Con questa rubrica si vorrebbe dare ‘voce viva’ a testi di diverso genere e ad autori noti e meno noti che di solito vengono conosciuti tramite lettura personale e spesso silenziosa. Senza nulla togliere alla profondità dell’esperienza soggettiva di immersione nel testo, con questo tentativo si vuole porre l’accento sulla modalità dell’ascolto e della compartecipazione acustica dell’espressione letteraria, così come accade quando assistiamo ad uno spettacolo teatrale o, più semplicemente, quando dialoghiamo. La scelta di autori e testi sarà a cura della redazione, tuttavia non si esclude che potranno essere prese in considerazione proposte di lettura su iniziativa di esterni alla stessa redazione, avendo cura di inviare copia del testo proposto. Solo un’avvertenza: la voce narrante è quella di un lettore comune e non l’espressione professionale di un attore, così come l’ambiente operativo che non è uno studio di registrazione.
nell’anno novecento e ottanta e due
sul principio del mese di novembre,
gabbati i santi, e gabbati anche i morti,
tra le ore diciassette e le diciotto,
questo settimo giorno, che è domenica,
io qui presente sottoscritto, in Como,
dentro i locali della Media Foscolo,
novanta e nove di via Borgo Vico,
pubblicamente dichiaro e certifico
che per sempre rinuncio all’universo:
testimoniate per me, per un’ora,
e per un’ora, con me, vigilate:
se oggi chiudo e sbaracco e mollo e stacco,
getto la spugna e faccio il punto e a capo,
sarà perché tengo ragioni buone,
che tutte non le vengo a raccontare:
a quella cara donna, dunque, mia,
che già, nel nome, luce mi significa
e che i miei giorni, in fatto, ha illuminato,
ma che mi perdo, intanto, nel mio buio,
comunque lascio, per ricordo mio,
una cosa più lieve che la brina
più vana ancora che la ragnatela,
più niente assai che, dentro un’acqua, il buco:
dico che lascio parole d’amore:
dico quelle che scrissi e che non scrissi,
dico quelle che dissi e che non dissi,
quelle pensate e quelle non pensate,
ma che, a pensarci, però, ci pensavo:
quando avrò lingua di cenere e polvere,
con quattro corde di vermi vocali,
ci potrà fare, quella, il suo conforto:
la vita ci consuma, e come un’acqua
che si arrotonda le più quadre pietre,
così ci rode e morde e spolpa e spompa
e spoglia e sbuccia e succhia, e ci smidolla:
noi, l’uomo vivo, fa di pasta frolla:
e, come un ghiaccio, che nel caldo ammolla,
scioglie i muscoli e i nervi in trista colla,
mentre ci svena il sangue a bolla a bolla:
guardate agli occhi miei, che un velo vela,
quasi sbavata nebbia sopra un vetro:
guardate al polso mio, che forte trema,
quasi criceto o acciuga, in rete o in gabbia:
sopra la pelle mia, scriba tenace,
il tempo ha inciso, con la sua lancetta,
lungo e largo, alto e basso, in furia e in fretta,
la sua firmetta netta maledetta
qui mi è alla fine il mio inchiostro, signori,
e qui si va spegnendo la mia voce:
così la taglio, la mia tiritera,
che, in ogni caso, già si è fatta sera:
altro, per oggi, né dico né scrivo:
lascito magro avete rimediato,
ma magro è l’uomo che l’ha rilasciato:
congedo prendo, più morto che vivo.
Edoardo Sanguineti, da Novissimum Testamentum, Manni, Lecce, 1986.
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