“Tutto è uno” di Sergio Sichenze, edita per i tipi Terra d’ulivi nel gennaio 2020, nella collana di poesia Quindici per Quindici, comprende una trentina di componimenti puri, essenziali, espressi attraverso scarne ma suggestive parole di intensa efficacia simbolica e allusiva. L’epigrafe iniziale di Rainer Maria Rilke è tratta da Dir zur Feier del 1897: anche in quest’opera, ad una prima lettura, la prospettiva dell’autore sembrerebbe essere introspettiva e soggettiva. Fin dai primi versi la forma espressiva appare condensata ed enigmatica, tanto da far pensare ad una scrittura aforistica e ad uno stile solenne. Le risonanze contenutistiche però hanno senso solo se collocate in un testo continuo, a formare un canto coeso che abbia come oggetto il divenire incessante delle cose. La scrittura si collega a modelli di comunicazione come la sentenza morale, l’oracolo, appare dunque enigmatica, simile e aderente alla forma in cui la natura si manifesta. Occorre infatti riuscire a interpretare e a decrittare le indicazioni di natura forniteci dai sensi per cogliere il principio di armonia che è sottoposto alla trasformazione incessante della realtà fenomenica. I concetti fin qui esposti rimandano alle speculazioni del filosofo Eraclito secondo il quale “tutto scorre” (pànta rhéi). La Natura è allegorizzata, enfatizzata, ricorda la misteriosa foresta di simboli di baudelairiana memoria in cui scompaiono i limiti tra realtà e sogno e la separazione tra esperienza etica ed esperienza estetica o anche lo spazio interno del mondo, il Weltinnenraum di cui parlava Rilke. In Tutto è uno l’osservazione attenta della natura ha attivato un silenzioso percorso di conoscenza della propria realtà interiore, di introspezione che, risuonando dal fondo, si è aperto alla percezione sensoriale di cose, eventi, fenomeni e ramificandosi, è venuto allo scoperto come magma incandescente rivelando tempi e luoghi fortemente evocativi perché colorandosi delle nostre esperienze, acquisiscono senso ed esprimono un significato diverso per ciascuno di noi. Ogni parola, ogni verso conduce al successivo in modo inevitabile e coerente come passi su un sentiero nonostante tutto questo emerga solo dopo una lettura più accurata ed approfondita. La sintassi è semplificata, la punteggiatura ridotta al necessario, l’aggettivazione, frequentemente usata nei titoli (Rosa mistica, Verginale incanto, Incandescente dimora, Giovane folgore, Fortissimo grido, Antica pietra e l’elenco potrebbe continuare), è fluida e suggestiva. Dal punto di vista lessicale ho colto alcune forzature linguistiche dovute ad accostamenti arditi, a neologismi, a frasi nominali, a verbi intransitivi usati transitivamente.
Lo sguardo di Sichenze però si conferma terrestre. Coglie l’universo come un tutto riunificato e ricomposto: chi è in grado di contemplare in questo modo supera la frammentazione della realtà, la interiorizza acquisendo echi e richiami della natura e si immerge nelle cose terrestri con sentimento panico e con mani plasmatrici, ricche di energia e di calore umano e vitale. In una visione di questo tipo crollano le pareti tra Dentro e Fuori, tra Vita e Morte, tra tempo passato, presente e futuro. Il processo circolare di ritorno alle origini si è compiuto, non a caso l’ultimo testo della raccolta si intitola Origine. La morte stessa diviene premessa di ogni vita e della metamorfosi del divenire mentre avviene il ricongiungimento al mistero dell’esistenza.
Deborah Mega
*
Rosa mistica
Rosa
mistica tra le pieghe
di settembre l’ora
tradisce.
Sole
nel viola la notte
inganna: occhi nella bufera
guazzano.
Nera
stagione della pupilla
albeggia.
Respiro: le tue spalle
copro.
La scintilla
del frumento rinuncia
ricaccia.
Mare
dai grandi occhi
nella parabola del cielo
sconfina.
Ho appreso la riproduzione
dell’inatteso.
A Lecce
Sonno
ti sopravanza: sulla terra
tra due mari
dormi.
Nero fermo
del cielo ricolora. S’inazzurra
il fianco lunare.
S’assottiglia
l’aria: giovane
tempo folgora.
Tanto
Sfoggio la nostra
accumulata cecità
abbaglia.
Il tuo
respiro è un profilo
che ci ricalca.
Pensai questo tempo
d’avvenire.
Luce di neve
cadde.
Origine
Dio
è dentro l’Uomo
dicevano: vivere
è intimo corpo
che s’offre.
Fulmineo
scatto tra due vuoti: dubbio
da sventare.
Non dimenticare: il deserto
è ciò che ti farà
bere.
Incenso esistenza
cura.
Alcuna legge ha luogo in sé.
Essere noi, adesso,
è origine.
Testi tratti da Tutto è uno di Sergio Sichenze, Terra d’ulivi Edizioni, 2020
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