Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m’accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell’anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un gran gesto filosofico Catone si butta sulla spada: io zitto zitto m’imbarco. E non c’è niente di strano. Se soltanto lo sapessero, prima o poi quasi tutti nutrono, ciascuno a suo modo, su per giù gli stessi miei sentimenti per l’oceano. […]
Herman Melville, Moby Dick, Bentley, Harper & Brothers, 1851
Il romanzo Moby Dick fu scritto in un anno e mezzo da Hermann Melville e fu dedicato all’amico Nathaniel Hawthorne. Capolavoro della letteratura americana della American Renaissance, fu pubblicato in due versioni differenti nel 1851: in ottobre a Londra dall’editore Bentley con il titolo The Whale (“La balena”) con modifiche fatte dall’autore e dall’editore per ripulire il testo dalle parti considerate offensive nei confronti della Corona britannica; in novembre a New York presso l’Editore Harper & Brothers con il titolo definitivo Moby-Dick. Alla morte di Melville però, nel 1891, l’opera era fuori stampa, fu riscoperta solo negli anni Venti del ‘900.
La vicenda narrata da Ismaele, nome di origine biblica, nella Genesi infatti Ismaele è il figlio di Abramo e della schiava Agar, tratta il tema del viaggio della baleniera Pequod, comandata dal capitano Achab e della maledizione perchè la nave è condannata ad essere affondata da un’enorme balena bianca, in realtà un capodoglio, verso il quale Achab nutre una smisurata sete di vendetta. In Moby Dick oltre alle scene di caccia alla balena, si affronta il dilemma dell’ignoto, il senso di speranza, la possibilità di riscattarsi. Il narratore Ismaele, alter ego dell’autore, tratta riflessioni scientifiche, religiose, filosofiche sulla verità e la giustizia e trasforma il viaggio in un’allegoria della condizione della natura umana. Il contenuto enciclopedico e digressivo richiede che la lettura sia accompagnata dall’interpretazione, in quanto l’autore utilizza un gran numero di citazioni di storie epiche, shakespeariane, bibliche. Moby Dick fu tradotto in italiano per la prima volta nel 1930 dallo scrittore Cesare Pavese che non riuscì a farlo pubblicare. Solo nel 1932 l’editore Carlo Frassinelli lo fece stampare nella sua neonata casa editrice come primo titolo della collana Biblioteca europea diretta da Franco Antonicelli. Il narratore Ismaele è un marinaio che nonostante «sia oramai piuttosto vecchio del mestiere» ha deciso che per il suo prossimo viaggio s’imbarcherà su una baleniera. In una notte di dicembre giunge alla Locanda dello Sfiatatoio, presso New Bedford, accettando di dividere un letto con uno sconosciuto al momento assente. Quando il suo compagno di branda, un tatuatissimo ramponiere polinesiano chiamato Queequeg, fa ritorno a ora tarda e scopre Ismaele sotto le sue coperte, i due uomini si spaventano reciprocamente. Diventati amici, i due decideranno di imbarcarsi assieme dall’isola di Nantucket sulla Pequod. La nave è comandata da un inflessibile capitano chiamato Achab ed è equipaggiata da 30 marinai di ogni razza e provenienti da ogni angolo del pianeta. Sul molo i due amici s’imbattono in un misterioso uomo dal nome biblico di Elia che allude a future disgrazie che colpiranno Achab. L’atmosfera di mistero si amplifica la mattina di Natale quando Ismaele vede delle oscure figure nella nebbia vicine al Pequod, che proprio quel giorno spiega le vele. All’inizio sono gli ufficiali della nave a dirigere la rotta, mentre Achab se ne sta rinchiuso nella sua cabina. Il primo ufficiale è Starbuck, un uomo severo e coscienzioso che si dimostra anche un abile comandante; il secondo ufficiale è Stubb, spensierato e allegro, collezionista e fumatore di pipe; il terzo ufficiale è Flask, tozzo e di bassa statura e del tutto affidabile. Una mattina, qualche tempo dopo la partenza, finalmente Achab compare sul cassero della nave. La sua è una figura imponente priva di una gamba dal ginocchio in giù, rimpiazzata da una protesi realizzata con la mascella di un capodoglio. Achab svela all’equipaggio che il vero obiettivo della caccia è Moby Dick, un vecchio ed enorme capodoglio, dalla pelle chiazzata che lo ha menomato durante il suo ultimo viaggio a caccia di balene. Egli non si fermerà davanti a niente nel suo tentativo di uccidere la balena bianca. Durante la prima calata della lance per inseguire un gruppo di balene, Ismaele riconosce gli uomini intravisti nella foschia prima che il Pequod salpasse. Achab aveva in segreto portato con sé il proprio equipaggio, incluso un ramponiere chiamato Fedallah, un enigmatico personaggio che esercita una sinistra influenza su di lui. Il romanzo descrive numerosi incontri con altre navi in mare aperto durante i quali Achab rivolge sempre la stessa domanda all’equipaggio delle altre navi: «Avete visto la Balena Bianca?». Quando il Pequod entra nell’Oceano Pacifico Queequeg si ammala e chiede al carpentiere della nave che gli venga costruita una bara che non gli servirà poiché alla fine deciderà di continuare a vivere. Quando Achab non accoglie richieste di aiuto da altre navi perché è davvero vicino a Moby Dick e non si fermerà di certo per soccorrerli, Starbuck lo implora invano di riconsiderare la sua sete di vendetta. Il giorno dopo, il Pequod avvista Moby Dick. Per due giorni l’equipaggio insegue la balena, che infligge loro numerosi danni, compresa la scomparsa in mare del ramponiere Fedallah. Il terzo giorno Moby Dick, riemergendo, lo mostra ormai morto avviluppato dalle corde dei ramponi. Il capodoglio che nuota lontano dal Pequod non cerca la morte dei balenieri mentre Achab vuole la sua vendetta. Achab ignora per l’ennesima volta la voce della ragione e continua con la sua caccia sventurata. Poiché Moby Dick aveva danneggiato due delle tre lance che erano salpate per cacciarlo, l’imbarcazione di Achab è l’unica rimasta intatta. Achab rampona la balena, ma la corda del rampone si rompe. Moby Dick si scaglia allora contro il Pequod stesso, il quale, danneggiato gravemente, comincia ad affondare. Achab rampona nuovamente la balena ma questa volta il cavo gli si impiglia al collo e il capitano viene trascinato negli abissi oceanici dall’immersione di Moby Dick. La lancia viene quindi inghiottita dal vortice generato dall’affondamento della nave, nel quale quasi tutti i membri dell’equipaggio trovano la morte. Soltanto Ismaele riesce a salvarsi, aggrappandosi alla bara di Queequeg. Il romanzo di Melville ha notevolmente influenzato gli autori successivi dando origine a innumerevoli citazioni in altre opere e ad una ricca cinematografia. La caccia alle balene ai tempi di Melville era divenuta un’attività idealizzata, rappresentava la vitalità dello spirito americano che si espande sugli oceani e il conflitto primordiale tra l’uomo e le forze misteriose della Natura. Il viaggio diventa per Ismaele e per Melville alternativa alla morte, processo di accostamento al Vero. È impresa eroica, ma anche processo di colpa e punizione. Qualcuno ha sottolineato l’aspetto faustiano di Achab, il fatto che rappresenti la maledizione dell’uomo moderno, escluso dalla Natura che rimpiange; altri hanno visto in lui l’eroe folle di Byron e dei romantici, il superuomo o il dittatore che spinge una ciurma di automi al suicidio collettivo. Nel rispettare l’altro da sé e il mistero delle cose Ismaele è l’unico che si avvicini a capire la balena bianca e l’unico capace di sopravvivenza e di rinascita. Forse per questo è l’unico a salvarsi e a poter testimoniare. Moby Dick è per ciascuno ciò che vuol credere: per Achab l’incarnazione del male metafisico, per Queequeg uno dei demoni contro cui si deve lottare, per Ismaele una creatura ambigua come la Natura, benigna e malvagia, vulnerabile e allo stesso tempo immortale. Per Melville la lotta epica tra Achab e la balena rappresenta l’eterna sfida tra il Bene e il Male e Moby Dick il Male dell’universo. Ma la balena rappresenta anche l’Assoluto che l’uomo insegue e non può conoscere mai.
Deborah Mega
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