Oggi – alla fine è giunto –
è il giorno giusto per un’invettiva.
Ce n’è per tutti e poco me n’importa
ch’io sia esagerata nel mio sdegno.
Ne ho sopportati tanti di censori
di professionisti dell’amore o dell’indignazione
pronti a scagliarsi contro questo e quello
certi di avere occhio sveglio e mente lesta.
Ne ho tollerati molti, sforzandomi a capire
che era colpa d’altri se erano così
che forse era stata la nascita
dentro un mondo serrato da sbarre di paura
o la frequentazione di fame e ignoranza
quali maestre infami
oppure – al contrario – l’eccesso di ricchezze
e di agi e privilegi a farli duri
ad adeguare il passo alla fatica altrui.
Oggi non ho più voglia di capire.
Ho voglia solo di gridare:
mi avete fatto male e senza alcun bisogno
mi avete fatto male come a tutti quelli
– che insieme a me son vivi – che dite di aiutare.
Quelli seduti in mezzo tra l’essere vili o prodi
tra l’innocenza nuda e ogni malizia
quelli che la paura d’essere detti matti
da un pezzo han superato
perché si sanno umani
pieni di vizi e spigoli, di cancri e di brutture
e insieme belli a spasimo
come solo chi si sa ogni giorno
in bisogno perenne di perdono
può essere e restare
mentre il mondo
impazza correndo dietro al nulla.