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Primo Levi (1919-1937), chimico e scrittore, dopo aver trascorso undici mesi di internamento ad Auschwitz, rientrò a Torino il 19 ottobre 1945 e cominciò a raccontare quello che aveva vissuto. La poesia è tratta dal libro “Se questo è un uomo”.

 

“Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.

O vi si faccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

 

La foto ritrae alcuni prigionieri nei dormitori, subito dopo la liberazione del campo di Buchenwald, nei pressi di Weimar, I’11 aprile 1945.

 

Tomato in ltalia dopo  la deportazione, Levi scrisse anche la poesia che presentiamo. In essa condensa l’impossibilitä di lasciarsi alle spalle l’esperienza vissuta; nonostante il ritorno a casa, per lui e per i suoi compagni non smetteră di risuonare l’ordine di alzarsi che i detenuti ricevevano all’alba. Circa vent’anni più tardi, la poesia fu scelta da Levi come testo di apertura de La tregua, libro pubblicato nel 1963 in cui egli racconta il lungo viaggio compiuto per tornare in ltalia, dopo İa liberazione di Auschwitz.

 

Sognavamo nelle notti feroci

Sogni densi e violenti

Sognati con anima e corpo:

Tornare; mangiare; raccontare.

Finché suonava breve sommesso

Il comando dell’alba:

«Wstawać »:

E si spezzava in petto il cuore.

Ora abbiamo ritrovato la casa,

Il nostro ventre è sazio,

Abbiamo finito di raccontare.

È tempo. Presto udremo ancora

Il comando straniero:

«Wstawać».

 

(P. Levi, Opere complete. vol. II, Einaudi, Torino 2016, p. 686)

 

 

1.      Wstawać: «Alzarsi», in polacco.