
foto di Deborah Mega
Limina Mundi riprende la sua programmazione con la pubblicazione di un celebre testo di Eugenio Montale dedicato all’estate e tratto dalla raccolta Ossi di seppia. Come in Meriggiare pallido e assorto, il poeta descrive il paesaggio assolato e riarso dal sole durante il mezzogiorno, nelle ore più calde di una giornata estiva. Il verso iniziale ha l’andamento di un inno squillante. Il sole occupa la sua posizione più alta nel cielo, tanto da non permettere agli alberi di creare l’ombra. La luce acceca, rende incerti i contorni delle cose e inaridisce la terra. Il motivo dell’aridità diventa emblema di una condizione metafisica ed esistenziale, ritornando con insistenza nel resto della poesia: un secco greto, l’arsura, in giro, una reliquia di vita. Solo un martin pescatore vola sui resti di un animale e annuncia il sollievo della pioggia futura. Emerge però la fiducia nella possibilità della sopravvivenza (Il mio giorno non è dunque passato) e della speranza (della buona pioggia, che verrà dopo lo squallore). Ma la vera gioia, come già aveva affermato Leopardi nel Sabato del villaggio, non è nell’appagamento del desiderio, ma nell’attesa dell’ora più bella di là dal muretto”. In relazione al lessico Montale ricorre a parole auliche e rare, latinismi (occaso) e termini letterari, come falbe, scialbato (aggettivo usato anche da D’Annunzio) e compìta (usato da Dante). La descrizione del paesaggio fa riferimento, come sempre, alla terra ligure.
Metro: tre quartine di endecasillabi (il v. 2 è un novenario sdrucciolo, il v. 11 è un dodecasillabo) con rime ABAB, CDCD, EFEF.
Gloria del disteso mezzogiorno
quand’ombra non rendono gli alberi,
e più e più si mostrano d’attorno
per troppa luce, le parvenze, falbe.
Il sole, in alto, – e un secco greto.
Il mio giorno non è dunque passato:
l’ora piú bella è di là dal muretto
che rinchiude in un occaso scialbato.
L’arsura, in giro; un martin pescatore
volteggia s’una reliquia di vita.
La buona pioggia è di là dallo squallore,
ma in attendere è gioia più compita.
EUGENIO MONTALE, Ossi di seppia (Torino, Piero Gobetti, 1925).
Ciao, dico le rime, es. abab, le b non rimano
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Bentornate, spero abbiate passato buone vacanze. Grazie per la puntuale analisi del testo, mi lasciano perplessa le rime del v 2 e 4, 5 e 7.
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Buongiorno, Antonella! Grazie a te per la lettura. Perchè perplessa? Nel v.2 ci sono 10 sillabe metriche considerando la sinalefe che fonde le sillabe gli-al ma poichè l’ultima parola del verso è sdrucciola nella misura dei versi si sottrae una sillaba dunque diventano 9 sillabe. Il v. 4 è un endecasillabo, il v.5 pure perchè si fonde e-un per la sinalefe e infine anche il v. 7 è endecasillabo perchè si fonde la-e sempre per la sinalefe.
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