Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di:
Rita Pacilio
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LA VOCE È UNA PIETRA NERA
Billie dormiva anche di giorno
l’alcool lascia segni sulle gote
nel baffo tirato senza grazia
– la riluttanza della fede fallace –
si sdraiava con il corpo senza-corpo
nella stanza infantile dell’allodola
a otto anni sul pavimento del night
ingoiava i suoni e le interferenze
si trattenevano i singhiozzi nella voce
alta e nera di seppia. L’eleganza possibile
pettinava le particelle scure della storia
per abbassarle nella parola intima
basta questo per possedere la vita
ripetuta nella continuazione del chorus
laborioso, improvvisato, meditato piano
quando il sole dilata il centro e il suo chiodo.
BILLIE HOLIDAY, detta Lady Day (1915 – 1959), è stata una cantante statunitense fra le più grandi di tutti i tempi nei generi Jazz e Blues. Infanzia travagliata e dolorosa, a soli quindici anni, iniziò la sua carriera di cantante nei club di Harlem. Il suo stile è connotato da una vena sofisticata e da un timbro espressivo discorsivo, quasi recitativo, flemmatico. Unica nella sua interpretazione melodica del chorus è considerata la regina dell’improvvisazione.
(tratta da Il suono per obbedienza, poesie sul jazz – Marco Saya Edizioni 2015)
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Sono il ciottolo ripudiato dall’oceano
mentre la vanga scava fino ai cieli d’estate
dove resta immobile il seme infuriato.
Difficile dirti adesso le foglie sulla via
quando file di formiche sui bordi
spalancano voragini nel suolo raffreddato.
Non chiedono perdono né fanno lamento
le facce dei degenti
sotto giornali stesi come coperte al sole
perché Dio li ama fino al mattino.
(tratta da Gli imperfetti sono gente bizzarra – La Vita Felice, 2012)
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Ho parlato al tuo corpo fraterno
conficcato nella pioggia che lava
sollevato ruggiti sfibrati
per pietrificarne i momenti.
In questa scorza ci sentiamo stretti
provoca dolore la bruna pupilla
lo so, tu sai scucire la terra
una grossa onda sul nostro campo.
Rinascere dal poco movimento
ogni istante si converte
la riga che non fa triangoli
un’immagine che resta al centro.
Così ti riparo dalle voci
e fisso il segno delle parole
qui ti lascio lamento malato
custode di ossa imporporate.
Non cambiare l’odore al soffitto.
(tratta da Gli imperfetti sono gente bizzarra – La Vita Felice, 2012)
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Avrei voluto piangerti con gli occhi di una vecchia
con le dita scuoiate e spaventose
dipinte sul mio volto scavato
caduta, graffiata dai calcinacci di sguardi gonfi
rabbrividita nel ventre ossuto
cupa e rabbiosa come un astro nella notte,
invece facevo il rumore di un ramo, umido, sradicato
bianco di acero, troppo smilzo
che sperava di indossare le tagliole nel terreno
un segno triste, cammino della memoria di tibie e cosce.
Avrei voluto farti tornare indietro dalla bocca dei vermi
aprirti alla luce di te stesso
sperare di cambiare il fregio dopo la pioggia
togliere la ruggine alla melma appiccicosa
e partorirti senza mestruo.
Avrei voluto farti scivolare dal mondo all’età di ottant’anni
dopo quaranta estati ammainate nell’erba secca
cresciuta sulla tua barbapapà.
Adesso continua a muoversi l’oscurità sulla tua schiena.
(tratta da Quel grido raggrumato – La Vita Felice 2014)
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Non devi restituirmi la difesa
appuntire collera tra me e te
riparare nelle mani a forma di cuore
tutti i pensieri belli e tristi
che raccontano beltà sbarazzine,
non devi sbattere porte per dimenticare
il mento alzato agli uomini che ho
baciato. Non maledire
le parole dei poeti che mi hanno
voluta in sposa e poi copiata.
Non devi perdonare i dubbi di Romeo
il suo Pater Nostro in ginocchio
bruciato nelle lettere perfette
mai spedite. Che fatica
aprire gli occhi e trovarsi attorcigliata
sembrare un tuono, lunga, un fiume stretto.
Vedersi seminata, vangata
un miscuglio di quesiti spalancati.
(tratta da Prima di andare – La Vita Felice 2016)
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Capiterà a tutti di essere una boa
in mezzo al mare, una boa
dalla forma di pesce supino
dalla voce umana con braccia di violino
al posto delle branchie l’anima
spugna polposa e fili d’erba i capelli.
Si diventa così quando si va via
un nome senza nome
rimasto tra le palpebre e la mente
giovinezze disperse in un altro viaggio.
Quando anche le viscere svuoteranno
residui della traversata
resteranno bucce vuote
involucri rancidi, mezzi sorrisi,
il seno ormeggiato.
Questo siamo quando lasciamo
una casa, un fiore, chi abbiamo amato.
Capiterà a tutti di essere una boa
in mezzo al mare, pesci, uccelli dal ventre tremante.
(tratta da Prima di andare – La Vita Felice 2016)
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La copia
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Non invidiatemi
ho la pelle vecchia e stanca
ho i capelli bianchi, li vedete?
Non vedete le ossa distese
quanti muri alzano tra me
e il vento?
Non invidiatemi perché non ho
l’orizzonte della verità.
Passo nella cruna arrugginita
dove separo gli occhi dal ricordo.
Non dovete invidiarmi
qui la tempesta mi ustiona intera.
(tratta da L’amore casomai – Racconti inediti)