Tag

,

 

“Verrà Ottobre” è una silloge composta prevalentemente, ma non esclusivamente, da liriche scritte durante i tempi della “distanza pandemica”, che pressoché ovunque si è stati chiamati a vivere e che si continua ad esperire da più di un anno a questa parte, con repentine quanto fugaci variazioni sul tema della quarantena o della chiusura (chiusura per carità e non lockdown!) La silloge raccoglie poesie che sono state scritte dall’autore dall’ottobre del 2019, l’ultimo scorcio quindi di vita ante quam, fino a giungere ai tempi attuali per proiettarsi verso un ipotetico post quam individuato nell’autunno prossimo, e più precisamente nel mese di ottobre 2021. Senza possedere una chiara consapevolezza della reale durata di questa condizione di distanziamento collettivo forzato, che va oltre dei semplici termini di legge, poiché ha e avrà delle ricadute psicologiche e culturali, per chissà quanto tempo ancora, l’autore ha scelto questo titolo nella speranza di un dopo, non troppo lontano, in cui sarà possibile riprendere una vita “normale”, con tutto ciò che, forse o di certo utopisticamente, questo termine in positivo veicola e insieme, come opposto, ad esorcizzare tutto ciò che esso significa in senso negativo, laddove “normale” fa rima con “ordinario”, “abituale”, “convenzionale”. L’autore auspica, sotto certi aspetti, l’inizio di una vita nuova. In tal senso la congiuntura pandemica non deve colmare di sé tutto l’orizzonte esistenziale e insieme compositivo. Non è solo la diffusione di un virus patogeno a diventare occasione di ripensamento, ma questa assume un ruolo paradigmatico, poiché la vita è piena di “occasioni palingenetiche”, le quali per loro stessa natura passano dalle “strettoie” del dubbio, della paura o del timore. E così il mese di ottobre, l’autunno diventano il tempo di una seconda opportunità, una “seconda primavera”, una seconda fioritura, stagione di rinascita consapevole e matura, come appunto sono i frutti autunnali. In fondo anche i colori autunnali hanno una loro precipua e inconfondibile bellezza, tenue, lieve e pacificata.

 

Soffro di umanità

 

Ti ho osservata,

quasi tutta la sera,

gli occhi rivolti verso il basso,

non del tutto aperti

– che peccato, che spettacolo

negato al mondo –

come diretti su te stessa,

le tue profondità,

schermata da un velo

di assenza, di altrove.

Il tuo sorriso

alla mia frase

“soffro di umanità!”

è stato un lampo,

un richiamo,

un immediato riconoscersi

e non è vero,

non andavi

solo in avanti,

ma anche indietro,

ondeggiavi,

come in balìa

di spumosa risacca

in una vita di

coste,

approdi,

partenze,

mancanze.

 

 

Verrà ottobre

 

Verrà ottobre

e sarà fragranza

di tempi lenti

e buoni venti,

la cicala ancora canterà,

mentre gli ulivi,

carichi di antichità,

riveleranno

consapevoli verità.

 

Verrà ottobre

e avrà del canto

eburneo manto,

foglie rosse vino

di pace e sincerità

riposeranno,

gravida vitalità,

e la luce lieve

notti afose disperderà.

 

Verrà ottobre

e saprà di quiete,

matura onesta requie,

dopo rancorose

canicole e immobilità

d’onuste stagioni

d’accecante aridità,

ritorneranno

raccolti di nuova intimità.

 

 

Invero volare

 

La strada all’improvviso

mi condusse di notte

nel bosco, luogo inviso,

delle storie interrotte.

 

Una pioggia

di foglie stanche,

manto del sentiero,

rotta soffice di passi

e monumenti di sassi,

ammassi di possibili

trionfi finiti in tonfi.

 

Intonsi giorni

lasciati disadorni

in castelli ghiacciati,

aspettano parole

dimenticate da suole

use alla marcia,

prone al marcio

di spiriti avvelenati.

 

Non è sostanza

l’umbratile parvenza

di fatui fuochi,

di suoni rochi,

l’emozionale paccottiglia

dell’ansia insana figlia.

 

Allontanarsi

dall’inganno

che non è,

non è stato,

 

non sarà,

rivelarsi

in nuovo

dipanarsi,

amarsi,

davvero amare

e così finalmente

invero volare.

 

 

L’essenziale

 

La vita scorre

su lastricati d’azioni

compiute a malincuore

e poi restano porzioni

di rimorso e sordo livore.

 

Sbadiglia solo

quando hai sonno,

che tutto il resto è gioia

scambiata per viziata noia,

capricci di puerile affanno.

 

Di venti in venti

diventi ciò

che t’inventi.

 

Di canti in canti

decanti ciò

che t’incanta.

 

E non rimane che

una sagoma algente,

cristallizzato profilo

di ardore rovente,

di legame potente,

nel cuore trova asilo.

 

 

 Anime guerriere

  

Così è quando spiove,

il cielo s’apre,

le nuvole cedono

il passo ai raggi

d’un sole tenue,

re rosso nel suo trono

blu, siderale sede,

firmata una tregua

tra il buio e la luce,

risplendono d’acqua

atomi di mondo nuovo

e l’eco della tempesta

si placa nella risacca

di anime guerriere.

 

 

Rampa di (s)lancio

 

Oggi nascevi

a vita nuova,

che male non fu

quel dolore

che ti partorì

e vigore ti diede

quel baratro

che ti ghermì.

È lancio alle stelle,

rotte d’asperi astri,

ciò che sembrava caduta.

È ascesa dall’altra parte

del mondo sorgente,

del vagito potente,

inconsapevole sé

nascente,

presente,

nuova-mente.

 

 

Giorni senza ritorni

 

Nostalgia di giorni

appesi su fili di

biancheria al sole,

caldo tepore di

brezze e leggerezze

d’istanti distanti,

nel tempo remoto

d’erose risa rosate,

di vini veri avìti,

effluvi d’ore a venire,

non ancora avute,

come succo spremute.

Resta una sete d’attimi

a colmare arsure di

giorni senza ritorni.