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Vittoria Guerrini, in arte Cristina Campo (Bologna, 29 aprile 1923-Roma, 10 gennaio 1977), una delle voci poetiche più alte del Novecento, è stata una straordinaria scrittrice, poetessa e traduttrice. Unica figlia del compositore Guido Guerrini, a causa di una congenita malformazione cardiaca, che rese sempre precaria la sua salute, crebbe isolata dai coetanei e non poté seguire regolari studi scolastici. Nel 1925 la famiglia Guerrini si trasferì prima a Parma poi a Firenze dove il padre fu chiamato a dirigere il conservatorio Cherubini. Cristina studiò da autodidatta sotto la guida del padre e di alcuni insegnanti privati. Apprese le lingue leggendo Cervantes, Proust, Shakespeare e tradusse Katherine Mansfield, Virginia Woolf, Hugo von Hofmannsthal e Simone Weil. L’ambiente culturale fiorentino dove restò fino al 1955, fu determinante nella sua formazione: conobbe il traduttore Leone Traverso, al quale, per qualche tempo, fu legata anche sentimentalmente. Altre frequentazioni importanti furono quelle con Luzi, Draghi, Bemporad, Merini, Montale, Zambrano, Bernhard che le fece conoscere il pensiero di Jung, Margherita Pieracci Harwell, che avrebbe curato la pubblicazione postuma delle sue opere. La sua natura solitaria la portò a rifuggire da cerimonie e riconoscimenti pubblici; preferì firmare le poche opere pubblicate in vita con diversi eteronimi anche maschili, tanto che amava dire di se stessa: “Ha scritto poco, e le piacerebbe aver scritto meno”. Nei primi anni Cinquanta lavorò alla compilazione di un’antologia di scrittrici, Il Libro delle ottanta poetesse, concepita come “una raccolta mai tentata delle più pure pagine vergate da mano femminile attraverso i tempi”, raccolta che tuttavia non venne mai pubblicata. Nel 1955 si trasferì a Roma, dove il padre fu chiamato a dirigere il Conservatorio di Santa Cecilia; in questa città, verso la quale ebbe sempre un rapporto controverso, strinse nuove amicizie, come quelle con María Zambrano, Corrado Alvaro, con il dottor Ernst Bernhard, lo psicoanalista che introdusse le tecniche di Carl Gustav Jung in Italia e la guarì da una fastidiosa agorafobia e soprattutto con Elémire Zolla, con il quale visse dal 1959  fino alla sua scomparsa. Appartenne al ristretto nucleo di intellettuali che avviarono l’introduzione e lo studio di Simone Weil in Italia. Nel 1956, presso l’editore Vanni Scheiwiller, apparve il suo primo libro, la raccolta di poesie Passo d’addio. Nel 1962 uscì presso Vallecchi il volume di saggi Fiaba e mistero, in parte confluito nel libro Il flauto e il tappeto, pubblicato nel 1971 da Rusconi. Nella sua vita frequentò anche Mario Luzi con cui visse un’intensa storia d’amore. L’ultimo decennio della sua vita la vide emarginata dalla scena culturale e molto interessata alle tematiche religiose e spirituali, non va dimenticata, infatti, la sua lotta contro le innovazioni liturgiche operate dal Concilio Vaticano II. Paladina della tradizione, intendeva salvare la liturgia latina e gregoriana dai falsi formalismi e dalla degenerazione dovuta all’omologazione imposta dalle mode. Sulla rivista Conoscenza religiosa, diretta da Elémire Zolla, apparvero gli ultimi scritti di Cristina Campo, tra i quali il saggio Sensi soprannaturali e le “poesie sacre”, ampia riflessione sulla liturgia e la sacralità dei riti. Cristina Campo morì a Roma il 10 gennaio 1977, all’età di 53 anni, per un’ennesima crisi improvvisa di scompenso cardiaco, assistita negli ultimi istanti da Zolla. Figura singolare, sfuggente ed eversiva, fu consulente editoriale, scrisse su importanti riviste, approfondì la mistica occidentale ed orientale, i grandi classici e i poeti di ogni tempo. Il ricchissimo universo campiano si desume anche da diversi epistolari, in particolare dall’epistolario con Alejandra Pizarnik, la poetessa argentina conosciuta in Francia con cui intrattenne una fitta corrispondenza tra il 1963 e il 1970 e dalle “Lettere a Mita”, la scrittrice Margherita Pieracci Harwell, uno degli epistolari più affabulanti di tutta la letteratura italiana. Di Cristina Campo, Adelphi ha pubblicato i saggi negli Imperdonabili (1987), in Sotto falso nome (1998), e le Lettere a Mita (1999). La Tigre Assenza comprende tutte le sue poesie e traduzioni poetiche, edite e inedite. Tradotto da Stefanie Golisch, l’epistolario in francese tra la Campo e la Pizarnik è  inedito ma è possibile rinvenirlo in rete.

Prima lettera di Cristina Campo ad Alejandra Pizarnik

Martedì [gennaio/febbraio?] 1963

Mia carissima amica,

non so come chiederLe perdono per non aver ancora risposto da settimane alla lettera dove Lei mi parlava della sua angoscia e che mi aveva molto colpito. Raramente il cielo ci permette di realizzare in tempo il gesto che vorrebbe scaturire da noi come la voce stessa e che, nella sua perfetta gratuità, potrebbe? dare, talvolta, a coloro che si ama ciò che Simone Weil chiamava “un poco di energia supplementare”. Ci sono dei casi in cui la distanza è crudele. La mia mano che prende la Sua in questo momento direbbe quanto dolorosamente io senta il Suo stato d’animo, che la mia imperdonabile mancanza d’attenzione, all’inizio, mi aveva fatto credere meno drammatico. E saprebbe anche, senza altre parole, a che punto sono certa di Lei, a che punto credo nella Sua vittoria. Non ci sono tracce in Lei di questo polo interiore di sofferenza, o del male che risponde alla sofferenza o al male esteriore e senza il quale niente di increscioso per lo spirito possa verificarsi. Le sembrerà strano, ma attendo impazientemente che Lei parta per questo viaggio che La sgomenta. Ci sono grandi mostri che attendono di diventare principi. Bisogna proseguire dritto, come la Bella, e sedersi alla loro tavola. Lei appartiene, più che ogni altra persona al mondo, alla razza della Belle. Possiede il grande coraggio, la grande pietà, “il sacro dono del ridere” ed è proprio la donna che vuole la rosa in inverno. Inoltre, se ora scrive poesie più lunghe, vuol dire che è diventata più forte (è una meravigliosa notizia che mi ha dato). Inoltre ‒ e so che ciò non Le è indifferente ‒ ora Lei si trova in un cerchio – o meglio in un quadrato – magico: 4 amici La circondano (ne avrà degli altri, credo, molti altri, ma mi piace pensare che questi 4 Le sono più vicini degli altri). Hector è mercuriale, Lei lo sa, psychopompe, se possibile, e la sua presenza, mentre stavate partendo da B[uenos]. A[aires] ci dà molta gioia. Ma perché, cara Alejandra, non inviarmi le Sue poesie? È crudele sollecitare un poeta, ma è ancora un poco più crudele, annunciarmi la mia poesia, altre lunghe poesie, senza inviarmi un solo verso…. Ci sono dei Suoi versi che mi ossessionano. Uno: “Cuando yo muera, quien me lo va a decir?” Aquì Alejandra, todos son muertos y no toleran que se lo digan. Roma è una città dove, per non morire, anche senza vocazione, anche senza religione, bisogna vivere come i santi. ”Y pasar la noche con una espada en la mano”. Non ho mai conosciuto un posto dove l’odio per tutto ciò che vive è talmente feroce, di una ferocia da scimmia e da pollo. Per esempio: ho appena ricevuto la nuova edizione italiana dei meravigliosi saggi di Gottfried Benn (un libro che Le appartiene, credo). L’editore si scusa nella copertina, per questa pubblicazione, parla del grande poeta, l’ultimo: “certamente né un maestro, né un modello”; eccetera. Vorrebbe essere perdonato per aver aperto a un vivente la porta del grande cimitero. (Lo stesso odio cieco circonda Zolla che vive come un monaco e non ha alcuno in patria). Non dimentichi, Alejandra di mandarci al più presto il suo saggio su Macedonio Fernandez. Se dovessi dare un giudizio soltanto considerando alcuni passaggi della Sua lettera su “Cecilia” (che Zolla mi ha letto al telefono la mattina stessa), infinite altre gioie ci attendono nei Suoi saggi. Non so nulla di M. Fernandez. Se non ricordo male, si tratta dell’ammirabile assente al quale Borges dedica il suo Hacedor (“quel libro che non gli sarebbe piaciuto”)? Quanto a Borges, è accaduta una piccola magia. Avevo preparato per Lei questo pesante e noioso ritratto (Prix Formentor), tagliandogli la testa ed i piedi, stilizzandolo fino all’emaciazione. Stavo per spedirglielo quando, molto disgustata, trovo tra i miei vecchi quaderni un foglietto battuto a macchina (il che faccio raramente) e che non ricordavo di aver scritto. Questo foglietto s’intitola “Omaggio a Borges”, ma non ha nessun rapporto con Borges che non sia analogico, perché non si tratta di lui, non parla di lui, ma di un bellissimo piccolo monumento alchemico, la porta magica, nascosta nel mezzo di uno squallido mercato romano che vicino alla stazione. È una porta cieca (che, del resto, non introduce in alcun luogo) ma sulla quale si trovano misteriose incisioni latine ed ebraiche, quali: “Quando i vostri neri corvi genereranno bianche colombe, potrete chiamarvi saggi.” ecc. (Ecco, di nuovo, la metamorfosi dei mostri!) È questa paginetta che Le invierò (se non preferisce l’altra versione, quella accademica, per questa occasione così poco ufficiale). Io sarò occupata per 2 giorni alla correzione della  Venice sauvée di S[imone] W[eil] che ho tradotto in italiano; poi copierò quel foglietto e lo riceverà, spero, al più tardi entro circa una settimana. Come vede, Alejandra, la Sua presenza è causa di ogni sorta di fenomeni inquietanti. L’atto stesso di scriverLe produce delle specie di cortocircuiti e questo non è una metafora, perché avevo appena cominciato a scrivere questa lettera quando un fulmine è caduto a due passi dalla casa (con mia grande gioia, perché attendevamo il temporale da ieri) e dopo qualche minuto un campanello ha cominciato a suonare da solo nel corridoio – nessuno alla porta, soltanto questo tintinnio allegro come un riso che mi ha donato una grande gioia. È durato circa 10 minuti, a tre riprese. Cosa ne dice?

Mia cara Alejandra, La stringo tra le mie braccia. Attendo le poesie. Grazie.

La Sua Cristina

*

Ahi che la Tigre,
la Tigre Assenza,
o amati,
ha tutto divorato
di questo volto rivolto
a voi! La bocca sola
pura
prega ancora
voi: di pregare ancora
perché la Tigre,
la Tigre Assenza,
o amati,
non divori la bocca
e la preghiera…

Voce di Deborah Mega

*

Devota come un ramo
curvato da molte nevi
allegra come falò
per colline d’oblio,

su acutissime lamine
in bianca maglia di ortiche,
ti insegnerò, mia anima,
questo passo d’addio…

Voce di Loredana Semantica

*

Amore, oggi il tuo nome

al mio labbro è sfuggito

come al piede l’ultimo gradino…

Ora è sparsa l’acqua della vita

e tutta la lunga scala

è da ricominciare.

T’ho barattato, amore, con parole.

Buio miele che odori

dentro diafani vasi

sotto mille e seicento anni di lava –

ti riconoscerò dall’immortale

silenzio.

 

Cristina Campo, testi tratti da La Tigre Assenza, a cura di Margherita Pieracci Harwell, Milano, Adelphi, 1991.

Voce di Deborah Mega