Dall’abisso alla rinascita
Se ci si aspetta una consueta pur se mirabile silloge di poesie da La profezia dei voli di Fernando Lena, edita da Archilibri nel 2016, si potrebbe restare inizialmente spiazzati perché è molto più avvincente e commovente di una raccolta poetica.
È un percorso di riabilitazione e di rinascita dopo aver attraversato la sofferenza e l’abisso di esperienze drammatiche, proprie e altrui. Si dice che la ‘scrittura’ in molti casi salvi la vita e così è stato; per l’autore, e non solo per lui, dedicarsi alla poesia è una forma di resistenza, di denuncia, è impegno civile e sopravvivenza estrema dell’umano. Fernando Lena, tra il 1991 e il 1992, ha compiuto il suo personale percorso di riabilitazione dalla tossicodipendenza in un manicomio criminale, quello di Aversa, sede di una comunità di recupero. Attraverso i suoi occhi, che descrivono altri percorsi individuali, quelli dei malati di mente, abbiamo modo di conoscere Intina, cinquantenne che ha scelto di non essere donna e abbraccia le bambole per difendersi dagli adulti, Ciro, rinchiuso per la sua diversità, Milena, che fuggire vorrebbe / o vivere volando, Peppino, che, prima del suicidio, serviva le messe domenicali del manicomio, adombrando d’imprevedibilità / ogni eucarestia. E poi Cecilia, che cerca la complicità di una favola, Paolino, grande tifoso di Maradona, Franz, il nano innamorato di una trapezista, Italo, che vorrebbe nascondersi nella valigia per uscire fuori dal manicomio, Suor Adelaide, che ha rischiato di morire dopo un’aggressione, Ernesto, il guardiano che ormai respira da prigioniero, Elisa che regala i suoi disegni, Eugenio confinato in manicomio per una meningite, Pietro che ingoia tabacco anziché fumarlo, e poi tanti altri, Lara, Claudio, Carlo, Matteo, Lisa, Lucrezia, frammenti di vita diversi dei quali Lena, da buon osservatore, chiarisce l’eterogeneità delle storie, tutte diverse eppure riconducibili a matrici comuni.
Lo sguardo del poeta è uno sguardo lucido e allo stesso tempo poetico sulla diversità e sulla solitudine, fa riflettere, spinge a superare il pregiudizio e l’indifferenza che emarginano più di quanto faccia il disagio mentale stesso. Tra tante incertezze, la follia è una certezza, scrive Lena, una carezza di Dio per chi ha vocazione al suicidio.
Il libro è composto da quattro poemetti, ordinati cronologicamente, come spiega lo stesso autore nella nota introduttiva. Trenta sono i testi che compongono il primo poemetto dal titolo La quiete dei respiri fondati, tutti contraddistinti da numeri romani. Ne seguono altri venticinque che costituiscono la sezione Quasi uno sprologo, anch’essa dedicata agli ospiti del manicomio, in cui il silenzio stritola al pari delle camicie di forza. Con obiettività emotiva, senza mai scadere nel sentimentalismo, Lena continua a descrivere uomini e donne che tentano di sopravvivere all’alienazione e all’annientamento.
La terza sezione è intitolata Sette giorni per amarti andata e ritorno, in essa si descrive un incontro che si sviluppa in sette giorni, quanti sono i giorni della creazione e vissuto attraverso la descrizione del paesaggio siciliano. L’ultima, che dà titolo all’intera raccolta, è la sezione in cui il lirismo di Lena raggiunge vette altissime, contiene una decina di testi tratti da raccolte precedenti e ispirati da alcuni dipinti del pittore Piero Guccione, scomparso di recente. Ai suoi settanta e ottant’anni sono dedicate in particolare le poesie Una baia di croci e L’Attesa. Rispetto ai fotogrammi in bianco e nero delle prime due sezioni, qui il linguaggio si fa immaginifico. Ricerca, colore, serenità, bellezza, armonia, luminosità sprizzano da queste poesie come dalle tele del maestro di Scicli, la cui arte è considerata da Lena parte integrante della sua poetica. Attraverso la testimonianza dell’autore è possibile cogliere l’ossimoro in molti luoghi della raccolta, vi ritroviamo morte/vita, buio/luce, sofferenza/gioia, abisso/rinascita, squallore/incanto, dolore/amore, tutti gli aspetti della realtà, che, come scrive Lena, ci inquietano allegramente, perché forse la vita è proprio questo, croce e delizia allo stesso tempo e nessuno, meglio dell’autore, può insegnarcelo.
Deborah Mega
Manicomio di Aversa
Sono le 22 di una sera d’ottobre un po’ gelida.
Davanti a me queste mura altissime
inquietano allegramente poiché la vera prigione
è il caos che mi setaccia dentro.
Leggo scritto Manicomio per giunta criminale
forse mi merito un luogo come questo chissà,
in cinque anni d’oblio ho smesso di credere
in ogni bellezza. Aversa sembra una città estroversa
un po’ però avvitata nei suoi vicoli
poi erge questo villaggio della follia
come un cuore che batte
nonostante la strage del silenzio.
Il padiglione 5 per un anno
diventerà il luogo della mia rinascita?
è difficile pensarlo
quando vieni circondato da corpi
vivisezionati dall’elettroshock,
da qui già si sente
l’odore estremo dell’emarginazione,
le mie vene lo conoscono
come conoscono l’alito dei cadaveri
mai del tutto seppelliti dall’indifferenza civile.
*
I
Siete il nulla
sotto il sole apatico
di questa trincea.
Chiusi come bestie
ogni giorno
ascoltate i passi per
capire dov’è
l’inizio dell’abisso.
A volte è una certezza
essere domati dalla follia
o solo un incubo
che vi abbraccia
con camicie interdette
stritolandovi di silenzio.
*
III
Intina da almeno cinquant’anni
vive intrappolata
nella coscienza di una bambina.
Tutto il giorno
vaga tra i padiglioni
abbracciando una bambola
come se fosse l’unica erede
della sua estraneità.
La domenica pranza con noi
esile come una creatura innocente
si ciba d’incanto…
Parola dopo parola
diventa sempre più libera
di abitare il suo poema apatico
ma pieno di bambole e silenzi
che pettinano l’ira impavida
dei suoi coinquilini…
La sua follia ha una logica
che la proietta nella libertà:
ha scelto di non essere donna
per contenere l’odore infernale degli uomini.
*
IX
L’urlo supera
il confine spinato
evade da ogni
camicia di forza
avvolta in un lezzo
di bestemmie
incredibilmente
mette in ordine
l’identità
delle lacrime:
qui non è il futuro
che spaventa
ma la dignità di un fiore
che cresce
nella giungla del piscio…
«fatti forza dice tra sé
ogni giorno il custode.
chissà perché la follia
è una carezza di Dio».
*
Lunedì primo giorno (tra notte e giorno)
Ore 6 Aeroporto Civile di Comiso…
Mentre l’aereo si è appena accasciato sulla pista
come un’aquila senza adrenalina
non riesco a smettere di pensare
che oggi è un giorno meno grigio
eppure confido nel presentimento.
Una settimana con una donna sconosciuta
intriga la noia pendolare del mio tassì.
Ma il suo dna appartiene a questa calma di palme.
L’albergo che ha scelto
è a pochi passi dal mare, qui a quest’ora
l’azzurro è immobile tra due barche
agli sgoccioli dell’orizzonte.
Incrociando i suoi occhiali scuri in ogni curva
mi perdo nel suo profumo francese. Abita in Belgio
anche se non ha l’aria di una turista metodica.
Notte, ormai è il pensiero del suo abito
avvinghiato alle forme il luogo più affollato.
Ibla è un via vai di studenti bagnati dalla birra
c’è allegria nei vicoli che si annodano come budella.
Lei lo avverte cercando con le labbra un po’ di quell’ebrezza.
I suoi sguardi sembrano forbici
mentre mandano in pezzi il manichino
che ha scippato la mia identità.
Nel vuoto più decentrato di urla finalmente
mi dice di chiamarsi Manila o semplicemente Mani.
*
(da L’ombra della sera)
Trasversale si pronuncia l’azzurro
sui parametri del mare,
riannoda nel buio la distanza dei padri
in un gomitolo di voce
sospesa nel martirio
come un angelo ad ogni svolta:
qui nessuna traversata
distingue la memoria con il cuore
soltanto lo spettacolo delle onde
regge il teatro della finta armonia.
Le nostre case sono ancora
geometrie di discordia,
tracciano lingue incerte
quando l’amore finisce nel ciclo
del tuo silenzio obelisco:
poi esili abitudini su un quaderno di pareti
vengono divise dal gioco dei profumi
dalla china e da una lettera di digiuno
quando esplode una fame di partenze:
Amsterdam un rocambolesco atterraggio
sui ponti dell’ego, poi la distanza.
Questa profezia dei voli adesso
è inchiostro che s’allaccia al vuoto
confessione di una goccia
partorita da nuvole sagge.
*
L’Attesa
Per gli 80 anni di Piero Guccione
Non come adesso l’attesa
avrà azzurri più affollati
di quattro parole
respirate da uno sguardo,
e forse a volte si cede
si rimane a metà
come i tubetti
nell’opera più inquieta,
così la materia prende gli occhi
Dio l’altra metà dei segni
tutti uguali all’apparenza
immobili, finalmente l’unica macchia
che un sogno di anni
copre con una prolifica verità.
Forse l’amore
è la pennellata più inscalfibile:
(non come adesso
conoscere la grandezza di un maestro
è ascoltarne il batticuore).
Testi di Fernando Lena, tratti da La profezia dei voli, Archilibri, 2016
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