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Dalla percezione e dall’osservazione del reale si alimentano i racconti che compongono l’antologia di Francesca Varagona edita da Terra marique, opera in cui il filo conduttore è quello della mancanza intesa come perdita, dispersione, mancata realizzazione di un progetto di vita. Non è come dire vacuità perché il concetto stesso di mancanza porta alla mente l’esatto opposto, la presenza di qualcuno o qualcosa e l’attesa del ritorno oppure il manifestarsi di un fatto e il suo non verificarsi. L’autrice, con grande abilità narrativa, organizza un’ampia e variegata carrellata di tipologie e comportamenti umani soprattutto femminili. “Le vite delle donne senza nome sono silenziose”, scrive l’autrice, eppure sono vite vissute appieno, colme di gioie e di lutti. Quando si abita da anni nello stesso posto ci si conosce un po’ tutti, almeno di vista se non di nome, le vecchiette del quartiere inserite in un immaginario elenco numerato, pian piano stanno scomparendo perché è così che si scompare, dall’oggi al domani, senza fare rumore. Qualcuno poi un giorno si chiede dove sia finita la vecchietta che si incontrava in ascensore o quella che con i suoi racconti animava il cortile. Casa mia invece è la storia di un’operaia slava giunta in Italia per sfuggire alla guerra che imperversa nel suo paese. Si è separata dal marito e da sempre lavora e si spezza la schiena in casa e fuori per pochi spiccioli che rendano dignitosa la sua vita e la sua casa. Lena è una donna intraprendente e determinata, si è laureata in filosofia a pieni voti e invia curriculum a tutte le aziende d’Italia, alla ricerca di un posto di lavoro. Il racconto è ambientato negli anni Novanta, Internet non è ancora alla portata di tutti ma lei si dà da fare per presentare un progetto che possa promuovere il suo territorio, attraverso cartoline illustrate che rappresentino i luoghi simbolo della sua cittadina. Nata femmina invece è la storia di una donna siciliana che decide di dare alla luce sua figlia e di crescerla da sola senza l’aiuto dei suoi genitori né del padre della bambina che non aveva voluto assumersi le sue responsabilità perché aveva già una famiglia. La storia sembra ripetersi perché quella bambina, nata femmina appunto, a sedici anni, decide la stessa cosa, accogliere sua figlia e crescerla da sola senza curarsi dei giudizi della gente. Bianco ghiacciato sono invece le qualità del vino che la protagonista tiene tra le mani mentre ricorda il primo incontro con “l’uomo amato e mai avuto”. Per tutto il racconto si snoda la drammaticità che un’assenza, un telefonino carico ma privo di vita sono in grado di scatenare nell’irrazionale femminile.

Un’altra storia che ci viene incontro è quella del Barba del racconto L’ultima bicchierata, l’oste che a detta dei più non sarebbe mai morto. Di lui invece resta solo una stampa sulla maglietta con il logo dell’osteria. La morte è il luogo, anzi il non luogo, per eccellenza, dello smarrimento e della perdita. Anche in Sale amaro c’è la descrizione di una donna anziana che racconta i suoi ricordi e aneddoti di vita al nipote il quale, pur avendo ascoltato tante volte le sue storie, le fa domande per ascoltare le stesse risposte rassicuranti, che rafforzino una conoscenza, una consapevolezza. Lucia da bambina ha rubato del sale ai tedeschi e si è resa protagonista, a sua insaputa e senza alcuna percezione del pericolo, di un gesto incosciente ma eroico. Gratta e vinci invece è la storia di tante donne che si incontrano in un reparto di ostetricia. Non si allude ai biglietti della lotteria, quelli che promettono vincite insperate ma ai raschiamenti a cui, a volte, le donne sono costrette a sottoporsi perché la maternità è stata un’illusione di breve durata. La cecità del cuore è quella di due amanti che si amano da sempre ma non riescono a riconoscersi “compagni di vita” per una serie di motivi. Il brindisi è un racconto quasi surreale come lo è acquistare libri a peso presso la bancarella di una fiera di quartiere l’ultimo dell’anno. Incontrare un venditore che offre un bicchiere di vino alla cliente e poi ritrovare lo stesso ometto in primavera in un negozio di libri. Voler ricambiare il gesto offrendo dello spumante per festeggiare la propria rinascita ma trovare dopo pochi minuti la bottega chiusa; unico elemento che garantisca che gli eventi si sono davvero verificati la presenza tra le mani di un libro appena acquistato. Nel racconto La ruota si descrive quella particolare circostanza in cui si attende per mesi, anni che l’uomo amato e mai avuto si faccia avanti, abbia il coraggio di chiudere una relazione ormai agli sgoccioli per cominciare una nuova vita e quando questa circostanza sembra presentarsi non si è più disponibili, per autodifesa, per non soffrire, perché la vita è una ruota in cui oggi si è in cima e domani prostrati in terra. Al contrario ci sono volte in cui come in L’ultima cartolina si è messi al corrente di segreti importanti ma nonostante ciò il rapporto non si evolve e la complicità resta unilaterale. Varagona è molto abile nelle descrizioni e nei bozzetti non solo dei personaggi, ripresi nella loro interiorità ma anche in quelle d’ambiente come è possibile notare in Ballo alla sezione o Il pesto dell’Etna. Per inseguire un sogno d’amore si è disposti perfino a raggiungere Londra, come si narra nel racconto Fotografie di sorrisi in cui Giulia si reca a trovare un amico che l’ha invitata diverse volte a raggiungerlo. Anche Il pesto dell’Etna ricostruisce l’umore e le intenzioni di un turista nei confronti della donna che lo accompagna e che lo ama, non ricambiata. Alle pendici dell’Etna le sensazioni si mescolano alla descrizione della flora sicula. Esci e vivi è l’invito che Ambra rivolge a se stessa, affinchè ricominci a vivere, perché non ha senso continuare a struggersi per un uomo che non ti ama e che è già partito per la Grecia con un’altra. In Una notte chiara la protagonista rievoca una serata di molto tempo prima trascorsa ad osservare il cielo notturno e le costellazioni in compagnia dell’uomo amato che però non poteva neanche abbracciarla, data la presenza della fidanzata. Verde smeraldo è il colore del costume che indossa Mariellina, una ragazzina in vacanza con i suoi genitori. Conosce Marc, un ragazzo francese con cui si scambia promesse di incontri e di futuri possibili. Dopo aver trascorso una vacanza molto gradevole però il loro rapporto non continua e lei si ritrova molti anni dopo nella piscina dello stesso hotel, frequentata da nuovi bambini e nuove comitive perché il ciclo della vita continua.

Cartoline dal passato invece rappresenta l’epilogo di Cartoline. Enrico è scomparso tragicamente, Lena ha realizzato i suoi progetti di vita, vive all’estero, è una donna realizzata che ha visto concretizzarsi tutti i suoi desideri, perfino quel progetto avviato tanti anni prima e inviato con l’aiuto dell’uomo. E lui davvero le ha inviato le cartoline del suo paese, quelle realizzate in seguito alla sua testardaggine di ragazza e dunque doppiamente care, non soltanto perché inviate da lui. Cumulonembi invece è un trittico di punti di vista differenti, quello dell’Assoluta, della Barista e dell’Ascoltatrice. Vi è descritta un’altra donna che ha perso il marito per una grave malattia e ha potuto prendere atto che nel momento del bisogno nessuno si sia fatto vivo, neanche gli amici. La voce atona dell’amica “snocciolava i passaggi della morte del marito come se leggesse le previsioni del tempo: cumulonembi, ciclone in avvicinamento, caldo torrido, piogge torrenziali, piovaschi e temporali nelle zone interne, nebbia sulle valli, moto ondoso in aumento nelle coste…” Il punto di vista cambia, dal narratore onnisciente che riporta anche i dialoghi all’Assoluta, così la protagonista chiama la sua “amica” che nel corso del racconto si scopre averla tradita, alla barista che le osserva, infine a se stessa. Gloria è l’ultima protagonista femminile, da sempre trascorre le vacanze in un luogo magico. Tutto sembra fermarsi, perfino il tempo è sospeso nel racconto che porta questo nome e che dà nome all’intera raccolta. È impresso ovunque, “sulle rocce, nel volo dei gabbiani, tra le piante di agave, di aloe e di fichidindia”. Il paesaggio descritto è senza ombra di dubbio quello siciliano, terra di appartenenza della Varagona, laddove niente cambia neanche i sapori, gli odori, le atmosfere e da cui ci si allontana ritemprati, rigenerati, pronti ad affrontare le difficoltà quotidiane, perfino dopo una breve vacanza.

Nell’antologia Il tempo sospeso i singoli racconti sono autonomi eppure legati tra di loro da influenze reciproche. Dal punto di vista stilistico e del linguaggio, in comune a molti racconti è la presenza di un narratore autodiegetico, protagonista della vicenda narrata che racconta fatti personali che però sollecitano la complicità del lettore. Talvolta il narratore è onnisciente e adotta la focalizzazione zero come punto di vista privilegiato. Varagona, novella Sherazade, attraverso i suoi personaggi, quasi tutti rigorosamente femminili, segue i ritmi della cronaca interiore di eventi attraverso flussi di coscienza, dialoghi, rievocazioni scorrevoli, tuttavia supera  la dimensione intimistica per stabilire un legame di empatia e intimità con il lettore perché prima o poi tutti possiamo ritrovarci di fronte al dramma della perdita e alla necessità di dover metabolizzare l’assenza. I racconti sembrano quasi proliferare da sé senza sforzo, la stessa varietà del reale non si esaurisce nell’esistente ma allarga i suoi confini giungendo nella sfera del possibile, di ciò che è perduto o desiderato ma mai realizzato. Quel “paesaggio interiore” diventa teatro ideale di un nuovo racconto, ciò che non è stato suscita e stimola l’invenzione. Questo stretto rapporto di immaginazione e di malinconia, non è solo rivolto al passato; per non arrendersi durante la ricerca, la scrittrice desidera ciò che manca, insegue il vuoto e l’assenza, per non accontentarsi del già detto e andare alla scoperta del nuovo e chissà che le vite ancora da scrivere non siano migliori di quelle interrotte, di quel che non è stato.

Deborah Mega