinta dal mero rumore, essa fosse manifestazione, ma ben meglio espressione, dell’Ur-schrei, L’urlo originario. (…) Il tema dell’originaria unità di canto e linguaggio ci aiuta a ben comprendere la comune funzione. Altro che ricreazione per l’uno e comunicazione per l’altro: hanno ambedue o tutt’uno una valenza magica che, in epoca ancor positivista, venne energicamente affermata dal Combarieu, autore de La musica e la magia e poi, nel secondo dopoguerra, negli insuperati scritti di Marius Schneider, etnologo e musicologo di qualità eccelsa. La etimologia di tanti vocaboli indoeuropei mostra subito ciò che qui si afferma: cantus viaggia col suo inquietante incantus (…) Il primo esempio, nel mondo indoeuropeo, che la musica possa essere veicolo di piacere indotto nell’ascoltante, (…) è nell’episodio omerico ove Odisseo si fa legare all’albero della nave pur di poter udire, incolume, il dolcissimo canto delle Sirene. Dolcissimo: ma fatato e portatore di morte a chi, proprio da tale dolcezza avvinto, alle mostruose creature si avvicini. L’episodio non può così esser letto in senso estetico, sibbene, ancora una volta, magico. (…) Ma se veniamo al significato primo di musica sacra, ecco che ci troviamo ancora una volta nell’impossibilità di distinguere la musica dalla magia. Il mondo romano non ne è toccato, giacché il sacerdozio era una carica civile, eccettuata l’eccezione del Collegio delle Vestali. (…) Al sacrificio umano ( che a Roma ancora nel V secolo a. C. in circostanze particolari praticavasi) o animale si sostituiva il sacrificio musicale, cioè il canto. (…)
Ma siamo nella parte più alta e splendente che la civiltà e il mondo classico abbiano toccata; per noi cultori della musica giunge il grande buio. Noi, fuor d’una dottrina musicale raffinatissima atta a concepire il calcolo degl’intervalli e i reciproci rapporti, nulla sappiamo. La poesia era unione di musica e poesia, ma per noi risonerà sempre parola ritmica, più traditrice forse della parola nuda. La poesia tragica era cantata: insieme sacrificio religioso e spettacolo popolare, dove puoi invenire ancora di quell’arcaica catarsi che produceva effetti reali, fisici ed etici, nel Ditirambo ove gli antichi scrittori vedevano l’origine bacchica della manifestazione tragica. (…)
E la musica profana? Nugae baliverniae, secondo i dottori del canto gregoriano: proprio perché rozze danze e canzoni popolari in ritmo ternario o binario con suddivisione ternaria producevano un piacere sensuale rivolto agli ascoltatori e agli esecutori stessi ch’era il contrario del tipo di bellezza che dalla musica si voleva. Eppure l’evoluzione di questi pezzi, il loro esser portatori già ab antiquo di aspetti tipici del linguaggio musicale tonale, proprio della musica moderna, fecero sì che, con un determinato fondersi di linguaggio popolare e tradizione gregoriana, nella polifonia della fine del quattrocento la musica moderna nascesse. (…)»
Da Basta con le connivenze
«La mano omicida dell’eversione ha colpito ancora, il “filosofo” francese Louis Althusser ha strangolato la propria consorte, Hélène Rhitmann. Ma filosofo non è chi fa propaganda di un’ideologia antiumanitaria e assassina.
L’Althusser usurpa questo nobile appellativo. Sentiamo che nelle lezioni tenute di fronte a un gruppetto di fanatici egli facesse l’apologia della violenza. Egli dichiarava che gli uomini non sono tutti uguali. Egli si richiamava a esperienze che la storia ha definitivamente bollato con infamia. Sappiamo che egli commentava i testi di Federico Nietzsche.
Questo scrittore ha fomentato i più tristi episodi della nostra storia recente e meno recente. A lui fanno riferimento i fascisti e i golpisti italiani che attentano al nostro ordinamento democratico.(…) Althusser non è dunque un filosofo. È un delirante predicatore di violenza. Un Paese, nato, come il nostro, dalla lotta popolare e antifascista, gli consentiva di divulgare tali prediche. Di più, gli concedeva una prestigiosa cattedra e addirittura un appartamento al Collège de France, in cui egli ha potuto mettere in pratica le sue idee delittuose nel modo efferato che sappiamo. (…)
La sventurata consorte di Althusser, rea solo di essersi accostata a un così tristo personaggio, era ebrea. (…) Sin da quando si sposò con la povera Hélène Rhytmann, Althusser la costrinse a cambiare cognome per celare la sua vera identità razziale. Ma evidentemente questo non gli era bastato. Non pago di averla costretta a novella clandestinità, egli ha voluto sopprimere nella persona della consorte un intero popolo verso cui la sua mente delirante porta un odio che ha radici precise e inequivocabili. Al Rabbino di Parigi e a quello di Roma vada la nostra deferente solidarietà.»
Leo Valiani
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