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Per il tema del silenzio ho scelto come prima proposta poetica di Raffaella Terribile una sua breve poesia di appena cinque versi.

Misuro i miei passi nel tempo

dal non esserci, dai silenzi

vuoti che riempiono gli occhi

dalle rughe nello specchio

delle cose di sempre.

Raffaella Terribile

In questo componimento, pur in così poco “spazio”, l’autrice è riuscita a comunicare il senso della caducità e del trascorrere inesorabile del tempo, la pienezza di silenzi che dalla bocca si estendono agli occhi e li colmano, come generalmente si dice delle lacrime, di silenzi particolarmente acuti, particolarmente sofferti proprio perché vuoti. Dal che si desume per converso come, a volte, i silenzi siano all’opposto gravidi di contenuti, di messaggi, cioè comunichino, così come avviene ad esempio nel connubio di silenzio e sguardi complici che dicono tanto senza parole, per sola intesa tra le persone.

Non così del silenzio vuoto, vuoto perché non comunica assolutamente niente, è come dire, spento, inerte, sterile, che non produce nulla se non il senso di vacuità e, con esso, l’esaltazione delle rughe impietose che segnano il volto.

Rughe che lo specchio rimanda indifferente, lo specchio che di bellezza è alleato, nel vuoto gravido di tristezza, diventa infatti crudele, rughe che per il silenzio che precede appaiono solchi ancora più profondi, incisi, irrimediabili, come il non esserci, che batte il tempo insieme ai passi, ma sembra pronunciato, al pari di una sentenza, come definitivo e inappellabile.

La chiusa della poesia rimanda alla quotidianità, al ripetersi dei gesti e dei luoghi che sono d’appartenenza. Quelle cose di sempre che senza un silenzio così pervadente potrebbero essere rassicuranti,  consolatorie, persino accoglienti, ma si sfalda subito l’immagine, ipoteticamente positiva, del solito, demolita dal silenzio che l’accoglie.

Un silenzio ch’è intima afflizione, mancanza, insoddisfazione, un silenzio che può essere lutto o altrimenti assenza di chi, non essendoci, spegne i colori, resta perciò un grigio apparente, una patina che il tempo da un lato forma, dall’altra piano piano sbiadisce, fino a quando la desolazione diventa calma, controllo, ritorno alle certezze e dunque al proprio ruolo autentico, nel luogo che il “destino” decide da adesso al futuro.

Questa calma certezza è il senso complessivo che la poesia dona. E ciò avviene per la fermezza dell’avverbio in chiusa. Esso sta là a dire come esista una forza interiore che pur negli ostacoli dei desideri avversi, si mostra e procede con una consapevolezza tutta femminile che si sostanzia di pazienza e attesa. A chiudere il cerchio. Pazienza ed attesa che sono le nostre armi più potenti e risolutive, da sempre, dalla notte dei tempi, quelle che vincono nelle difficoltà, trasformano il vuoto in pieno, il silenzio in parola, spezzano lo specchio delle rughe, abbracciano le cose di sempre e ne fanno fiori alle finestre, racconti fantastici, trine e filigrane, fiocchi di neve, sole e sorrisi tra le nuvole e nella pioggia.

Loredana Semantica