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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi tag: Sergio Sichenze

Sergio Sichenze, “Incantazione”, Màrgana Edizioni, 2020. “Un’interiorità tutta da esplorare”. Nota di lettura di Deborah Mega

08 lunedì Nov 2021

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Incantazione, Sergio Sichenze

 

“Incantazione” è il titolo dell’ultima fatica letteraria di Sergio Sichenze, edita per i tipi di Màrgana Edizioni nel 2020. L’ Incantazione è lo stato di chi si venga a trovare sotto l’effetto di una forza magica e meravigliosa: incantazione lunatica scriveva D’Annunzio, incantazione che mi predisponeva al prodigio, annotava Tomasi di Lampedusa. L’opera è nata durante l’estate del 2020, in pieno isolamento dovuto alla pandemia che ci ha resi isole. C’è un momento in cui il poeta, così come l’artista, si chiude la porta alle spalle, si libera di sovrastrutture, pensieri, maschere e corazze, e resta  in silenzio, solo con se stesso. Questa condizione di isolamento è la condizione migliore per osservare, mettersi in ascolto dell’altro, scrivere. Non a caso il primo testo reca il titolo di Quarantena. In esso è evidente il dramma dell’incomunicabilità rappresentato dalle spente parole e dall’assenza. E ancora una volta, dopo l’altra sua silloge “Tutto è uno”, ad incantare Sichenze è la natura in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue manifestazioni. Il mondo è spasimo, Bituminosa babele di sguardi. Unica a sopravvivere all’imbrunire è l’Isola, paradigma della condizione umana di quei mesi, non a caso parola ricorrente, nel corso della silloge, per ben quindici volte.

Citazioni tratte da Leopardi e dal Montale de “La bufera”, da Bufalino, da Foscolo, da Mascolo, da Tomasi di Lampedusa, da Biundi ma anche dalla Bibbia introducono i vari testi. La luna spesso è protagonista, come spettatrice indifferente direbbe Leopardi, come testimone comprensiva e partecipe dei fatti potremmo dire noi. Altro protagonista indiscusso e onnipresente il mare con i suoi abitanti e con i suoi nemici e predatori. I testi sono costruiti come raggruppamenti di haiku che fissano emozioni, immagini, stati d’animo. La successione delle parole cattura l’attimo fluente per divenire carezzevole verso figurato che coinvolge la sensibilità del lettore. Molto frequente è l’utilizzo dell’enjambement probabilmente per incidere  sul ritmo del componimento e focalizzare l’attenzione su lemmi particolarmente significativi. Il lessico è evocativo, ermetico, immaginifico, ricco di aggettivazione fluida e suadente e di costrutti a volte nuovi e inconsueti come  pallore / di nebbia alluna o mare fiotta, deserto mareggia, arcaici o letterari come tumultua, alluna, mareggia, oracola, s’azzurra, rammemora, s’acqueta, s’eleva, s’acquatta, s’abbuia, s’approssima, s’asseta, vorticano, s’acciuffa. Frequenti anche le citazioni classiche come Sovrumani silenzi, S’aduna o i neologismi come infinitudine. Nel caso di Sichenze poesia è fiducia nel potere di cura della parola, alla ricerca di libertà e autonomia interiore. Matura sempre di più in questo libro un sentimento di osservazione condotto ai massimi livelli e di attenzione all’anima verde del mondo. Ne consegue un senso di unitarietà e appartenenza al mondo che va oltre il suo aspetto materiale per coglierne l’essenza più profonda e vitale. Tale sentimento è presente nelle cose viventi, nella natura, negli esseri, nelle percezioni indefinite e indefinibili che si possono ricondurre all’intero universo, perfino nelle assenze e nei silenzi. Ecco dunque che l’apparente semplicità di questa scrittura non deve indurre in errore, non esiste cosa più difficile della semplicità che è possibile cogliere con immediatezza, puntando direttamente alle cose evitando di perdersi in spiegazioni e astrazioni che allontanerebbero dall’esplorazione e dalla descrizione di fenomeni ed eventi.

© Deborah Mega

 

Lampara

Notturne
rotte dorsale
spina delle acque
seguono.

Sentieri dai pesci
tramandati.

Spade e squame
nel mercurio
s’annidano.

Petrolio in luce
divina.

Malia: abbaglio
sovrasta.

Vita visione
aerea avvista.

Ombra
di mano agonica
catasta ripone.

Coltello riverbera.

 

Canicola

Diruto
muro: limacciose
acque stagne. Anossico
verde.

Riarso
mezzogiorno prodigio
di miraggio
matura: melassa
d’assenzio, vischiosa
colatura di deiformi
forme.

Rintocco
di campana aria
liquefa: cenere
di suono.

Fumosa
asprezza: luce
vapora.

Polverosa
mia terrena
canicola.

Irrimarginabile
memoria.

 

Sepolcri

Prigionia
d’inguariti volti.

Specola
senza sangue: calcite
carbonatica di marmo e
ossa.

Reciso
giardino, erbario
atrofizzato: tumulate
ombre.

Seriali
lapidi: scarni
solari raggi
rianimano.

Inabitato
spazio: volto
delle origini
assume.

Memoria: sacra
arca.

Lingue
della carne
parlano.

Marino
affaccio di verdeggiante
agave.

Non saremo
assenza.

 

Testi tratti da Sergio Sichenze, “Incantazione”, Màrgana Edizioni, 2020.

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Nota critica dedicata a “Tutto è uno” di Sergio Sichenze, Terra d’ulivi Edizioni, 2020

08 lunedì Giu 2020

Posted by Deborah Mega in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Sergio Sichenze, Tutto è uno

 

“Tutto è uno” di Sergio Sichenze, edita per i tipi Terra d’ulivi nel gennaio 2020, nella collana di poesia Quindici per Quindici, comprende una trentina di componimenti puri, essenziali, espressi attraverso scarne ma suggestive parole di intensa efficacia simbolica e allusiva. L’epigrafe iniziale di Rainer Maria Rilke è tratta da Dir zur Feier del 1897: anche in quest’opera, ad una prima lettura, la prospettiva dell’autore sembrerebbe essere introspettiva e soggettiva. Fin dai primi versi la forma espressiva appare condensata ed enigmatica, tanto da far pensare ad una scrittura aforistica e ad uno stile solenne. Le risonanze contenutistiche però hanno senso solo se collocate in un testo continuo, a formare un canto coeso che abbia come oggetto il divenire incessante delle cose. La scrittura si collega a modelli di comunicazione come la sentenza morale, l’oracolo, appare dunque enigmatica, simile e aderente alla forma in cui la natura si manifesta. Occorre infatti riuscire a interpretare e a decrittare le indicazioni di natura forniteci dai sensi per cogliere il principio di armonia che è sottoposto alla trasformazione incessante della realtà fenomenica. I concetti fin qui esposti rimandano alle speculazioni del filosofo Eraclito secondo il quale “tutto scorre” (pànta rhéi). La Natura è allegorizzata, enfatizzata, ricorda la misteriosa foresta di simboli di baudelairiana memoria in cui scompaiono i limiti tra realtà e sogno e la separazione tra esperienza etica ed esperienza estetica o anche lo spazio interno del mondo, il Weltinnenraum di cui parlava Rilke. In Tutto è uno l’osservazione attenta della natura ha attivato un silenzioso percorso di conoscenza della propria realtà interiore, di introspezione che, risuonando dal fondo, si è aperto alla percezione sensoriale di cose, eventi, fenomeni e ramificandosi, è venuto allo scoperto come magma incandescente rivelando tempi e luoghi fortemente evocativi perché colorandosi delle nostre esperienze, acquisiscono senso ed esprimono un significato diverso per ciascuno di noi. Ogni parola, ogni verso conduce al successivo in modo inevitabile e coerente come passi su un sentiero nonostante tutto questo emerga solo dopo una lettura più accurata ed approfondita. La sintassi è semplificata, la punteggiatura ridotta al necessario, l’aggettivazione, frequentemente usata nei titoli (Rosa mistica, Verginale incanto, Incandescente dimora, Giovane folgore, Fortissimo grido, Antica pietra e l’elenco potrebbe continuare), è fluida e suggestiva. Dal punto di vista lessicale ho colto alcune forzature linguistiche dovute ad accostamenti arditi, a neologismi, a frasi nominali, a verbi intransitivi usati transitivamente.

Lo sguardo di Sichenze però si conferma terrestre. Coglie l’universo come un tutto riunificato e ricomposto: chi è in grado di contemplare in questo modo supera la frammentazione della realtà, la interiorizza acquisendo echi e richiami della natura  e si immerge nelle cose terrestri con sentimento panico e con mani plasmatrici, ricche di energia e di calore umano e vitale. In una visione di questo tipo crollano le pareti tra Dentro e Fuori, tra Vita e Morte, tra tempo passato, presente e futuro. Il processo circolare di ritorno alle origini si è compiuto, non a caso l’ultimo testo della raccolta si intitola Origine.  La morte stessa diviene premessa di ogni vita e della metamorfosi del divenire mentre avviene il ricongiungimento al mistero dell’esistenza.

Deborah Mega

*

Rosa mistica

 

Rosa

mistica tra le pieghe

di settembre l’ora

tradisce.

 

Sole

nel viola la notte

inganna: occhi nella bufera

guazzano.

 

Nera

stagione della pupilla

albeggia.

 

Respiro: le tue spalle

copro.

 

La scintilla

del frumento rinuncia

ricaccia.

 

Mare

dai grandi occhi

nella parabola del cielo

sconfina.

 

Ho appreso la riproduzione

dell’inatteso.

 

A Lecce

 

Sonno

ti sopravanza: sulla terra

tra due mari

dormi.

 

Nero fermo

del cielo ricolora. S’inazzurra

il fianco lunare.

 

S’assottiglia

l’aria: giovane

tempo folgora.

 

Tanto

Sfoggio la nostra

accumulata cecità

abbaglia.

 

Il tuo

respiro è un profilo

che ci ricalca.

 

Pensai questo tempo

d’avvenire.

 

Luce di neve

cadde.

 

 

Origine

 

Dio

è dentro l’Uomo

dicevano: vivere

è intimo corpo

che s’offre.

 

Fulmineo

scatto tra due vuoti: dubbio

da sventare.

 

Non dimenticare: il deserto

è ciò che ti farà

bere.

 

Incenso esistenza

cura.

 

Alcuna legge ha luogo in sé.

 

Essere noi, adesso,

è origine.

 

 

Testi tratti da Tutto è uno di Sergio Sichenze, Terra d’ulivi Edizioni, 2020

 

 

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L’intervista a Sergio Sichenze: Tutto è uno

09 lunedì Mar 2020

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA E POESIA

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intervista, Sergio Sichenze, Tutto è uno

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La redazione ringrazia Sergio Sichenze per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: “Tutto è uno”, Terra d’ulivi edizioni, 2020.

  1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Una casa dove i libri costituiscono le pareti portanti è un buon inizio: così è accaduto. Non erano organizzati per autore o per genere: erano lì, a disposizione. Quello è stato il primissimo amore per la scrittura. La fascinazione derivante dal profumo della carta, toccare le copertine che percepivo fossero custodi di mondi e paesaggi sconfinati, e poi le parole. Il transfert emotivo sono state e sono le parole: forma e suono. Cardini sui quali scivola la porta che spalanca a epifanie. Leggere e quindi leggere, poi leggere e rileggere: la più concreta forma di scrittura, un flusso ininterrotto che ancora mi percorre.

  1. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

I primi vagiti di passione letteraria: Salgari e Verne. Sono autori che ti conducono magicamente nelle storie…e Kipling. Ricordo che quando vidi al cinema il mio primo film della Disney rimasi deluso, lo trovai sottotono rispetto alla magnificenza dei libri che in quel periodo maneggiavo. Fino al liceo sono stato bulimico, vorace, caotico: afferravo ciò che trovavo. Un libro, tra i tanti, mi scosse: “Ferito a morte” di Raffaele La Capria, soprattutto l’incipit: la caccia alla spigola nel mare di una Napoli che non avevo conosciuto. Poi i grandi classici latini e greci, l’epica omerica: irripetibile caleidoscopio di miti, dei, uomini e sentimenti verticali. Gli autori italiani che hanno avuto e continuano ad avere una notevole influenza sono tanti: Pavese, Fenoglio, Piovene, Pasolini, Arpino, Bernari, Carlo Levi, Primo Levi, Ortese, Nigro, Tobino, Silone, Tabucchi e altri. Un posto del cuore lo riservo a tre scrittrici: Natalia Ginzburg, Goliarda Sapienza ed Elsa Morante. Ma sono gli scrittori siciliani che mi hanno conquistato e decisamente orientato: Pirandello, Verga, Tomasi di Lampedusa, De Roberto, Vittorini, Brancati, Sciascia, Consolo e, con un sentimento di amore incondizionato, Gesualdo Bufalino: un uso della lingua incomparabile. Altri due autori rappresentano una luce costante: Gadda e Calvino. Quest’ultimo supera qualsiasi genere letterario, per affermarsi in uno spazio del pensiero e della riflessione attualissimo: non ha eguali. Da Calvino il passaggio a Borges è immediato, la magnificenza dei labirinti della mente, la rete inestricabile di storie: unico. Quindi Pessoa con i suoi eteronimi, nonché gli scrittori della letteratura ispanoamericana: Reyes, Paz, Cortázar, Vargas Llosa, Márques, Allende, Sèpulveda, Galeano, Mutis e altri. Degli autori transalpini contemporanei mi affascina Annie Ernaux. Ho richiamato solo alcuni scrittori che hanno incrociato la mia vita; alcuni di essi hanno intrattenuto un rapporto anche con la poesia (si veda Borges). È la poesia, però, l’amore di sempre, d’altro canto è il genere che sperimento. Qui si apre un discorso vastissimo, che circoscriverei così: la poesia classica greca e latina (Esiodo, Saffo, Virgilio, Catullo, Orazio); quella mistica araba e quella europea (includendo anche l’area russofona). La poesia italiana costituisce un ecosistema a sé, soprattutto perché non richiede traduzioni, ed è, a mio avviso, la vera palestra sull’uso della lingua: gli amatissimi Leopardi e Montale, due autori di formazione imprescindibili. Poetesse cruciali: Pozzi e Rosselli. Quasimodo, Sereni, Rebora, Campana, Cavacchioli, Luzi, Penna, Caproni, Gatto: in ordine sparso. Ungaretti: una sorta di trasfusione materna. Un salto all’estero richiederebbe un viaggio. Mi limito a Neruda e Hikmet, Zagajewski e Brodskij, Carver, Celan ed Éluard. Un posto speciale nella mia libreria l’ho riservato a Ritsos, Kavafis, Seferis ed Elitis. Le meravigliose Mistral e Plath. Fortemente Rilke. Desidero qui rammentare tre scrittori poco noti ai più: Dolci, Piccolo, Buttitta. Il primo libro di poesie che comprai con la mia “paghetta” fu “I fiori del male” di Baudelaire. Mi fermo!

  1. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

La scrittura nasce dall’urgenza irrefrenabile di mettere su carta il sé profondo, che nel mio caso si manifesta con la poesia: so cose di lui solo scrivendo! È sempre un ospite inatteso: arriva e si piazza in soggiorno, o in qualsiasi altro luogo che frequento, soprattutto durante i viaggi, negli spostamenti in treno: mezzo che frequento assiduamente. Pertanto, ciò che scrivo non può che non essere autobiografico. Parlo di una autobiografia emotiva, del mistero che in modo permanente mi abita. I luoghi hanno una grandissima influenza, sono segnatamente evocativi: scatenano un sistema complesso e intrecciato di stati d’animo e richiami mentali. Nonostante sono quasi quarant’anni che vivo in Italia del Nord, sono un uomo forgiato nel Sud del Mediterraneo: direi nelle sue acque. Vuol dire che la mia matrice, non solo biologica, ma soprattutto culturale, proviene da quell’ecosistema. Porto in me l’impronta della Storia che l’ha generato. La Sicilia, anche se nato a Napoli, è, senza alcuna incertezza, la mia terra d’origine. Più ciò che è, che è stata, il lunghissimo processo naturale e culturale che l’ha prodotta, è il suo inestricabile arcano che catalizza la mia passione. La terra che mi ospita da così lungo tempo è meravigliosamente boreale. Vi ho costruito un legame fortissimo, anche se non mi ha generato; intendendo con generare molto più e molto altro dell’esito biologico che determina la vita, mi riferisco all’ignoto di cui sono intriso. Mi sento a casa lì dove posso ascoltare la sua voce.

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

“Tutto è uno” è un libro che viene da lontano. Lo considero un approdo, potrei dire che incarna il mito di Ulisse. L’epica omerica ci restituisce un eroe e, al tempo stesso, una figura umanissima che sferza i suoi compagni e sfida l’universo deiforme in quanto in lui agisce la nostos. Il ritorno a casa, nella mia epica, è il ricongiungersi al mistero dell’esistenza, cui prima ho fatto cenno. Il titolo richiama Rilke ed Eraclito. Rilke, di cui riporto in introduzione una quartina, sviluppa nel corso della sua poetica la dimensione olistica dell’esistenza, propria di Eraclito. L’unità è matrice di diversità, ma non smarrisce mai la sua natura spirituale. Non intendo attribuire a ciò un significato religioso, semmai mistico, che dal verbo greco “myein” significa celato, intimo, nascosto. L’essenza. È una riflessione che ha richiesto un lungo processo di consapevolezza e di maturazione, che inevitabilmente proseguirà. Anche se in questa silloge poetica c’è completezza di pensiero. Tutto ciò ha trovato compimento in un momento preciso della mia vita, un’epifania che ha fatto emergere un codice sacro che si è palesato nei versi.

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Il contemporaneo ci mostra un mondo frammentato, parcellizzato, carico di timori e confuse aspettative: seppur inneggiato come globale. Assistiamo inermi, spesso sopraffatti, a eventi planetari che non siamo in grado di decodificare. Immersi in un flusso che sembra trascinarci verso l’ineluttabile, senza avere la possibilità di esercitare la nostra scelta individuale. Una bufera nella quale smarriamo i punti di riferimento. Il mio libro può offrire una sosta, contribuire a riappropriarsi del senso spirituale dell’unità. Rimarco che si tratta di una silloge profondamente laica, che non cede alla semplificazione dogmatica, ovvero a un pensiero che tende all’unificazione del vero e alla separazione dei credi. Il tempo dedicato al consumo ha di molto superato il tempo del sacro, all’inclinare lo sguardo verso i valori fondativi dell’umano, della consapevolezza dell’esistenza. Proverei gratitudine verso coloro che volessero leggermi, tenendo a mente le argomentazioni fino a qui espresse.

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Alcune idee le ho già tratteggiate: è un libro che affonda le sue radici in uno spazio temporale indefinibile. Concretamente fogli e penna si sono incrociati nel mese di luglio del 2019. Non poteva che essere così: l’estate è per me stagione rigogliosa. La metà di quel mese l’ho trascorsa nel Salento, che mi ha offerto doni che hanno contribuito a chiarificare le acque che mi attraversavano. Molti versi hanno trovato forza e linfa proprio lì.

  1. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

Diciamo che il movimento tellurico ha avuto un’attività effusiva copiosa e ininterrotta, anche se la lava scorreva sottostante da chissà quanto tempo. I versi non si presentano però come rocce magmatiche, ovvero non sono una massa amorfa, nera e inospitale, a seguito di un raffreddamento rapido a contatto con l’aria, semmai sono rocce sedimentarie, con precisa stratificazione che consente la lettura della Storia che le ha formate. In generale, e anche in questo caso, non ho orari, o momenti della giornata in cui prediligo scrivere. La mia modalità percettiva dominante è la vista. In quanto soggetto visivo, immagazzino frammenti di immagini che continuamente si ricompongono, fino a formare la parola. È un processo inarrestabile. Poi c’è la fase lenta del tramonto, dove tutto si stempera e lentamente si focalizza ciò che trasferisco nei versi.

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

L’immagine di copertina, la carta, il formato, sono opera di Elio Scarciglia: editore e grafico eccelso. Ha colto l’essenza, e di questo gliene sono molto grato. Forma e contenuto costituiscono un unicum che ha un valore simbolico ed evocativo determinante. Quando accade ciò, si conferma l’assoluta insostituibilità del libro: oggetto di intensa fascinazione.

  1. Come hai trovato un editore?

La mia collaborazione con Terra d’ulivi edizioni è iniziata nel 2018, allorquando Elio Scarciglia mi ha coinvolto, in fase ancora embrionale, nell’avventura di Menabò: quadrimestrale internazionale di cultura poetica e letteraria. Lo scambio continuo di idee e la condivisione d’intenti, di progetti e obiettivi comuni, hanno prodotto l’humus ideale per creare un libro assieme. Ritengo, infatti, che un libro non è un prodotto commerciale, semmai uno strumento culturale che diventa, una volta lasciato il porto sicuro, un messaggero di princìpi e valori, un contenitore di mondi da indagare. In questo lavoro sperimentale, autore ed editore concorrono paritariamente a imprimere la propria visione. La dimensione finita appartiene ai lettori nella loro difformità. È quello che accade durante il viaggio che ha valore.

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

La poesia, meno della narrativa, è ed è stata oggetto di classificazioni di genere, e risente degli orientamenti dei diversi periodi storici. Tale aspetto, questa volta rimarcando una sostanziale differenza con la narrativa, difficilmente la registro nel pubblico al quale presento i miei libri: la poesia è la poesia. Noto posizioni dicotomiche, che si identificano talvolta con il gusto: mi piace o non mi piace. Bella o brutta. Molto spesso: mi ha fatto emozionare e quindi pensare. Nelle librerie, inoltre, lo scaffale (uso non caso il singolare: ahimè!) dedicato alla poesia si presenta in modo caotico, qualche volta organizzato per autore, mai per genere. Nell’epoca dei social, però, leggo molte più citazioni poetiche che di narrativa. È uno spaccato che mi incuriosisce. Mi rivolgo a chiunque abbia voglia di aprire un libro e leggere dei versi, portarseli a casa, farli viaggiare, riporli e magari rileggerli dopo molti anni, farne dono. Sono convinto che la poesia non si consuma, non perde di attualità e continua a mordere la vita, o a baciarla.

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Questo è un aspetto che denota fragilità. La mia natura riservata, la scarsa propensione a essere un animale da social media, sicuramente penalizza la promozione. Devo dire però che, anche se lentamente, riesco a veicolare i miei libri attraverso micro reti territoriali e sociali. Sto scoprendo strati di realtà a forte connotazione partecipativa: ciò mi rassicura. Il rapporto diretto con le persone mi vivifica, è un antidoto alla sciatteria e brutalità dei luoghi comuni, alla masticazione ripetitiva e seriale degli stereotipi. Anche questa intervista s’inscrive nel solco delle relazioni vivificanti, così come l’apprezzamento di amici scrittori e poeti ai quali l’ho inviato.

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa).

La silloge è stata costruita in modo evolutivo. Segue un flusso non temporale ma di elaborazione di pensieri che via via si sono dipanati. La potrei definire un tappeto, dove l’intreccio dei fili, la mescolanza dei colori, l’attenta scelta dell’orditura, ha consentito l’emersione di una raffigurazione complessa. Le chiavi di lettura sono molteplici, segnatamente soggettive. Ciascuno può costruire la propria realtà, la quale potrà mutare al mutare delle percezioni. In tal senso l’ultima poesia che s’intitola “Origine” fornisce il senso di circolarità della silloge. I versi di chiusura sono per me rappresentativi di questo lavoro: “Alcuna legge ha luogo in sé / Essere noi, adesso, / è origine”.

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

La raccolta costituisce un elemento di cambiamento e di conferma del mio percorso letterario. Di cambiamento in riferimento alla struttura e alla maturazione poetica, di conferma in quanto è da qui che desidero ripartire. La percezione è quella di aver costruito un setaccio con nuove maglie, che spero mi aiuteranno a filtrare e selezionare in modo diverso il divenire esistenziale. L’aspettativa verso l’esterno, quella a cui tengo maggiormente, è che diventi uno strumento di confronto e discussione, non tanto e non solo sull’opera, quanto sul contributo che spero potrà fornire alla riflessione sul nostro tempo. La poesia ha svolto sempre una funzione nelle società, non contemplativa o accademica, semmai di presa di coscienza della condizione umana. Poeti quali Hikmet, hanno subito il carcere, o sono stati uccisi o fatti sparire: quando un regime cerca di tappare la bocca a qualcuno, una delle prime voci a cui si rivolge è quella dei poeti. Scriveva Pablo Neruda, sulla cui morte c’è ancora un fitto mistero in merito al coinvolgimento del regime instaurato in Cile da Augusto Pinochet nel 1973: “Guardatevi in giro, c’è una sola forma di pericolo per voi qui: la poesia!”

14. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

Apporre un punto interrogativo al titolo di quest’opera: Tutto è uno?

Siamo stati forgiati per esprimere complessità, eppure assistiamo a una linearizzazione del pensiero, all’affermarsi di visioni assertive, dove le certezze soppiantano l’indefinito, lo sfuggente senso dell’esistere. Se da un lato sostengo che “Tutto è uno”, dall’altro il senso di tale unità si cela. Ne “La Repubblica”, Platone parte dal principio che la conoscenza sia proporzionale all’essere: è perfettamente conoscibile ciò che è massimamente essere, al contrario, è assolutamente inconoscibile il non-essere. Tra essere e non-essere, esiste una realtà intermedia, il sensibile. Porrei, dunque, sempre il mistero quale antidoto all’irrimediabile realtà. Italo Calvino, avvertiva i lettori di essere diffidenti della sua biografia, soprattutto se redatta da lui. Un modo mirabile per dubitare anche dei fatti che costellavano la sua vita, quali immagini vaghe, pronte a disparire sotto i colpi della bufera.

15.Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Sto lavorando a un progetto poetico che cerca significato e senso in merito a un tema a me molto caro: le isole. C’è un’isola reale in questo lavoro che assurge a paradigma universale. L’isola però è anche il poeta. Nel discorso di premiazione tenuto in occasione del conferimento del Premio Nobel per la letteratura, Wislawa Szymborska, disse «fino a non molto tempo fa, nei primi decenni del nostro secolo, ai poeti piaceva stupire con un abbigliamento bizzarro e un comportamento eccentrico. Si trattava però sempre di uno spettacolo destinato al pubblico. Arrivava il momento in cui il poeta si chiudeva la porta alle spalle, si liberava di tutti quei mantelli, orpelli e altri accessori poetici, e rimaneva in silenzio, in attesa di se stesso, davanti a un foglio di carta ancora non scritto. Perché, a dire il vero, solo questo conta». Esseri isolati è una condizione duale, perennemente oscillante tra il sé e l’altro, e come altro intendo le molteplici dimensioni dell’esistere che rimandano al sé: una ricorsività pregnante. Le isole sono paradigmi di tale condizione. Corrispondono a una delle forme che può assumere il mito. Il poeta, dunque, si trova a suo agio a sperimentare tale materia, sempre in bilico tra indefinito e realtà, senza mai avere la tensione a risolvere l’enigma, anzi a rafforzarlo.

Sergio Sichenze è nato a Napoli nel 1959. Vive e lavora a Udine. Ha pubblicato racconti e raccolte poetiche, tra cui “Nero Mediterraneo” (Campanotto Editore, 2008), “BOBBIO Y MOSTAR” in “La natura dell’acqua: almanacco di letteratura rinnovabile 2011” (Marcos y Marcos Editore, 2011), “Nei chiaroscuri del tango” con Elisabetta Salvador (Campanotto Editore, 2018), “Il futuro cede al ritorno” (Convivio Editore, 2019), “Tutto è uno” (Terra d’ulivi edizioni, 2020). Sue poesie compaiono in alcune raccolte. Nel 2018 ha vinto il Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio. Dal 2019 è membro della giuria Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio. Fa parte del comitato di redazione del quadrimestrale internazionale di cultura poetica e letteraria “Menabò” (Terra d’ulivi edizioni) per il quale cura la rubrica “Pi greco”.

 

 

 

 

 

 

 

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