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dreyma

la galaverna logora le cornee,
non dà scampo:
il cigno malvagio termina il volo strabiliante
nel presbiterio in fiamme,
il tonchio assiderato si ritira nel pertugio fra
la pietra miliare e il muro portante.

nell’androne deserto della scuola, lo specchio
violato dove ha luogo il mio colloquio
con il Caso.
un geco attratto dalla preda scompare nella sfera
di luce, e oltre la porta a bilico
la battilana autistica procede alla cardatura.

l’occhio pigro del turista si stacca
dalla Processione Della Desolata e la vanità
si impossessa di me:
forzare l’alternanza naturale luce/buio,
ripensare i fusi orari,
rimuovere il cobalto dalle ciliegie.

il giorno in cui diminuì la concentrazione
di cloruro di sodio nel mare io compresi
che nulla era nostro-
non sai più avvalerti del vento, e
non ti riaffacci più dalla balaustra di granito come
radiosa dama di corte.

nel ballatoio bacheche con comunicazioni
della parrocchia di quartiere.
una falda acquifera sotterranea è il luogo scelto
dalla mosca olearia per morire, lenta
la cicatrizzazione della ferita:

è tutto.

entrata sul retro

una piccola smagliatura
nella rete contro le faine.
sarà un varco per i ratti,
si affolleranno file su file
dietro il muro maestro.

scegli pure
la spezia che più ti aggrada.
prima che il piolo della scala
si spezzi, prima che la gazza ladra
espugni la cuspide smussata.

non ho armi contro la pericolosità
degli aculei, non ho armi contro il tuo
morbo: solo la lode
col cuore in mano.

viene dai tralicci ad est
il rantolo delle anime,
come un contagio impalpabile.
penetra in ogni fibra,
fa rosso vivo lo zinco.

io desidero la polvere
grigio scuro di pirite, desidero
il talismano che stravince
sulla parola più temuta.
io rivendico l’abbraccio strappato
alla giovane guardiana delle oche.

un oftalmologo cura gli occhi,
ma non conosce
il segreto dell’iride.
viene dai tralicci ad est
il rantolo delle anime.

la candelora

il momento dell’addio
è impresso sulla retina.
fatti largo tra le conifere oscure
all’aurora boreale,
impara a domare il frastuono
nella necropoli.

parteciperò al tuo carnevale
in bianco e nero,
salutando di striscio
il vicino della porta accanto.
il mio nuovo calligramma sarà
la candela
da te benedetta.

l’aranceto secolare è al di là
della strada proibita,
vigilata dal vecchio carbonaio.
lui ha tentato di dissuaderti,
inutilmente:
là sarà l’incontro fatale, poi
la colpa che credevi
sepolta.
la mano che ti ha salvata
è la stessa che ti ha condannata.

un funerale 

è venuto a mancare a.
ti chiedi chi fosse?
era uno che conosci, uno del nostro giro.
attendeva da sempre al bivio dei mirti d’oro
il tuo segnale
mai giunto; taciturno,
teneva le braccia conserte
al Rito Delle Ceneri.
il feretro trasportato dagli uomini
di cui fu alleato,
il drappo funebre ricamato dalle donne
che mai amò-
uomini e donne con il passato
al posto degli occhi.

oggi i fuochi dell’ellisse
coincidono nel suo centro
e gli esiliati spargono sabbia di
quarzo
nella roggia.

il requiem atonale dalla strada infetta
non è per il defunto,
ma per chi, stremato, anela
al sonno ristoratore.

per te, che invecchi
da lontano.

addio al nubilato

fammi strada oltre
un certo numero di porte murate.
che io raggiunga il pontile immune ai
flutti, che io scopra
l’intervallo dentro l’intervallo.
divampa l’incendio doloso
il sabato dell’addio al
nubilato:
una girandola di nomi e
volti – non ricordi la dalia gettata
al simulacro, né la lisciva
diluita in acqua limpida;
il solenne giuramento al futuro anteriore
è stato pronunciato, caricata la
freccia, ancorate le assi
di castagno.
io ti sarò concesso ogni anno
unicamente nei Giorni Della Merla:
verrò a reclamarti
e riprenderti
allora-
sarò il brusio che sale
alla Compieta.

le cime delle guglie brillano
e accecano.
le ombre sul greto conversano,
il mare è freddo.