Don Elio è seduto nella piccola chiesa di Lagomonte, l’unica, della parrocchia che gli fu affidata vent’anni prima. Le poche panche di legno sono divenute anche troppe dopo lo spopolamento delle quattro frazioni che compongono il paese che un tempo era la casa di centoventotto anime.
Il parroco si stringe la radice del naso con il pollice e l’indice della mano destra mentre con la sinistra si appoggia al sedile e si lascia scivolare in ginocchio.
Tiene le mani congiunte, Don Elio. Passano dieci minuti, ne passano altri trenta. E’ distratto, non riesce a concentrarsi.
– Ti sei accorto subito che non stavo pregando, eh! Scusami, Signore, è che ultimamente ho dei pensieri.
Il prete parla con il crocefisso che si trova sull’altare. Si tratta di un semplice pezzo di legno su cui è dipinta la figura stilizzata di un Cristo, ma per lui è come se si trattasse di una persona vivente, il Dio fattosi essere umano per la salvezza di tutti.
Ed Elio ci parla con fiducia, ad alta voce, da uomo a uomo, e, talvolta, da figlio a padre.
Gli chiede consiglio e poi ascolta la risposta che si forma, puntuale, dentro la sua testa.
– Innamorato io? Alla mia età, poi? Ah ah ha, oggi ti va di scherzare, Signore! No, non si tratta di questo. Ho ben altri problemi. Mi innamorai una volta, tanti anni fa. Non pretendo che tu te lo ricordi, dopotutto siamo otto miliardi di anime, su questa terra. Certo, sei onnisciente, non potrei mai dimenticarlo, e hai spazio e tempo infiniti, puoi occuparti di tutti contemporaneamente, certo… Ma io sono qui, tutto solo, su questo altipiano che a volte mi pare immenso. Non mi sto lamentando, sia chiaro. Ho avuto una vita piena di cose da fare e di gente da aiutare, sia qui che laggiù, alla missione…
Don Elio smette di parlare all’improvviso e si porta una mano ad un polpaccio. Reprime un lamento di dolore, trattiene il fiato e, dopo qualche secondo, riesce di nuovo a respirare liberamente. La scheggia della mina anti-persona che lo colpì quando era un uomo di mezza età, florido ed energico, un vero soldato della fede… quella grossa scheggia che gli entrò in una gamba, senza provocargli danni troppo gravi nel fisico, gli aveva perforato l’anima. Lui si era salvato ma due bambini del gruppo della scuola, che stava riaccompagnando a casa dopo una breve escursione in cerca di piante da studiare, laggiù, nel piccolo villaggio tra il mare e il deserto, erano saltati per aria. E lui non poteva e non voleva dimenticarli. Solo, per non soffrire troppo, aveva conservato il ricordo in un angolo della sua mente, e ci conviveva così come si convive con un mal di testa cronico e semi-invalidante.
– Non ho guardato le carte geografiche del villaggio, non stavolta, credimi! E neppure le fotografie. E’ da ieri che non accendo il computer. Ho fiducia in Te, come sempre. So che i miei piccoli riposano nel Tuo amore, ma è difficile da accettare, ecco. Un attimo prima sorridevano felici e poco dopo … Io sono sopravvissuto, e provo un senso di colpa insopportabile.
Don Elio sente una nuova fitta al polpaccio e un’altra in mezzo al petto, fortissima. Dopo l’esplosione era rimasto in stato di choc per settimane e poco tempo dopo fu rimpatriato.
Durante gli anni gli abitanti di Lagomonte erano diminuiti sempre più. I giovani avevano trovato lavoro lontano, dispersi per il mondo, e gli anziani si erano trasferiti in luoghi meno freddi e più accessibili, al mare o in città. Prima di andarsene, un giovane aveva regalato a Don Elio un computer con tutte le connessioni e gli aveva insegnato ad usarlo. Per il prete era stato come ricevere il più bel regalo del mondo. Con quello aveva potuto rimanere in contatto con i suoi parrocchiani e ricreato una sorta di parrocchia virtuale. Secondo le norme ecclesiastiche avrebbe dovuto esortarli ad unirsi alle loro nuove comunità religiose ma non ne aveva avuto il coraggio. Non poteva rinunciare al calore e all’affetto di cui godeva tra i fedeli, seppure nella distanza. Lui li sentiva ancora fisicamente vicini, ognuno di loro.
– Non sono triste, davvero! E’ che non vedo l’ora che arrivi l’estate, ecco tutto. A luglio molti dei miei parrocchiani ritornano qui, e per me è una festa! Alcuni ritornano anche d’inverno, per il Natale. E così sono in compagnia due volte l’anno… Nei restanti mesi ci teniamo in contatto con il telefono e il computer.
Non sei convinto, pensi che io ti nasconda qualche cosa? E va bene, ora ti racconto tutto, per filo e per segno. Ho aperto una pagina su un social network, ecco. I miei parrocchiani e io siamo sempre in collegamento, e io mi sento come se avessi di nuovo una famiglia, una grande e affettuosa famiglia! Tre anni fa alcuni di loro hanno avuto l’idea di confessarsi a distanza; all’inizio erano poche decine, poi con il passaparola tra i loro amici in breve sono diventati tremilasettecento… Ammetto che la situazione mi è un po’ sfuggita di mano, ma come potrei rifiutare qualcuno? Sono le mie pecorelle e io sono il loro pastore! Quando vogliono confessarsi mi scrivono e mi raccontano tutto. Io li assolvo e gli dò la penitenza. Poi, durante la settimana, a piccoli gruppi, celebro le messe a distanza. Benedico il pane che preparo con le mie mani, lo spezzo e, simbolicamente, ne distribuisco a tutti. Ognuno di loro si procura un pane, piccolo o grande, secondo le loro esigenze, e io benedico anche i loro pani… Poi tutti insieme ci comunichiamo.
No, non ho chiesto permessi al Vescovo, non credevo ci fosse niente di male… Io sono felice di continuare la mia opera, anche utilizzando un monitor e una tastiera, e i miei parrocchiani mi dimostrano ogni giorno che io sono di conforto nelle loro vicissitudini…
Il permesso lo chiedo a te ora, Signore! Dovrei rispettare le gerarchie? e per quale motivo? Tu sei l’Essere Supremo, il Perfetto e l’Onnisciente. Tu conosci il passato, il presente e il futuro e sei il Padre di tutti noi…
Don Elio, che si era alzato in piedi nel perorare la propria causa e quella dei suoi parrocchiani dispersi ma virtualmente riuniti, sente una terza fitta al polpaccio e, contemporaneamente, una seconda, dolorosissima fitta al petto.
Con fatica il sacerdote raggiunge una panca e vi si siede, col fiato corto. Don Elio attende una risposta dal suo Signore, che stavolta tace.
Passano dieci minuti, ne passano altri trenta. Don Elio riprende un poco delle sue energie; si alza in piedi e si avvia verso l’uscita della chiesa, con le spalle ricurve e lo sguardo perso nel vuoto.
Patrizia Destro
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