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U R U G U A Y

L’IMMAGINE

(1914)

José Pedro Bellán (1889-1930)

Traduzione di Emilio Capaccio

È stato drammaturgo, per il quale è maggiormente conosciuto, insegnante in varie scuole e corsi serali, scrittore, politico, esponente del partito “Colorado”, uno dei partiti politici che ha governato per più anni il paese. È stato deputato dal 1926 al 1930. Ha fatto parte del movimento artistico e letterario che ha dato vita, nella città di Montevideo, alla rivista “Bohemia”, pubblicata dal 1908 al 1910, diretta da Louis Alberto Lista e, in seguito, da Edmundo Bianchi. Le sue opere teatrali e le sue raccolte di racconti rispecchiano in prevalenza la corrente del realismo con grande capacità di introspezione dei personaggi, affrontando tematiche attinenti il puritanesimo, il ruolo della donna, l’educazione cattolica, e la cultura borghese. In generale, i personaggi di Bellán, spesso, si fanno portatori di conflitti interiori che scaturiscono dal nuovo modello spaziale di aggregazione sociale, che è la grande città, degli inizi del ‘900 a scapito dell’ambiente rurale. Il racconto proposto è tratto da una delle prime raccolte: “Huerco”.

In una delle ultime casette del barrio dei pescatori, quasi sulla riva del mare, il vecchio Leopoldo, settantenne, fuma la pipa carica di virginia (1). Davanti a lui, la moglie del figlio, pungolata da un pensiero tenace, rammenda una calza grigia bucata sul tallone. Restano così per molto tempo: muti, senza guardarsi, come se fossero soli. Certamente hanno lo stesso pensiero.

La tempesta non si ferma. Per tre ore ha sconquassato il barrio e lo ha riempito di paura.

Il mare è una tempesta immensa che stordisce. I suoi promontori d’acqua durano per un istante, convulsi, inquieti, poi crollano nello stesso momento. Sembrano ribollire.

Tutte le barche sono tornate fuorché una.

— Maria ci mette troppo, dice Leopoldo, rompendo il silenzio.

Si riferisce alla nipote di dieci anni, una bella bambina con gli occhi azzurri, bianca e delicata. L’hanno mandata già tre volte a chiedere notizie e per tre volte ha cercato i compagni di suo padre, i pescatori salvi, implorandoli di riferire qualche informazione, anche la più semplice, la più insignificante.

Quando è tornata, ha risposto nello stesso modo delle volte precedenti.

— Nessuno sa niente… nessuno lo ha visto.

Si è seduta vicino al tavolo e vi si è appoggiata. Le sue piccole mani esangui si sono congiunte come in preghiera.

La scena si è ripetuta. L’immagine fredda del raccoglimento stretto alle cose ha permeato la stanza. È passato un po’ di tempo.

Leopoldo parla di nuovo. La sua voce si fa inquieta e spaventa.

— Questo vento!

Elena ascolta con ansia. Poi, spinta dai suoi pensieri, domanda:

— Quanti erano nella barca?

— I soliti. Lui e i due ragazzi.

Si ferma. Poi sbotta:

— Una volta sono quasi annegato.

Elena chiede con interesse:

— E come vi siete salvato?

— Ascolta tu stessa. Era notte. Il vento si infilava tra il velame in una maniera tale che ebbi paura avrebbe rovesciato la barca. Allora mi legai a essa, annodai le corde agli anelli e, non potendo sciogliere le vele, le squarciai con il coltello. In seguito, stemmo più di sette ore sulla barca, come su una boa alla deriva. Un vaporetto ci soccorse.

— Se solo Renato avesse quest’idea – dice Elena, con l’immaginazione che corre.

— Sì… lui sa di queste cose…

Elena non pensa che lui lo sappia; ha dato uno sguardo attento al suo passato e non ricorda che Renato abbia mai parlato di qualcosa di simile. Da ciò intuisce che non saprebbe salvarsi e un’angoscia più grande le preme sulla gola. In tutto questo, la bambina sembra addormentata sul tavolo.

Senza rendersene conto, Elena giunge a una crudele tenerezza. Esclama tristemente:

— Povero Renato… ricordate quando vi siete andato in collera con lui? Nessun figlio si sarebbe comportato così.

— È vero ragazza, avete ragione. Ricordo anche che in seguito ho pianto per la prima volta. Che cuore!…

Elena continua:

— Non se la prende mai per niente. Vedeste la guerra che gli fece mio padre. Tuttavia, dopo che ci siamo sposati, Renato non ha smesso di fargli favori. Se n’è preso cura e lo ha mantenuto. Si può dire che mio padre ha vissuto a sue spese.

Ora non riesce a trattenersi. Emette un singhiozzo.

— Andiamo ragazza; non c’è motivo di piangere…

Entrambi si fanno silenziosi per paura di farsi prendere troppo dall’inquietudine. Leopoldo afferra un palangaro e lo svolge quanto gli consente lo spazio intorno a lui. Dopo lo rimette a posto, controllando amo dopo amo, sughero dopo sughero. Qualcosa di strano passa attraverso il palangaro, tra le sue dita febbrili.

Elena mette da parte il rammendo senza rendersene conto. Guarda il vecchio e lo osserva a lungo con ansia, cercando una risposta alla sua muta domanda, insistendo su quel volto rinsecchito che resta tranquillo. È convinta che il vecchio lo sa, necessariamente. Trent’anni in mare, non gli danno il diritto di conoscerlo bene?…

Si alza e prendendolo per le spalle gli dice in una supplica disperata:

— Voi lo sapete… voi lo sapete…

Il vecchio spalanca gli occhi per lo stupore. In quel momento il suo Renato è un ragazzino che ha appena finito di gattonare, che ha disordinato tutto rompendo i ninnoli, che dice, mamma, papà, e che piange quando non lo baciano. Tarda solo pochi secondi per capire cosa vuole quella ragazza. Allora il rude scuotimento gli fa umidire gli occhi, e risponde in modo ottuso:

— Non lo so… come faccio a saperlo?…

Questa volta è lei a usare parole di conforto.

— Ora siete voi che vi ponete male — dice affettuosamente. — Aspettiamo. È possibile che non sia accaduto nulla di grave.

Ma, sentendo che Leopoldo respira violentemente, continua con maggiore tenerezza:

— Calmatevi… vi farà male. E poi… Maria è lì. Se si svegliasse e ci sorprendesse… La povera piccola è felice dormendo.

Leopoldo bacia la ragazza e lei si siede al suo fianco, sfiorandolo quasi con la gonna. Così, messi uno accanto all’altro, si sentono meglio.

Tornano a parlare di Renato. All’inizio lo fanno con animo sereno, con più fermezza. Tuttavia, nel momento in cui i dettagli dei ricordi emergono, un tono commosso sale dalle loro gole.

Parlano di lui come se non esistesse.

Maria li interrompe bruscamente. Dal suo sogno esclama a mezza voce:

— Sì, la barca… la barca… – Poi un grande grido, angoscioso, indefinito.

— Avete sentito? — Dice convulsivamente Elena — Sarà qualche incubo.

— Chi lo sa. Sogna… che cosa sognerà?…

— Dovrei svegliarla?

— No no, lasciatela dormire tranquilla. Sarà felice. Immagino che sogni suo padre!

I due si alzano per osservarla meglio. Elena arriva prima. Una sensazione di freddo le rende difficile la respirazione. Rimane immobile, insieme al vecchio, che patisce la stessa difficoltà. Entrambi sembrano trattenuti da una straordinaria visione.

Leopoldo, con la mano ad artiglio si preme una guancia. La pelle della fronte, in profondi solchi, si stende e la sua bocca resta aperta, anelante, pietosa, come un becco assetato.

A sua volta, Elena mostra una sorpresa lampante. Si regge la fronte e stringe le palpebre, muovendo la testa da un lato all’altro, come se volesse sfuggire ad un’immagine che la investe da ogni parte. Sente le gambe afflosciarsi e cade sulla panca, vicino al tavolo.

Mormora:

— È possibile… solo… solo…!

Regna il silenzio dell’emozione. I due fanno un gesto. Una moltitudine di espressioni appare sui loro volti, con sorprendente rapidità. Terrore, angoscia, veemenza, panico, contentezza, paura, delusione, impotenza, tutto accelerato, fuggente, tutto convulso. Pare che abbiano visto qualcosa di tremendo dalla finestra.

— Che onda formidabile — esclama Elena, come una dissennata. — Lo ucciderà, lo ucciderà! Oh!…

Sta per continuare ma Leopoldo le copre la bocca.

— Zitta… zitta… — e le afferra la testa con entrambe le mani. Il cuore dei due si sente battere con strepitio. Maria continua a dormire nella stessa posizione, con il viso nascosto tra le braccia acciambellate a forma di nido. La candela accesa poco prima da Elena illumina metà della stanza. Un’ombra spessa e irregolare ricade pesantemente sulla testa della bambina.

— La tempesta è più forte lì. Avete sentito?… È più forte lì.

Leopoldo cerca di frenarla per impedirle di dire ciò che vorrebbe dire.

— Ti inganni, ti inganni… – risponde con spontaneità. — Ne so più di te. La barca resiste perché…

Tace, chiude gli occhi, fa uno sforzo mentale e dice con implorante incoerenza.

— No, no; se avesse forza, se potesse ancora…se ha perso i sensi?

Elena abbraccia il vecchio.

— Papà – chiama il suocero — Papà… il mio Renato sta morendo… Guardate, guardate… che colpo di mare… lo ha trascinato dentro.

— Ah! Ah!… uscite fuori…uscite fuori…venite a vedere?

Elena… le sue gambe pendono dalla balaustra. Si regge. E i due, abbracciati più forte, guardandosi negli occhi, continuano fatalmente la narrazione di un fatto che si produce nello stesso istante, a qualche miglio in mezzo al mare.

— Oh… non reggerà…

— Sì… vi dico di sì…

— No, no… oh… come si solleva il mare…

— Cade, cade… si sgonfia…

— La barca è scomparsa, la barca è affondata… dov’è?…

— Appare… l’onda è passata sopra…

— E Renato è lì… ha gli occhi chiusi… è tutto livido.

Elena si scuote con violenza.

— Oh!… che orrore… che bestia grande… terribile… la bocca… la bocca… si avvicina a Renato… mio Dio!…

— Renato… tirati su, tirati su… – grida Leopoldo, come se l’altro potesse sentirlo.

— Se lo prende… se lo prende – esclama Elena — ha ingoiato una gamba… se lo porta… cade in mare… cade in mare…ormai… è caduto… è caduto… è caduto… non si vede più… è affondato… è affondato Renato! Renato… – conclude con voce strozzata e il suo corpo ondeggia come una colonna colpita alla base.

In quel momento, Maria si sveglia. Senza notare fuori sua madre e suo nonno, setaccia la stanza con un’occhiata. Poi, gira per tutta la casa, gridando dolorosamente, chiamando con angosciosa impazienza, come se l’essere che cerca volesse fuggirle con spietatezza.

— Papà… papà…

Un gatto nero sfreccia per la stanza.

(1) Indica per omonimia il tipo di tabacco che viene prodotto nello stato della Virginia negli Stati Uniti d’America.