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La cultura della società moderna, fondata sulla produttività e il denaro, non lascia spazio all’individuo, al suo bisogno perennemente inappagato di amore, di autenticità nei rapporti con se stesso, con gli altri e la natura. Ne consegue che da poeta autentico, la condizione di Guglielmo Aprile è a volte quella di un esule, in Esilio delle cicale (“… un dio indicò in questi alberi il suo perenne esilio “(pag.6), quasi a sottolineare un percorso poetico, come fondamentale momento di un cammino.
Così il poeta si contrappone al movimento frenetico della città e scopre in sé una tensione alla ricerca della Terra promessa “Siamo anche noi così, inseguiamo/ quellaterra che odora di miele/ quando il sole la sfiora, anche se/ ignoriamo dov’è che sia,e se” (Terra promessa, (pag. 89). Il titolo della raccolta Il sentiero del polline, sembra mettere a frutto, come Baudelaire, le letture del mistico svedese Emanuel Swedenborg, interprete di una forma di “misticismo cosmico” che vede nella natura un insieme di corrispondenze da decifrare. La struttura della raccolta rivela una precisa volontà costruttiva. Infatti Aprile ha inteso organizzare la sua opera poetica in una raccolta organica, che non nasce dalla semplice stratificazione di singoli testi ma è concepita secondo una struttura rigorosa, frutto di un continuo lavoro di labor limae. Il sentiero del polline è suddiviso in sette sezioni che testimoniano una direzione di ricerca in una riflessione sul rapporto tra realtà e di una tendenza all’evasione fantastica in epoche o contesti passati (Creta del tempo)e già dalla prima sezione (L’inquieto mare) è subito evidente il valore polisemico del mare quale emblema di una natura capace di rigenerazione e di rinascita: “Scava il morso dell’onda nella pelle/ della scogliera, ne erode le falde/aprendo grotte ampie come bocche/ di piovre…” ( pag.9).

Il risultato finale è una struttura all’insegna della varietà ma anche di un’intima coerenza e in Ogni cosa è in cammino (pag.71), il poeta dichiara con un costante controllo sulla forma, fedele a un registro ragionativo: “Sonnambuli procediamo ma è presto/ chiedersi verso dove, lo sapremo/ solo una volta arrivati”. È chiaro che Aprile si riferisce alla condizione dell’uomo moderno smarrito, privo di certezze in una situazione esistenziale di alienazione e di incapacità a comunicare, tuttavia alla ricerca del senso profondo di una realtà sempre più labirintica, in cui il poeta non cessa però di ricercare la presenza di un
principio ordinatore. È subito evidente il valore polisemico del percorso nella sezione A piedi, per i campi e in Arabesco (pag. 14) “Camminando decifro/ gli indizi incerti, che dita di luce/ tra gli alberi disseminano:/piste nascoste, fuggevoli tracce/ verso un paese d’oro e di chimera”. Nella descrizione del paesaggio silenzioso e immobile, il poeta si sente a proprio agio, dove gli indizi, gli alberi, le piste e le tracce sono lo scenario in cui egli compie la propria ricerca e dove all’improvviso, può apparire una presenza rivelatrice, ma l’accesso a una rivelazione, non diventa come un sigillo di separatezza, ma qualcosa di intimamente umano, una consapevolezza che diventa una ragione per ricongiungersi con gli altri.

Dietro questa ricerca di poetica dell’umanità c’è dunque l’assoluto bisogno, privato, personale da parte di Aprile di trovare una via di comunicazione con l’altro ma che viene a coincidere con una sofferenza di tutte le cose e con una situazione universale. Così esprime più esplicitamente il leitmotiv del suo progressivo itinerario spirituale e anelito alla terra promessa “Ognuno ha la sua terra promessa/ da cercare, essa è là dove si incontrano/ le rughe che solcano il cielo/ e appena il vento le scioglie svanisce. L’ obiettivo dunque della ricerca di Aprile, in un itinerario continuamente sospeso tra ieri e oggi, diventa occasione per ritrovare il senso dell’esistenza, rivalutare la dimensione della memoria per tentare di vincere la solitudine e inaugurare una comunione più piena con gli altri uomini, anche se il momentaneo trionfo del cielo appare minacciato dall’incombere del vento che dissolve. In Eterna danza appare evidente la presa di coscienza della fragilità dell’uomo, ma anche della necessità di superarla come unica via per restituire quel poco che può dare consolazione all’ anima del poeta: “Le insegne dei bar già accese alle sei del mattino / custodiscono un segreto/ che resterà inviolato da qui a tremila anni;/ l’uomo non si arrende/ alla Sparta dell’erba che si fa polvere…”.

Maria Allo

Creta del tempo( pag.6)
Scava il morso dell’onda nella pelle
della scogliera, ne erode le falde
aprendo grotte ampie come bocche
di piovre, squarci, faglie che si allargano
in forma di neri fiori di roccia;
fino a che un blocco si stacca e dà origine
a un nuovo scoglio, che somiglia a un pugno

chiuso sull’acqua, di tufo; e il tufo era
vivo un tempo, era magma, e dalle viscere
della terra sgorgava, era il suo sangue
poi rappreso e scolpito in varie fogge:
idoli informi, teste di ciclopi
o schiene di odalische: creta arresa
al bulino delle ere, allo scalpello
di venti ed acque, fabbro millenario

Arabesco ( pag.14)
Fogliame dei platani, lune falcate
inventano sull’erba
un mobile arabesco,
il sole filtrando tra i rami
lo tesse e poi disfa, incessante.
Camminando decifro
gli indizi incerti, che dita di luce
tra gli alberi disseminano:
piste nascoste, fuggevoli tracce
verso un paese d’oro e di chimera

Ogni cosa è in cammino (pag. 76)
Anche nei tempi di siccità,

quando il coro dei sassi smentisce ogni promessa d’acqua
ed è unanime l’ingiallire delle stoppie,
tu avanza e non chiederti dove,
segui solo il lampo, laggiù
sui colli turchini che danza;
come gli elefanti che aspettano prima o poi la pioggia,
fedeli ai loro millenari
greti d’ossa.
Sonnambuli procediamo ma è presto
chiedersi verso dove, lo sapremo
solo una volta arrivati

Grido che si alza ovunque (pag.92)

Se anche fosse appurato
che in fondo al pozzo dell’uomo non c’è
nessun oro promesso,
continueremmo a scavare, a stanare
sotto la pelle tracce che conducano
al petrolio di un dio: ombelichi
che attraverso il sangue tortuoso
sbocchino su un relitto
precipitato secoli fa in mare,
custode dei giacimenti di Andromeda.
Ed anche l’erba insorge
contro l’asfalto dall’ingiusto braccio;
e in ogni onda una bestia ferita

si dibatte, ribelle
a un olocausto che gli scogli officiano
sul loro mai sazio altare rombante

g-aprile (1)

G.A. è nato a Napoli nel 1978 e attualmente vive a Verona. È stato autore di diverse raccolte di poesia, tra cui “Primavera indomabile danza”, 2014; “Calypso”, 2016; “Il talento dell’equilibrista”, 2018; “Teatro d’ombre”, 2020; “Il sentiero del polline”, 2020,”Falò di carnevale”, 2021; ha inoltre collaborato con alcune riviste accademiche tramite studi critici su autori e testi della tradizione letteraria italiana.