
Canto della Pianura di Kent Haruf edizioni NNE
“A Holt c’era quest’uomo, Tom Guthrie, se ne stava in piedi alla finestra della cucina, sul retro di casa sua, fumava una sigaretta e guardava fuori, verso il cortile posteriore su cui proprio in quel momento stava spuntando il giorno. Quando il sole ebbe raggiunto la sommità del mulino a vento, l’uomo rimase a guardare la luce che si faceva sempre più rossa sulle alette di acciaio e sulla coda, alte sulla piattaforma in legno.”
Siamo a Holt, un paese immaginario collocato dall’autore in Colorado, assomiglia forse al piccolo villaggio agricolo dove Haruf ha trascorso la sua infanzia, un paese dalla natura selvaggia e caratterizzato dagli spazi aperti delle grandi pianure. Siamo immersi nel silenzio e nella luce, un raggio di sole colpisce il mulino a vento, a volte soffia il vento, i campi sono dorati, le estati calde e gli inverni gelidi, allora il vento solleva i fiocchi di neve.
“Fuori, il vento era aumentato rispetto al pomeriggio. Lo sentivano ululare attorno alla casa, gemere e rumoreggiare fra gli alberi spogli. La neve farinosa, sollevata dal vento, passava davanti alle finestre e sfrecciava in raffiche improvvise attraverso il cortile gelato, alla luce di un fanale appeso a un palo del telefono sul retro. Candidi, vorticosi mulinelli nella luce azzurrina.”
Notevoli sono i contrasti fra movimento e stasi, il vento che solleva la neve, il raggio di sole che nel silenzio del mattino colpisce le pale e Tom Guthrie, il padre di due ragazzini che non stanno mai fermi anche se in quel momento dormono ancora, sta alla finestra immobile a osservare il paesaggio che muta. Come in un film, lo spettatore osserva lo svolgimento dell’azione nello schermo, ma presto lo spettatore diventerà protagonista e farà la sua parte.
Assomiglia a un villaggio western dove ancora vivono i pionieri, gli abitanti sono pochi e si conoscono tutti, tutti sanno tutto di tutti. I contadini vivono nelle loro fattorie, coltivano i campi, riempiono i granai, accudiscono il bestiame. La strada principale è la Main Street, la città più vicina è Denver, ma lì la vita è diversa, è più dispersiva. A Holt c’è un giornale, un caffè, un fast food. C’è l’essenziale, una cittadina che basta a sé stessa. In questo spazio, in un tempo di mezzo, né troppo moderno né troppo antico si muovono i personaggi. Non c’è una precisa trama ma sembra uno spaccato di vita che inizia in un tempo e in uno spazio e a un certo punto finisce, come la vita, le vite di tutti, che non hanno una trama logica, ma un inizio e una fine, a volte insulsa, inaspettata, poco soddisfacente, a volte ha un senso compiuto, si vive sperando di trovarlo, come dice il Vasco nazionale: “Voglio trovare un senso a questa vita…Senti che bel vento, Non basta mai il tempo.”
Tom Guthrie è un professore che insegna Storia Americana, boccia uno studente che è un ignorante senza voglia di studiare. Capita nella vita di un professore, capita anche che la famiglia dello studente e lo studente stesso promettano di vendicarsi. Il professore ha due figli di nove e dieci anni, Ike e Bobby, cresciuti anzitempo, la madre soffre di depressione e va a vivere in città dalla sorella. I due bambini prima di andare a scuola prendono la bicicletta e si occupano della consegna dei giornali che arrivano ogni giorno con il treno. Una collega del professore è la buona Maggie Jones, che aiuta una studentessa sedicenne, Victoria Roubideaux, rimasta incinta di Dwayne, un quasi balordo, e cacciata di casa dalla madre. Maggie Jones prima la ospita a casa sua ma il vecchio padre non accetta la sua presenza e Maggie convince a ospitarla nella loro fattoria i due anziani fratelli McPheron, Raymond e Harold, scapoli che vivono soli, da quando la loro madre, molti anni prima, è morta. Si occupano di giovenche, di cavalli, campi di mais, di cereali. Nel romanzo sembra tutto semplice, la struttura semplice, i fatti chiari, i sentimenti ben controllati, gli ignoranti sono ignoranti che non nascondono la loro ignoranza, i cattivi non sono tanto cattivi ma sono solo ignoranti, non sono stati educati, non hanno senso civico, sono come i banditi del far west, stupidi e prepotenti, si riconoscono facilmente e quindi si riesce a tenerli a bada. Poi ci sono i buoni, e sono la maggioranza, e ciò è consolante. Sono buoni i due fratellini Ike e Bobby e i due fratelli anziani Raymond e Harold. Rappresentano il futuro e il passato. Entrambe le coppie di fratelli sentono la mancanza della madre ma riescono a vivere la loro vita anche senza. Entrambe, nonostante l’apparente fragilità, derivata dal loro essere troppo giovani o dal loro essere troppo anziani, hanno coraggio. I fratelli anziani hanno coraggio nell’accogliere in casa, con generosità, una studentessa sedicenne incinta, della quale non conoscono i comportamenti avendo vissuto sempre da soli e in mezzo al disordine, sapendo solo che la ragazza è gravida come lo sono le loro giumente. Hanno coraggio quando fanno partorire la giovenca e quando infilano le braccia dentro l’utero delle giovenche per vedere se sono state fecondate. I fratelli più giovani hanno coraggio nel far visita e compagnia a una vecchia signora abbandonata da tutti alla quale consegnano il giornale, che un mattino trovano morta nel suo appartamento, in solitudine completa. Hanno coraggio quando assistono all’autopsia del loro cavallo morto che viene squartato, le budella rinfilate dentro e poi ricucito con lo spago. Le descrizioni sono crude e il linguaggio essenziale, la natura è quella e non occorre edulcorala, bisogna accettare che ci sono le nascite e che ci sono le morti, c’è chi copula e chi rimane incinta, è il ciclo della natura, le stagioni che si susseguono, si è giovani come i due fratelli Guthrie e poi si diventa vecchi come i fratelli McPheron, si muore come la vecchia signora e si nasce come la figlia di Victoria.
In questo romanzo ci leggo la speranza, la bontà e la generosità, il trovarsi tutti insieme attorno a un tavolo a condividere esistenze, ad amarsi. Nel contrasto fra il movimento e la stasi, osservo il vento, lo spirito che soffia in tutte le stagioni, che fa muovere gli animi e fa nascere la speranza nel futuro. Leggere questo libro mi ha fatto star bene e per questo motivo lo consiglio, nonostante le descrizioni siano a volte crude e tragiche, c’è sotteso un insegnamento, mai avere paura dei banditi che entrano in città a fare razzie, meglio isolarli e fare famiglia, fare comunità aiutandosi l’uno con l’altro, come accadde nella casa dei fratelli McPheron “quella sera di fine maggio, diciassette miglia a sud di Holt.”
Antonella Pizzo
dal sito della casa editrice NNE
Kent Haruf
Kent Haruf (1943-2014) è stato uno dei più apprezzati scrittori americani, ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra cui il Whiting Foundation Award e una menzione speciale dalla PEN/Hemingway Foundation. Con il romanzo Il canto della pianura è stato finalista al National Book Award, al Los Angeles Times Book Prize, e al New Yorker Book Award. Con Crepuscolo, secondo romanzo della Trilogia della Pianura, ha vinto il Colorado Book Award. Benedizione è stato finalista al Folio Prize. NN Editore ha pubblicato tutti i suoi libri ambientati nella cittadina di Holt, compreso Le nostre anime di notte, bestseller uscito postumo nel 2017.
Sinossi
Con Canto della pianura si torna a Holt, dove Tom Guthrie insegna storia al liceo e da solo si occupa dei due figli piccoli, mentre la moglie passa le sue giornate al buio, chiusa in una stanza. Intanto Victoria Roubideaux a sedici anni scopre di essere incinta. Quando la madre la caccia di casa, la ragazza chiede aiuto a un’insegnante della scuola, Maggie Jones, e la sua storia si lega a quella dei vecchi fratelli McPheron, che da sempre vivono in solitudine dedicandosi all’allevamento di mucche e giumente. Come in Benedizione, le vite dei personaggi di Holt si intrecciano le une alle altre in un racconto corale di dignità, di rimpianti e d’amore. In particolare, in questo libro Kent Haruf rivolge la sua parola attenta e misurata al cominciare della vita. E ce la consegna come una gemma, pietra dura sfaccettata e preziosa, ma anche delicato germoglio.
Questo libro è per chi ama spostarsi solo con il pensiero, meglio se in poltrona e sotto una coperta a scacchi rossi e blu, per chi riesce a sentirsi a casa anche solo con una finestra aperta sul cielo, per chi cerca su google maps i luoghi dei libri, meglio se immaginari, e per chi ha deciso di affidarsi al tempo, nella convinzione che lo spazio possa sempre tradirlo.
Vite insignificanti ma indispensabili, per la più semplice delle ragioni: per la voce stupenda, quieta e luminosa, con cui Haruf ci racconta della sua Holt, di questa piccola città dove ci sembra di vivere da sempre e che mai vorremmo lasciare.” TOMMASO PINCIO