Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di

NICOLA GRATO

e mia madre pregava a bassa voce
si faceva la croce ripulendo
il tagliere di legno dalle bucce
di zucchine, melanzane, cipolle;
credo sperasse in qualcuno o qualcosa,
forse anche in una povera salvezza
in una brezza fina e senza corpo
nel canto corroso del corvo nero
nelle spine in fiore del maggio pieno.

*

tra le tue cose una rosa
secca di santa Rita –
tra i medicinali scaduti
le ricevute di cambiali
gli incartamenti colorati
dei regali, biglietti
d’auguri per Pasqua e Natale
spediti da Forlì;
una rosa, povera cosa –
riposa da lungo tempo
tra le pagine gialle
di un libretto delle ore:
passita nel silenzio
nel bruno del tempo
passita povera cosa
in una giornata di giugno
afosa,
fiore devoto –
la vita dei vecchi,
al suono dei tasti
una Olivetti
nei cerchi di fumo del tempo.

*

la pazienza dell’insetto
o della pietra all’acqua
dei millenni nello sguardo
tuo al mattino;
concia di guerra e fame
di pane duro e asciutto
d’aria chiusa nel rifugio
antibombe – e i tuoi morti
teatralmente in posa
sul palcoscenico del comodino.
Chiama da un altro dove
quel marinaio fuggito
– tu attenta e sognante
sulle carte bollate,
sulle bollette pagate –
m’insegnavi pietà
per le cose perdute.

*

Peppino, nome di un ragazzo
di due secoli fa:
Palermo di miseria,
di bombe, di pane duro
e cimici: tessera annonaria –
un punto al giorno come un colpo
al cuore, gli occhiali
di tartaruga fissi sulla settimana
enigmistica. Ti ricordo senza
averti conosciuto, ventura
dei poeti: esisti nei versi,
apostolato delle vite di dura scorza,
mercede della memoria –
storia che si fa soffio di canto,
quiete di un giorno di luglio.

*

canto e accompagnamento,
tempo che dalla prima
fessura del mattino
è cammino, mungitura
fino a che scura –
ma la sera Fanuzzo
suonava la cromatica
e nessuno sa che lui esiste
che la musica la sognava
di notte e l’amava
sulla tastiera; lui è un paese,
un volo di rondini
nel maggio… Erano
primavere mesi anni
di fatica: la faccia
gialla d’una spiga non matura
se non accalda,
se non la guarda
l’occhio dritto del sole.

Testi tratti da Inventario per il macellaio, Interno Poesia Editore, 2018

*

restare qui 

la lumaca

il bambino ha schiacciato la lumaca,
lava e stende lenzuola la signora
sulla strada; qui in paese passa il tempo,
passa quello della verdura e grida
cacuocciuli chi su belli. Il bambino
la guarda la lumaca che ha schiacciato,
gli fa pena, ritorna col sorriso
di chi l’ha combinata molto seria.
Violenza è questo fare
finta che non sia successo nulla,
abbozzare, chiudere le persiane
spegnere lumi e occhi, dormire a sonno
pieno. Ma no, non è così, perché Sara
difende un’idea, quella di passeggiare
a schiena dritta e sguardo fiero
di andare a letto col cuore leggero

*

un paese, anni fa

 

gli innesti che portava

nel tascapane verde

e una lepre raminga –

tempo al tempo, luce

del cosmo in un secchio

di plastica sbiadita;

il pruno attecchì a fatica,

non il mandarino nano

dono di Enzo che se ne andava –

una spiga il ricordo,

una canzone antica

*

lettera a Nino

 

come quell’ombra scura, quel pensiero

di te e di tuo fratello, era l’estate

forse l’inverno ma ora è un pensiero

di lui al bar o in campagna, la zappa

sulla carriola a fine giornata.

Per le tempeste le donne gettavano

pezzetti di panuzzo benedetto

sui tetti, forse sperando al bello,

a un cielo terso e fino, profumata

l’aria come la manta della babba

santa nelle domeniche d’aprile.

La morte, caro Nino, è quando uno

che prima c’era al bar ora non c’è –

l’uomo col gilet da cacciatore

non ritorna più dalla passeggiata,

hai buttato la domenica quiz

ritrovata tra giornali e scartoffie.

La morte fa l’inchino, guarda dalla

buca quel vecchio pazzo che non ha

lasciato casa dopo l’alluvione;

gioca con gesso e stecca, lo prepara

bene il tiro: occhio, sponda, palla dentro –

ride il bambino al sole di novembre,

sempre canzoni alla radio al pomeriggio,

chi non c’è fa ressa nel nostro cuore,

hai le parole ma voti al silenzio

il giorno, l’ora trascorre sui nidi

sotto i balconi di rondini e cade

dove non sai. C’era tuo fratello,

vita in borgata, poi la limonata

del pomeriggio: il corno che suonava

era il segnale, tutti aspettavate

l’uomo coi baffi e col grembiale bianco,

avrebbe dato il gelato, il biscotto –

mentre accendeva l’orizzonte il faro

del porto, tanto lontana nel sole

era Palermo: acceso spento acceso,

e tuo fratello scappava nel vento.

*

domenica a Polizzi Generosa

i nati sono pochi, i morti aumentano,
Polizzi Generosa è foglie e vento –
da un bar coi fiori nuovi e le piantine
La cura di Battiato, dai saloni
Proraso e brillantina. Le persone
però quelle non ci sono, fa vuoto
il vuoto di parole nei paesi,
sui calendari il mese resta fermo,
lo scemo col vestito cerimonia
sorseggia la gazosa al tavolino,
il pomeriggio
sa di insegne antiche e di limone
e acqua per combattere calura
e sangue amaro. Ma fa male il cuore
se domani uno parte e uno muore.

*

il tramonto a Punta della suina

 A Danilo Lupo

il tramonto a Punta della suina

colora di rosso e blu sabbia e scogli:

trema di voci, conchiglie, posidonie

questo mare –

davanti alle prime luci di Gallipoli.

Qui penso a mio padre: lui che al mare

non voleva mai andare, che amava

il silenzio ciarliero dei boschi

le poste all’alba a conigli, lepri, pernici.

Ricordo quando stava lungamente

in silenzio in queste ore che le parole

non possono dire, ma le campane –

e passi incerti, ché l’ombra s’allunga

in ogni dove, e già ci sono le stelle.

 

Nicola Grato, testi inediti