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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi tag: Antonella Pizzo

La malnata di Beatrice Salvioli

30 giovedì Mar 2023

Posted by Antonella Pizzo in Appunti letterari, Consigli e percorsi di lettura, CRITICA LETTERARIA, LETTERATURA E POESIA, NarЯrativa, Note critiche e note di lettura, Recensioni

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Antonella Pizzo, Beatrice Salvioli, einaudi, La malnata, romanzo

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La malnata edito da Einaudi stile libero è uscito il 21 marzo in Italia e subito dopo in Francia, Spagna, Grecia, Repubblica Ceca, Turchia, Bulgaria. Uscirà a breve anche negli Stati Uniti e in Germania, inoltre è in corso di traduzione in 32 lingue; pare che il romanzo abbia incantato gli editori di tutto il mondo. L’autrice è la giovanissima Beatrice Salvioni, un’esordiente uscita dalla Scuola Holden, così si presenta sul sito della suddetta: https://thewall.scuolaholden.it/allievi/beatrice-salvioni/  Volevo che la mia vita fosse un’avventura. A nove anni ho messo calze e succo di mela in uno zaino e sono scappata. È durata fino al cancello di casa. Ma da allora ho cominciato a scrivere storie. Classe 1995, ho conseguito una laurea magistrale in Filologia moderna presso l’Università Cattolica di Milano con una tesi sulle dinamiche della scelta nello storytelling interattivo. Frequento il secondo anno del college “Scrivere” presso la Scuola Holden di Torino. Ho vinto l’edizione 2021 del concorso per racconti inediti del premio Calvino con “Il volo notturno delle lingue mozzate”. Ho praticato scherma medioevale e ho scalato il Monte Rosa. Ho sempre pensato che la cosa peggiore della vita sia la sua assenza di senso narrativo. Per questo ho deciso di dedicarmi alle storie, qualsiasi forma decidano di assumere.

Il romanzo ha un inizio forte che inchioda alle pagine il lettore. L’ambientazione è  la riva del fiume Lambro. Tre sono i protagonisti della scena. Due ragazzine, Francesca e Maddalena. Il cadavere di un uomo riverso sopra il corpo di una delle due, è difficile scrollarsi di dosso un morto. Le due con molta fatica ce la fanno, infine cercano di nascondere il cadavere sotto una rete di tronchi  e rami, l’uomo ha sulla camicia una spilla con il fascio e il tricolore.

La storia è ambientata a Monza durante il periodo fascista, fra il 1935  e il 1936, nel periodo della conquista dell’Abissinia. Il romanzo racconta, per  voce di Francesca, l’amicizia indissolubile esistente fra lei e Maddalena Merlini detta la Malnata.  Francesca è un’adolescente di dodici anni  appartenente a una famiglia borghese e conformista, il padre produce berretti di feltro per l’esercito grazie all’interessamento sottaciuto della madre che ha una relazione extraconiugale con un fascista, il signor Colombo.  Maddalena è una ragazzina dal padre assente, appena più grande di Francesca, appartenente  a una famiglia indigente. La Malnata ha altri due fratelli, Edoardo, che per lei è come un padre, e Donatella, fidanzata con il figlio maggiore dei Colombo. Maddalena si sente responsabile delle sciagure occorse alla sua famiglia, come la morte del fratellino Dario, caduto dalla finestra di casa; l’incidente del padre, che ha perso una gamba in un ingranaggio della fabbrica.

Rosario Chiàrchiaro, personaggio nato dalla penna di Luigi Pirandello, è stato scacciato dal banco dei pegni perché era considerato uno Jettatore, al suo passaggio, tutti fanno i più svariati segni scaramantici: toccano il ferro, fanno le corna. Così dato che è considerato tale vuole  un riconoscimento ufficiale, al giudice D’Andrea chiede di volere una patente di iettatore. Rosario Chiàrchiaro era un malnato come Maddalena, come la cooprotagonista,  infatti quando la incontravano le donne dicevano diocenescampi e si facevano un frenetico segno della croce, gli uomini sputavano a terra. La malnata non aveva richiesto a nessuno la patente ma indossava quel soprannome come una corazza. Le accuse della gente diventano il suo senso di colpa ma anche la sua forza.

Francesca passando ogni giorno dal ponte del fiume Lambro vede questa ragazzina che gioca sulla riva del fiume con i maschi che si diverte, e ne è conquistata. I maschi che la seguono sono Matteo e Federico, il figlio della influente famiglia fascista dei Colombo, che con lei giocano sul Lambro e pendono dalle sue labbra.

Maddalena la affascina, vuole diventare sua amica, nonostante la Malnata sia disprezzata da tutti. Grazie alla complicità nata in seguito a un furto di ciliegie, finalmente le due lo diventano.  Tra i personaggi che gravitano attorno a Maddalena e a Francesca, oltre a Matteo e Federico, ci sono anche Tiziano, il fidanzato di Donatella, e Noè, il leale figlio del fruttivendolo. Francesca scoprirà grazie a  Maddalena l’importanza della libertà di opinione e la non sottomissione, l’importanza della verità. Imparerà a combattere gli abusi, il sessismo, l’oppressione,  a far sentire la sua voce. Imparerà a  ribellarsi alle piccole e grandi ingiustizie con cui convive.

La Malnata diventa il suo esempio di vita, il punto di riferimento. Sarà lei a raccontarle quello che accade al quando si diventa donne “ Noi femmine non ci dobbiamo schifare del sangue”. Le due si aiutano reciprocamente, Maddalena grazie a Francesca torna a scuola, sostenuta anche dal fratello Edoardo che ci tiene alla sua istruzione. La famiglia della Malnata avrà anche altre disgrazie oltre a quelle che già hanno l’hanno colpita, ma di tutto ciò la Malnata non ha colpa.

La storia di Maddalena e Francesca è una storia senza tempo. Ricorda per certi versi L’amica geniale di Elena Ferrante.  L’amicizia fra due ragazzine diverse per ceto e carattere, ma in generale anche il sentimento di amicizia e la lealtà di Noè, che supera ogni ostacolo ed è più forte di ogni interesse materiale in confronto a certi  rapporti  malati narrati nel romanzo. Il disagio delle ragazze nei confronti del proprio corpo che cambia con l’arrivo del mestruo, gli sguardi degli uomini che fanno sentire in colpa e che mettono in imbarazzo. Il fascismo sembra preso come spunto per via dell’ideologie  sessiste, la considerazione delle donne pari a zero, buone solo per fare figli, e l’ipocrisia imperante. Dopo l’inizio che fulmina, il romanzo procede pigramente, sembra che non accada nulla, e  quello che accade si svolge  con estrema lentezza. Poi il romanzo ha un balzo, prende il via, come se la parte centrale sia stata scritta in quel modo, affinché Francesca potesse avere la forza per arrivare più velocemente. Insomma il romanzo è un romanzo storico e di formazione, è  bello, avvincente,  veicola un messaggio importante,  mi è molto piaciuto, in pratica l’ho divorato, però, mio limite, non riesco ad afferrarne l’unicità nella storia e nell’impianto narrativo o in altri ambiti, tanto da fare sgomitare le case editrici per accaparrarselo (così almeno si legge in giro vedi ansa),  in libreria ce ne sono tanti di altrettanto ben scritti, ma ben venga anche questo, consiglio di leggerlo.  Antonella Pizzo

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Splendi come vita di Maria Grazia Calandrone

16 giovedì Mar 2023

Posted by Antonella Pizzo in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA E POESIA, NarЯrativa, Recensioni

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Antonella Pizzo, Maria Grazia Calandrone, romanzo, splendi come vita

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E le parole vanno via da noi, dalla cera impassibile dei nostri volti, e attivano le leve submarine di altri esseri umani, uguali a noi. Che splendono, talvolta, come noi splendiamo. Senza saperlo. (p. 13)

Maria Grazia Calandrone orfana due volte, privata dei genitori biologici, poi di quelli adottivi, nel romanzo Dove non mi hai portata edito da Einaudi nel 2022, proposto da Franco Buffoni al premio strega 2023 “per la tenuta stilistica e la capacità dell’autrice di coinvolgere il lettore in una vicenda storica e umana al calor bianco”, indaga sugli avvenimenti riguardanti la vita e la morte dei suoi genitori biologici. Oltre al succitato Dove non mi hai portata la Calandrone ha scritto nel 2021, edito da Ponte alle Grazie, il romanzo Splendi come vita, che riguarda la sua vita vissuta accanto alla madre adottiva.

Maria Grazia Calandrone, poetessa notevole, ha scritto sotto forma di romanzo una storia autobiografica, da lei definita lettera d’amore alla madre, narrata in prima persona dove racconta, tramite frammenti, immagini e inquadrature, rievocazioni, nel linguaggio poetico a lei congeniale, il complicato e difficile rapporto fra lei e la madre adottiva: Consolazione, detta Ione. Nata nel 1916, era moglie di un parlamentare comunista, insegnante di lettere, colta ed elegante, bionda e bella, così come appare nelle foto e nella copertina del romanzo con la piccola Maria Grazia in braccio. Non ho ancora letto Dove non mi hai portata e, per chi non avesse letto nessuno dei due romanzi, probabilmente è preferibile leggerli entrambi iniziando da Splendi come vita in modo da aderire al tempo della storia e alla stesura della Calandrone.
Un ritaglio di un famoso giornale dell’epoca datato 10 luglio 1965 riporta la notizia che, dopo aver abbandonato nel Parco di Villa Borghese la propria figlia Maria Grazia di 8 mesi, una donna si era tolta la vita buttandosi nelle acque del Tevere assieme al padre naturale della bambina, anche lui annegato. Lei è Lucia, bruna Mamma biologica. Maria Grazia è figlia dell’amore quindi per la società di allora figlia della colpa. La notizia del ritrovamento nel parco della piccola e indifesa Maria Grazia fa scalpore ed emoziona la gente, il giornale di cui sopra scrive in neretto che la bimba NON HA PIU’ NESSUNO. Continua a leggere →

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Mi limitavo ad amare te

02 giovedì Mar 2023

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Antonella Pizzo, Narrativa, romanzo, Rosella Postorino

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Il nuovo romanzo di Rosella Postorino, Mi limitavo ad amare te, edito da Feltrinelli nel 2023 p.352, proposto per il Premio Strega 2023 da Nicola Lagioia, è un romanzo ispirato a vicende realmente accadute, così come il precedente e bellissimo Le assaggiatrici  ambientato in Germania durante la seconda guerra mondiale, che trae ispirazione dal racconto di Margot Wölk la quale a 96 anni confessò di essere stata una delle assaggiatrici del cibo di Hitler nella caserma di Karusendorf. Le assaggiatrici edito nel 2018 da Feltrinelli ha venduto, fra l’Italia e l’estero, 300.000 mila copie e ha vinto il Premio Campiello 2018.
Le vicende narrate dal romanzo Mi limitavo ad amare te partono da Sarajevo durante il conflitto della Bosnia – Erzegovina degli anni ‘90. Il racconto inizia nel 1992 e prosegue fino al 2011, durante una guerra combattuta vicino casa nostra ma che forse buona parte degli italiani ha vissuto con un certo distacco, come se gli orrori accadessero  lontano anni luce da noi e non nell’altra sponda dell’Adriatico. I protagonisti del romanzo, Omar, Senadin, Ivo, Danilo e Nada, non sono realmente esistiti ma le loro vicende romanzate sono alquanto verosimili. Nel 1992 Sarajevo era stata posta sotto assedio e veniva bombardata da mesi, mancavano luce, acqua e cibo. Gli educatori e i responsabili dell’orfanotrofio  Ljubica Ivezić dopo lo scoppio di una bomba nell’istituto, che aveva causato il ferimento di due bambini, decisero che i minori ospitati venissero portati in salvo in Italia. Così gli orfani e bambini disagiati, che vivevano nella struttura, furono fatti salire su un pullman per Spalato per essere condotti in un luogo sicuro lontano dalla guerra. Da Spalato furono trasferiti in aereo a Milano e quindi divisi fra Rimini e Monza per trascorrervi le vacanze estive. Continua a leggere →

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Bly di Melania Soriani

23 giovedì Feb 2023

Posted by Antonella Pizzo in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA E POESIA, NarЯrativa, Recensioni

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Antonella Pizzo, bly, disparitadigenere, disparità, femminismo, giornalismo, inchiesta, melaniasoriani, mondadori, romanzo

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Il romanzo Bly di Melania Soriani,  uscito nel 2022 ed edito da Mondadori, narra le vicende della giornalista statunitense Nellie Bly, pseudonimo di Elizabeth Jane Cochran, vissuta tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, in un periodo in cui alle donne non era consentito esercitare quelle professioni considerate prettamente maschili, secondo la mentalità dell’epoca, ma solo quelle attinenti al cosiddetto “universo femminile”. Pizzi, merletti, ricamo, cura della casa e della famiglia, erano attività alle quali dovevano dedicarsi le donne dei ceti agiati. Operaie in fabbrica, sarte, serve, contadine, braccianti, erano attività proprie delle donne del ceto popolare. Le altre professioni, l’avvocatura, la medicina, il giornalismo, la partecipazione ad attività politiche e molte altre ancora, erano riservate esclusivamente agli  uomini, in quanto le donne erano ritenute incapaci per natura di svolgere compiti intellettivi. Elizabeth Jane, tredicesima dei quindici figli del giudice Michael Cochran, dei quali una diecina nati dall’unione con la precedente e defunta moglie,  nacque a Cochran’s Mill in Pennsylvania nel  maggio del 1864.

Quando la bimba nacque il padre si mostrò  molto orgoglioso di presentare alla famiglia quel fagottino rosa, così  tanto rosa che la bimba fu soprannominata Pink. La famiglia  all’apparenza era benestante, infatti il padre, oltre ad essere un giudice, era anche un discreto uomo d’affari. La piccola Pink cominciò a essere interessata ai libri  ancor prima di saper leggere, disdegnava i giochi  delle bambine e voleva giocare con i fratelli. Ribelle e testarda nascondeva i volumi della biblioteca del giudice per poterli guardare di nascosto. Alla morte improvvisa del capofamiglia i  Cochran caddero in disgrazia, furono costretti  a lasciare la casa dove avevano vissuto fino ad allora. Elizabeth dovette  interrompere gli studi, la madre fu costretta a risposarsi perché serviva lo  stipendio di un marito. L’uomo che sposò però si rivelò essere violento e ubriacone,  la sfruttava, la picchiava costantemente.  In  seguito, grazie alla determinazione della figlia Elizabeth, la madre ebbe il coraggio di divorziare. A seguito della lettura di un articolo di un giornale locale, il Pittsburgh Dispatch, dal titolo A cosa servono le ragazze,  nel quale si invitavano le donne a non lavorare ma a stare  chiuse in casa a badare alla famiglia, Elizabeth presa dall’indignazione e dal furore femminista, dal senso di giustizia che la caratterizzava, secondo il quale tutti gli esseri umani sono uguali e hanno uguali doveri e diritti, siamo essi uomini o donne, inviò una vibrante lettera di protesta al giornale  firmandosi  come Lonely Orphan Girl. Dopo vari abboccamenti e traversie, il direttore riconobbe l’indubbio valore intellettuale e il coraggio di Elizabeth, anche perché il giornale aveva aumentato la tiratura, e  assunse la ragazza. Si decise che Elizabeth avrebbe utilizzato lo pseudonimo di Nellie Bly. Così iniziò la sua fortunata carriera di giornalista investigativa. Coraggiosa e intelligente, fingendosi operaia e facendosi ingaggiare da una fabbrica,  scoprì  e denunciò sul giornale per il quale scriveva gli atti di violenza, gli  abusi e le  condizioni inumane del lavoro a cui erano costrette le operaie delle fabbriche. Questa nuova forma di giornalismo investigativo, inesistente prima di lei, divenne  presto  un modello di riferimento nel mondo del giornalismo che ancora oggi viene praticato. In seguito si trasferì a New York e fu assunta dal New York World di Joseph Pulitzer,  col patto che  conducesse un’inchiesta sulle condizioni del reparto femminile dell’ospedale psichiatrico City Mental Health Hospital di Manhattan. Questa volta Bly si finse una povera donna smemorata. La donna venne internata in manicomio per parecchi giorni, e si rese testimone diretta delle terribili e inumane  condizioni in cui venivano trattate le pazienti recluse. Bly nonostante pensasse di essere indenne da romanticismi e avesse deciso che il matrimonio, così come era considerato all’epoca, non era adatto a lei, si innamorò  di un uomo affascinante che diceva di amarla.  Quando scoprì che era un uomo sposato e con figli, lei ne soffrì molto. Intraprese da sola un viaggio che la portò a visitare il mondo in 72 giorni emulando  Fogg  del giro del mondo in 80 giorni di Giulio Verne, il quale, incuriosito e ammirato,  la volle conoscere durante una tappa del suo  viaggio.

Il libro è molto scorrevole e si legge con piacere, con una scrittura chiara e leggera nonostante la tematica importante, la scrittrice fa parlare Bly in prima persona. Milena Soriani ci racconta la storia di questa donna speciale e moderna, anche se vissuta un secolo fa.  Nellie Bly si racconta e non parla solo del suo coraggio  e la sua determinazione, ma anche  delle sue tante fragilità e delle sue debolezze e delle sue paure.  Nellie non è una wonder woman che indossa un costume sfavillante e sbaraglia in men che non si dica gli avversari, è una donna comune, con pregi  e difetti, ma che ha avuto volontà ferrea.  Indomita e combattiva non è mai arretrata davanti agli ostacoli che inevitabilmente si incontrano nel perseguire le proprie passioni, non  lasciandosi mai sopraffare dallo scoramento. Con intelligenza, con serietà, con fermezza, ha perseguito i propri scopi credendo nella giustizia e nell’uguaglianza. A Nellie Bly noi donne dobbiamo essere  grate, così come a Melania Soriani che ci ha raccontato la sua storia con amore e il rispetto che questa figura merita. Le donne hanno combattuto per decenni per la libertà e per il riconoscimento dei propri diritti, con convinzione, con passione, lottando per l’affermazione. Ma la libertà delle donne viene costantemente  minacciata,  e il pensiero va alle donne iraniane, prigioniere e vittime, e a tutte le donne che subiscono abusi e violenze. Ci sono tante Bly che combattono per la disparità di genere, per la libertà e per i diritti con coraggio, senza arrendersi, pagando spesso con la vita.

Melania Soriani è nata a Roma nel 1965 e vive a Carrara. Ha pubblicato diversi racconti in antologie e riviste. Con il romanzo per ragazzi In viaggio con Amir si è aggiudicata il premio Selezione Bancarellino 2019.

Antonella Pizzo Letture e scritture e noticine di una finta critica 

mpluchi@yahoo.it

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Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi

09 giovedì Feb 2023

Posted by Antonella Pizzo in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA E POESIA, NarЯrativa, Recensioni

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Antonella Pizzo, ferroviedelmessico, Gianmarcogriffi, Narrativa

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Gian Marco Griffi è nato in Piemonte  e ha studiato filosofia all’Università di Torino. Ha  pubblicato Più segreti degli angeli sono i suicidi (bookabook, 2017) e Inciampi (Arkadia, 2019).

Ferrovie del Messico è il suo nuovo romanzo, edito nel 2022 da Laurana Editore con le illustrazioni di Silvia Perosino e la post-fazione di Marco Drago, inserito nella collana Fremen diretta da Giulio Mozzi, il quale ha speso molte energie  per la promozione nei social, nonché per la distribuzione del romanzo nelle librerie nelle quali mancava. Mozzi ha avuto ragione nel farlo, il romanzo meritava di essere letto. Ha già vinto il premio Augusto Monti, Città di Leonforte, si è aggiudicato il primo posto classifica di qualità L’indiscreto, ha vinto il premio Libro dell’anno di Fahrenheit Rai 3, il premio Zeno,  il Premio Mastercard 2022 per il quale allo scrittore è andato un riconoscimento di 10 mila euro, ha poi devoluto il premio in solidarietà  di 100 mila euro a Busajo, onlus che opera in Etiopia per il recupero delle bambine e dei bambini di strada, Caritas Italiana, Save the Children e Progetto Rwanda. Fa parte dei primi 15 romanzi candidati al Premio Strega 2023, è stato presentato da  Alessandro Barbero, e ha buone possibilità di essere il vincitore  di quest’anno, perché il romanzo sta ricevendo molte critiche favorevoli da parte dei lettori e dagli addetti ai lavori.

Ferrovie del Messico è un tomo di oltre 800 pagine in carta sottile, è alto quasi 5 centimetri, pesa di 603 grammi. Quando l’ho acquistato, incuriosita   dal tamtàm  dei social, pensavo potesse avere le caratteriste giuste per andare a fare compagnia agli altri miei due tomi di quasi ugual peso e misura che da decenni mi riprometto di finire di leggere, e cioè i cominciati e mai finiti: Ulisse di Joyce  e Orcynus Orca di Stefano D’arrigo. Invece così non è stato, il romanzo l’ho iniziato e finito. Griffi è una penna eccezionale, capace di scrivere un capolavoro di amara ironia ma nel contempo dolce e che  fa sorridere, pagine ricche di divertimento ma anche di profondità. Apparentemente prolisso ma non lo è, infatti non è mai noioso, anzi la scrittura è avvincente e coinvolgente.

Questa la trama del romanzo:

Ad Asti, nel 1944, Francesco Magetti, detto Cesco, soldatino figlio di tabaccai,  giovane  milite nella Guardia Nazionale repubblicana ferroviaria della Repubblica di Salò, soldato ma dentro il suo cuore idealista illuso e  antifascista, arruolato  per necessità e per paura, eroe sfigato, viene incaricato dal suo aiutante capo di redigere, nel termine di una settimana, la mappa delle ferrovie del Messico. Lo strano incarico proviene dalle alte istituzioni naziste e riveste carattere, oltre che di urgenza, anche di rilevante importanza per la Germania. Tutto nasce a Berlino da uno stupido equivoco e sciocca convinzione. Un libro, che racconta delle mirabolanti avventure accadute a Santa Brígida de la Ciénaga, una cittadina del Messico,  nonché lungo le ferrovie messicane, viene donato in cambio della sua gentilezza, da una nobildonna ebrea, a Bardolf, un umile addetto ai suicidi assistiti. Il libro assume un’importanza enorme per le istituzioni naziste, così come la ricerca della mappa delle ferrovie messicane di cui il libro era dotato ma che manca fisicamente. Secondo i nazisti in quella cittadina si nasconde l’arma risolutiva, un’arma diabolica e terrificante, spettrale, una bestia selvaggia e leggendaria. La ricerca di questa mappa è il nodo principale del romanzo e da cui si diramano le altre storie che a loro volta si diramano in altre storie, come il giardino dei sentieri che si biforcano del racconto di Borges, citato nel romanzo più volte. Cesco, che soffre di un forte mal di denti, non ha idea di come procurarsi questa mappa e inoltre ha una paura matta dei dentisti (l’unico dentista di cui non aveva paura era stato arrestato dai fascisti)  il mal di denti lo accompagnerà per tutta la sua avventura, mal di denti che a detta dell’autore in un’intervista alla Gazzetta d’Asti indica un male oltre che fisico anche interiore “…ho provato a trasporre così, con un dolore fisico, il suo male oscuro, il male interiore di Magetti e dell’uomo che non riesce a decidere, che non riesce a trovare la forza per affrontare il male circostante e neppure i problemi, anche piccoli, che gli si presentano. È anche l’emblema dell’uomo di oggi, gettato nel mondo in balia di guerre e tragedie climatiche, paralizzato e incapace di fare anche solo un piccolo gesto in grado di migliorare le cose”. Gazzetta D’Asti 16/09/2022

Quindi un bel mal di denti interiore che, in modo più o meno evidente e consapevole, forse tutti noi abbiamo.  In biblioteca, durante le sue ricerche, conosce Tilde Giordano bella, strana,   folle bibliotecaria, con la passione della fotografia,  della  quale Cesco Magetti, eroe per caso, si innamorerà perdutamente. Cesco scopre tramite Tilde che esiste un’opera dello scrittore messicano Gustavo Adolfo Baz, dal titolo “Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México” con illustrazioni di Edoardo Gallo. Il libro però non si trova in biblioteca, è stato dato in prestito. Comincia così la caccia a  questo fantomatico volume che dovrebbe risolvere i problemi di Cesco  e dei nazisti.

I personaggi descritti  sono personaggi concreti  e vivi, tragici, mangiano, soffrono, amano, ruttano e bestemmiano con bestemmie inventate,  usano termini dialettali desueti e neologismi, ma nel contempo sembrano immaginari, immaginifici, magici, sembrano spettri, delle presenze vaganti, variegate e misteriose: sono poeti frenatori, partigiani, fascisti, viaggiatori, agenti segreti, prostitute, preti, cartografi, becchini e  costruttori di ferrovie.

Si chiamano Epa, cartografo samoano che compila mappe per trovare chiavi, per fare l’amore, per cercare un gelso al cui interno è cresciuto un ciliegio. Angelo Zanon, detto Angelito, detto Lito, che assieme al suo compagno muto e poeta Mario Emilio Camillo Bertone, detto Mec, nel cimitero di San Rocco fanno i becchini addetti alla bollitura dei cadaveri, perlopiù provenienti dalla Germania, con i quali si forma una polvere di ossa che i nazisti in Germania usano per produrre dei colori per dominare il mondo e le masse, inducendo alla felicità, alla disperazione, a seconda del colore si costringe il popolo a comportarsi in un certo modo. Possiedono molti libri,  un distributore di caffè, un organizzatore, un automa, una sorta di computer antesignano, entrambi sono ex costruttori di ferrovie nel Sudamerica e la sanno lunga su Gustavo Baz e Santa Brígida. Ettore e Nicolao, alle costole di Cesco Magetti, Edmondo Bo, poeta frenatore, alcolista e oppiomane, il senza cuore e cinico SS-Obestrumbannführer  Hugo Kraas, giocatore di golf,  che possiede un samovar trovato in una dacia nei pressi di Mosca. Bardolf Graf, collega che Cesco non incontrerà mai. E come non ricordare il bambino Feliciano ucciso e abbandonato sul ciglio di una strada a Saucillo de Guadalupe, il primo cadavere sotterrato dal poeta muto Mec Bertone che con infinito amore gli scava la fossa con le mani e lo adotta come  figlio dopo morto.

Cesco è costretto a darsi da fare per questa fatidica mappa e dopo varie vicissitudini e avventure varie,  su indicazione dell’aiutante capo, colloca casualmente Santa Brígida, cittadina probabilmente mai esistita, in un punto qualsiasi della mappa.

Ferrovie del Messico è un romanzo d’avventura, ironico, epico, idilliaco, orrifico, assurdo, a tratti fantasioso e fantastico, iperrealistico e fantascientifico, comico e drammatico, antico e moderno, utilizza tanti registri, i capitoli sono brevi, si passa da un luogo all’altro, da un personaggio all’altro, da un tempo all’altro, in modo da non annoiarsi mai, ma senza mai perdersi nelle varie diramazioni della storia e nei vari sentieri.   Griffi è un  autore che  non assomiglia  a nessuno degli scrittori italiani, almeno a nessuno di quelli che ho letto. Si dice negli ambienti letterari  che si sia ispirato allo scrittore cileno Roberto Bolaño Ávalos, a Pynchon, Joyce, Borges, ma ogni scrittore che si rispetti porta nella sua scrittura tracce delle letture, che vengono poi elaborate dal proprio sentire  assumendo autonomia e originalità,  diventando altro. La sua scrittura è moderna, libera,  si discosta dal piattume e dall’ordinario a cui ci stiamo assuefacendo. Con le dovute eccezioni e per la maggioranza,  ci sono parecchi scrittori bravi, tutti bravi ma anche tutti simili, così come i poeti e così come i cantanti, quindi, quando si legge una scrittura che si discosta, una voce che emerge e il cui timbro è riconoscibile, per un  lettore comune è una festa.

Griffi attacca i poteri,  nazista e fascista,  lo fa rendendoli ridicoli, facendone una caricatura. L’autore è capace anche di disegnare non solo i tratti grotteschi dei personaggi ma rappresentare anche i loro sentimenti più nobili, quando questi esistono. Mi piace riportare queste due pagine che riguardano il bambino Feliciano. E’ il becchino poeta Mec che parla dopo aver seppellito quel cadavere del bambino abbandonato sul ciglio di una strada. Griffi non è solo ironia, ma è anche poesia. Come egli scrive e come è  riportato sul retro della copertina del romanzo: “Essere lirici e ironici è la solo cosa che ci protegge dalla disperazione assoluta”.

(da pag 331 e 332)

Sugli appunti per una poesia che intendo scrivere annoterò che il tre giugno millenovecentoventinove ho sollevato il capo di un bambino morto sul ciglio di una strada; annoterò di aver pensato che se esiste un Dio dei poveracci, e se l’anima di Feliciano è in sua compagnia da qualche parte, insomma se Feliciano è ancora qualcosa, in un’altra forma, si stupirebbe se qualcuno si sia preso cura della sua forma precedente, quella corporea. Annoterò che Feliciano non è più, senza forma come le nubi della tempesta; annoterò che Feliciano è vissuto sette anni su questo mondo senza altra ragione se non quella di devastare il mio cuore un giorno di primavera del millenovecentoventinove, in un villaggio sperduto del Messico.

(cut)

Annoterò  che ho scavato fino a farmi sanguinare le mani, e che l’ho fatto per potermi ascrivere al genere umano. Giacché voglio credere che il genere umano non sia ciò di cui parla Lito, quella cieca indifferenza dell’uno per l’altro, quell’odio che sfocia in battaglia e in guerra.  Annoterò che ho scavato una fossa per seppellire tutti i bambini del mondo vissuti senza una ragione, quelli per cui ogni giorno è semplicemente un giorno di agonia in più; che ho scavato una fossa per far sì che contenesse tutti i corpi affamati, annegati, torturati, dimenticati, profanati.

Annoterò che quel giorno avevo le lacrime agli occhi e le parole mi uscivano di bocca come sputi; Annoterò che la terra odorava di piscio, violette e polvere, di merda di mulo e sterpaglie bruciate, annoterò che ho udito il vento tra le colline e ho immaginato che fosse la voce di Feliciano frammentata in mille brevi mormorii; annoterò che quel giorno ho seppellito mio figlio: per questo sulla croce che commemora il luogo della sua sepoltura ho inciso il suo nome, Feliciano, e il mio cognome, Bertone.

Antonella Pizzo letture e scritture e noticine di una finta critica

 

 

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Una vita in scrittura: Antonella Pizzo

07 mercoledì Dic 2022

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Antonella Pizzo, Loredana Semantica, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

Per  Una vita in scrittura ho rivolto l’invito ad Antonella Pizzo, che l’ha interpretato come segue.

Grazie Antonella

Da ragazza leggevo come una forsennata, sempre libri in prestito presi in biblioteca, solo narrativa, niente poeti, alle superiori mi ero innamorata di Foscolo, amavo i suoi sepolcri, ero gelosa della sua amica caduta da cavallo,  lui non mi amava, non mi aveva mai conosciuta, vivevo nel suo futuro e non avevo un cavallo da cui cadere. Poi la scuola finì e io lo dimenticai. Ora amo Eliot, non so perché, l’amore non ha una ragione, so che se  sto male e leggo Il canto dell’amore di J. Alfred Prufrock mi pacifico, pare che io non sia la sola, mi è stato detto anche da altre persone, la devono studiare questa cosa, sarà una questione di vibrazioni come quando le mucche ascoltano Mozart e fanno più latte. Quando avevo già i miei bei 50 anni ho cominciato casualmente a scrivere versi, mi sono imbattuta in un concorso di poesia, era un concorso di poesia sullo sport, 36 versi, la cosa mi intrigò parecchio per diversi motivi: non avevo mai scritto una poesia, tanto meno sullo sport, non avevo mai partecipato a un concorso, non avevo mai praticavo uno sport, non seguivo lo sport. Ma si potevano scrivere poesie sullo sport? 36 versi poi mi sembrarono una enormità.  Fu una sfida, la scrissi per distrarmi, avevo un grave lutto da elaborare,  così mi cimentai e scrissi una poesia dedicata ai meninos de rua e al pilota brasiliano  Ayrton Senna da Silva, morto nel 1994. La poesia l’ho smarrita e il concorso non l’ho vinto, però da allora ho scritto ininterrottamente per dieci anni, prima su it.arti.poesia, poi sui blog, su spinder con poetienon, su wordpress con viadellebelledonne, poi pit stop, sosta ai box, ora in attesa di ricominciare, spero. Il mio sito personale

http://antonellapizzo.wordpress.com

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Una vita in scrittura: Flora Restivo

09 mercoledì Nov 2022

Posted by Antonella Pizzo in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Antonella Pizzo, Flora Restivo, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

 Una vita in scrittura

L’invito è stato rivolto da me a Flora Restivo che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite a Flora e grazie a chi si è fermato a leggere.

SCRIVERE PER SCOPRIRE SE STESSI.

Accidenti, non trovo più la stilografica, la mia cara Aurora 88, col cappuccio d’oro, eppure, in tutti questi anni, ho provveduto a ricaricare l’inchiostro, affinché non s’asciugasse! Dove l’avrò infilata? Apro, chiudo, metto tutto sossopra (sai la novità!). Ah , sì, nel cassetto delle lettere scritte e non inviate, tante, ma tante, più di quelle inviate.
Un foglio bianco, mai colorato di quel rosellina insulso che in tante, signore e signorine, preferivano, una penna antica, una donna… antica. Scrivere mi risulta piuttosto difficile, le mie dita sono quasi inservibili e la grafia ne risulta molto simile al cinese, ma non mi creo problemi, sarà compresa di sicuro.

Cara Flora, adesso sei al crepuscolo e mi pare giusto che io ti scriva, mentre siamo in tempo. E’ vero, lo so bene, ti ho amato poco; forse perché sono stata amata poco? No, non dagli uomini, quelli, appena vedono un grazioso faccino e un bel culetto, amano a modo loro, per correre, subito dopo, ad “amare” un altro bel faccino e un altro bel culetto, ma da chi avrebbe dovuto amarmi, avendomi buttato in questo mondo senza il mio assenso e non lo ha fatto o ,almeno io questo amore non l’ho avvertito. Continua a leggere →

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Una vita in scrittura: Marina Raccanelli

01 martedì Nov 2022

Posted by Antonella Pizzo in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Antonella Pizzo, Marina Racanelli, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

 Una vita in scrittura

L’invito è stato rivolto da me a Marina Raccanelli che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite a Marina e grazie a chi si è fermato a leggere.

Per la maggior parte della mia vita, la letteratura è stata romanzi da leggere e poesie da assaporare (o con cui annoiarsi, a seconda dei casi), con qualche vago tentativo di emulazione adolescenziale per quanto riguarda i versi.
Più tardi, quando la vita mi ha presentato il conto e mi sono scontrata con situazioni per me difficili o impossibili da superare, o perlomeno accettare, ho incontrato per mia fortuna lo sfogo della scrittura. Ed ho riempito diari su diari, quadernetti squinternati fitti di parole torrenziali…a poco a poco, la corrente è diventata meno impetuosa ed ha rallentato, le mie parole si sono messe, spesso senza la partecipazione della mia consapevolezza razionale, in un ordine tendenzialmente “poetico”.
Mi sono spuntate dalla mente, dalla mano, dalla tastiera, frasi sintetiche, immagini, musiche silenziose.
Mi piaceva, questo cambiamento: uscivo dal mio io aggrovigliato per diventare pagina bianca e nera. Più bianca che nera. Questo mi dava sollievo, era una fatica diversa, che poteva risolversi in una sorta di sublimazione, a volte quasi in divertimento. Accumulavo pagine su pagine e imparavo il gioco. Ma questa sfumatura un po’ superficiale, che mi portava a scrivere in modo spesso un po’ criptico, con divagazioni e collegamenti inessenziali, l’ho poi superata, almeno credo – anche se solo in parte, dopo le esperienze di vita dei miei ultimi decenni. Continua a leggere →

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9 #cronacheincoronate

09 sabato Mag 2020

Posted by Loredana Semantica in #cronacheincoronate; #andràtuttobene

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#cronacheincoronate; #tuttoandràbene; il tempo del coronavirus, Antonella Pizzo, Flavio Almerighi

Prosegue il racconto dei giorni vissuti al tempo del coronavirus. Un’iniziativa del blog proposta qui. In calce a quel post di presentazione i link agli altri post delle cronache incoronate precedenti. Oggi con me che racconto di fake news e poesia, la serena voce di Anna Maria Bonfiglio nella sua cronaca che infonde coraggio.

Vi ricordo che chiunque può proporre al blog Limina mundi (liminamundi@gmail.com) il proprio vissuto di questi giorni di epidemia e contenimento. Il turbamento, lo stravolgimento, il dolore ma anche lo spirito di resistenza, di reazione, e, talvolta il sorriso, nonostante tutto. Un modo per stare vicini, per allontanare la paura, per esorcizzarla. 

CRONACHE INCORONATE

LA SINDROME DELL’ESILIO DI ANNA MARIA BONFIGLIO

Oggi, 6 maggio 2020, dopo 70, dicasi settanta, giorni di domicilio coatto, ho provato a mettere il naso fuori dal portone di casa. Non è che scalpitassi per uscire, essendo già fuori dal contesto lavorativo e, a dirla tutta, non essendovi mai entrata in maniera stabile, sono abituata a trascorrere buona parte del mio tempo a casa, salvo spesa, qualche giornata di shopping, qualche sortita in pizzeria, incontri culturali e teatro. Dite che non è poco? Sì, è vero, ma non è neanche molto, in quanto le suddette attività sono spalmate nell’arco di un anno. Ma comunque, questo è, e va bene così. La permanenza a casa in continuativo e la paura del maledetto covid19, dopo le prime due settimane di ansia, non mi procurarono né insofferenza né nervosismo, né mi infastidì che il primo step di apertura ventilato per il 14 di aprile fosse stato procrastinato al 24 dello stesso mese e di seguito al 4 di maggio. Però, mano a mano che si avvicinava la data per la prima fase di apertura, cominciavo a prepararmi per uscire dalla tana: le mascherine c’erano, i guanti pure, era stata perfino attrezzata una pochette con fazzolettini e gel disinfettanti. Giunta alla domenica 3 marzo mi persuasi che fosse stato meglio evitare di uscire per la prima volta proprio il primo dei giorni che avrebbero visto la folla accalcarsi per le strade, a piedi o in auto, per visitare quelli definiti “propri congiunti” che contemplavano anche la quarta categoria di cugini, gli affetti stabili, i fidanzati, i conviventi, le unioni civili, i bambini con il girello, varie ed eventuali. Bene, meglio aspettare. Il martedì, appena alzata e dopo il caffè,  mi affacciai al balcone per sondare che aria tirasse. Era una giornata grigiastra, verso Monte Pellegrino una nuvolaglia offuscava il panorama. Uscire, ma perché avere tutta ‘sta fretta? Se si fosse messo a piovere? Se l’abbassamento di temperatura che aveva previsto il meteo si fosse presentato? Rischiare un raffreddore dopo tanta quarantena era da stupidi, in fondo ormai la strada verso la libertà era aperta, un giorno in più di chiusura non faceva la differenza. Senza contare che ancora non si avevano notizie precise sul reale effetto in termini di contagio dell’apertura del giorno precedente. Stavo entrando nella paranoia? Forse. Allora dovevo reagire subito. Ingolfata in guanti mascherina tracolla e shopper, entro in ascensore e approdo nell’androne. Spaesata, mi guardo attorno, sono ancora qui, dove tutto è come prima, solo che a me sembra nuovo, quasi estraneo. La mia macchinetta elettrica mi aspetta, la guardo e quasi mi stupisco di trovarla intatta, ma caricarmici su mi riesce più difficile, non trovo la giusta posizione, ho quasi dimenticato come manovrarla. Incontro due dei miei condomini, dico: sto uscendo per la prima volta, come se fossi resuscitata. Fuori dal portone avverto un lieve spaesamento, percorro il marciapiedi, aspetto il verde al semaforo, attraverso, arrivo al negozio dove di solito faccio gli acquisti casalinghi. I ragazzi mi salutano con calore, mi chiedono come sto, io dico bene bene, come fossi stata ammalata; compro quel che devo frettolosamente, fuori c’è gente che aspetta il turno, è buona norma non stare a trastullarsi guardando di qua e di là fra la merce. Ritorno a casa più rinfrancata, ancora una volta ho oltrepassato uno stallo psicologico, ancora una volta ho rimosso la mia fragilità emotiva. Ho superato la sindrome dell’esilio.

Ce la faremo

 

CRONACHE INCORONATE

Siracusa, 4 aprile 2020

LE BUFALE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS DI LOREDANA SEMANTICA

Qualche giorno fa ho condiviso sul mio profilo facebook una poesia di un (in)certo storico Eracleonte da Gela del 233 a.C. che mi ha inviata mio cognato via wathsapp, la messaggeria istantanea via web. La poesia è questa.

E’ iniziata l’aria tiepida
e dovremo restare nelle case
per le Antesterie
le feste dei fiori
in onore a Dioniso

Non usciremo
non festeggeremo
bensì mangeremo e dormiremo
e berremo il dolce vino
perchè dobbiamo combattere

Le nostre città lontane
ornamento della terra asiatica
hanno portato qui a Gela
gente del nostro popolo
un tempo orgoglioso

Queste genti ci hanno donato
un male nell’aria
che respiriamo se siamo loro vicini
il male ci tocca e resta con noi
e da noi passa ai nostri parenti

Il tempo trascorrerà
e sarà il nostro alleato
il tempo ci aiuterà
a guardare senza velocità
il quotidiano trascorrere del giorno

Siamo forti e abbiamo sconfitto molti popoli
e costruito grandi città
aspettiamo che questo male muoia
restiamo nelle case
e tutti insieme vinciamo.

Di questa poesia, a quanto pare, è risultato autore un certo Marcello Troisi, vivente, al quale vanno i complimenti per averla ben confezionata.
Prima di condividerla avevo cercato notizie col cellulare di questo Eracleonte e l’unico risultato era su un e book di google che adesso ho scaricato da pc.
Il libro in questione è *Memorie Istoriche di Sicilia* che narra di quanto è *accaduto in Sicilia dal tempo dei suoi primi abitatori fino alla coronazione del re Vittorio Amedeo* nel quale è citato un Eracleonte, sotto il paragrafetto “Primo concilio de’ Vescovi in Sicilia”. La corona c’entra sempre.
Riporto il passo a seguire riguardante Eracleonte.
“Mentre regnò Adriano, e la Romana Chiesa veniva governata da Alessandro Primo di questo nome, vogliono alcuni, che si fusse tenuto in Sicilia un Concilio di Vescovi per condannare l’eresia di Eracleonte discepolo dell’empio Valentino. Insegnava egli, che i Fedeli battezzati ancorché commettessero qualunque eccesso, non potevano più peccare, e rimanevano sempre in grazia: una sì perniciosa dottrina, trovò gagliardissima opposizione tra Prelati Siciliani, i quali avendone prima consultato il Pontefice Romano, si unirono poscia in Concilio Provinciale; e condennata avendo l’eresia di Eracleonte, lo dichiararono scomunicato.”
Considerato il regno di Adriano e il Papato di Alessandro Primo la vicenda si colloca intorno al 105 -116 dopo Cristo.
Tutto ciò per amore di approfondimento, per il quale non sempre si hanno tempo e strumenti adeguati.
Se cercate adesso su Google Eracleonte da Gela trovate molti risultati, tutti nel senso che Eracleonte non esiste. Che sia esistito uno storico Eracleonte autore di questa poesia è una bufala o fake news, cioè notizia falsa. Risulta, tra l’altro, che l’ha citata anche Zaia, Presidente Regione Veneto. Questi articoli riportano al suo reale autore, come ho detto all’inizio. Ora le bufale se ne conclude hanno un solo scopo. Balzare agli onori della cronaca. Chi se ne rende autore ha il suo attimo di gloria. Ingannando gli altri, gli artefici compiono il loro piccolo delitto di menzogna, per cui il resto dell’umanità si divide tra coloro che non ci sono cascati e coloro che invece sì, tra chi riprova e chi sbeffeggia.
Questo caso è innocuo, anzi forse benefico, si colloca tra gli scherzi buoni e la poesia mantiene il suo valore, altre bufale invece fanno danno. Gli autori andrebbero perseguiti, così tanto per togliere il gusto dello scherzo senza pensare alle conseguenze, dello scoop non verificato e del protagonismo. Quest’ultimo soprattutto uno dei mali del nostro tempo.
Sul coronavirus io ho scritto due sole poesie. Le riporto, nel caso qualcuno volesse citarmi tra duemila anni in tempo di pandemia Sono proprio mie, non le ho copiate e, inoltre, esisto veramente.

Vediamo oggi da quale distanza
da quanti milioni di anni luce
arriva la tua voce nuova diversa
sgusciata come la polpa di banana
dalla buccia esce tutta
compatta estranea intatta
inaspettata.

Qui stiamo col piede asciutto
fermo ma non in salvo ancora
chiusi rinserrati tra le mura
mentre fuori infuria la bufera
è un ciclone da allerta meteo
ma l’emergenza lo accantona
lo sovrasta e infuria più duramente
si perdono nei grandi numeri
le storie dei singoli
ma si capisce ugualmente
come famiglie intere
siano devastate dai lutti
dalla febbre.

E noi corriamo
come Erinni o Baccanti
su per i monti
corriamo infelici
lontano.

*

Dipingerò un campo di girasoli
nel mio prossimo quadro
una distesa di girasoli
accesi di giallo come il sole.

Un girasole per ogni caduto
di questo male

Il quadro è nato, finito quando il numero dei morti ha toccato il suo picco.

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7 #cronacheincoronate

23 giovedì Apr 2020

Posted by Loredana Semantica in #cronacheincoronate; #andràtuttobene

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#cronacheincoronate; #tuttoandràbene; il tempo del coronavirus, Antonella Pizzo, Flavio Almerighi

Prosegue il racconto dei giorni vissuti al tempo del coronavirus. Un’iniziativa del blog proposta qui. In calce a quel post di presentazione i link agli altri post delle cronache incoronate precedenti. Flavio Almerighi propone la sua Quarantena 33, che è proprio la trentatreesima di una serie di brevi cronache di questi giorni. Non si salva quasi nessuno dall’ ironia almerighiana, spinta fino al sarcasmo, sferza noi, se stesso e il mondo, diverte e si diverte, a volte, veramente. Antonella Pizzo contribuisce con tre suoi recenti testi poetici scritti in tema. È riconoscibile il taglio, un timbro a me noto, preciso e pulito della mia amica poetessa, la sua chiara voce.

Vi ricordo che chiunque può proporre al blog Limina mundi (liminamundi@gmail.com) il proprio vissuto di questi giorni di epidemia e contenimento. Il turbamento, lo stravolgimento, il dolore ma anche lo spirito di resistenza, di reazione, e, talvolta il sorriso, nonostante tutto. Un modo per stare vicini, per allontanare la paura, per esorcizzarla. 

CRONACHE INCORONATE

QUARANTENA 33 DI FLAVIO ALMERIGHI

Luis Sepulveda, ricordi Carolina quante volte La Gabbianella e il Gatto? Se n’è andato anche lui, oggi, per il coronaccio malefico. Intanto i dirigenti lumbard scalpitano, vogliono riaprire e turnà a lavurà; se ne sbattono i coglioni della salute pubblica e gli oltre undicimila morti (più della metà di tutte le vittime in Italia) non dicono nulla (ovvio, i morti non parlano) ai vertici e al loro presidente cerebroandato, o alla confindustria: quel che conta sono i ghelli (i danè) e se gli operi non sdrumano i padroni non guadagnano. Di fatto questa è la secessione, fra perquise e stragi di vecchietti nelle case di riposo. Quando si dice la faccia come il culo! Mi ritengo fortunato a non risiedere in Lombardia. Eh, scusate, oggi si ride poco, ogni tanto è bene mettere in moto il cervello, collegarlo e pensare una bella Norimberga nazionale. Andrà tutto bene a chi???? Dai, domani vado dal mio amico Djiangor a fare rifornimento di albi di Cronaca Vera, Jacula, Sukia e Corna Vissute, così domani si torna a ridere.

Siracusa, 4 aprile 2020

CRONACHE INCORONATE

COSE DI CASA NOSTRA AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

Non è che abbia sempre ispirazione per le cronache. La poesia risponde a un bisogno, anche le cronache. Specie inizialmente, quando il silenzio era troppo e servivano a stemperare l’angoscia, a incanalarla, come si fa col dolore. Nella quotidianità del giorno per giorno, passo dopo passo, per uscire fuori dal tunnel. Ora che altri, scrittori e no, noti o meno, più letti, visibili, apprezzati sono arrivati alla stessa “occorrenza”: scrivere per raccontare questi giorni, il mio desiderio mi sembra possa sedarsi. Cosa raccontare oggi della mia normalità? Mentre ci sono gli ultimi barlumi di prosa appesi sulla punta della lingua?
Due cose di casa nostra. Una molto vicina a me, l’altra molto lontana da me, ma che comunque mi appartiene. La pizza e il nostro Capo del Governo. Cominciamo dalla pizza. La pizza a casa mia è un must, un cult un leitmotiv. Mi sono sparata tutti gli inglesismi possibili per significare che è molto apprezzata. Sapendo che piace a tutti in famiglia, la sera di più sere di questa quarantena l’ho preparata. Dalla notizia letta in rete che il lievito scarseggia, ho capito che non è stata un’idea solo mia. Il fine di preparare impasti fragranti di forno è di questi tempi intermedio tra il nutrimento necessario e il consolatorio. Riguardo alla ricetta dell’impasto io ne ho una standard che uso da una ventina d’anni. Ultimamente sto sperimentando nuove proporzioni tra grammi di lievito e tempo di lievitazione. Riducendo i primi aumentando i secondi. Funziona. La pasta lievita ugualmente.
Il secondo punto all’ordine del giorno di questa cronaca è qualche nota poetica sul nostro Presidente del Consiglio. Sempre fine elegante e misurato, in questa circostanza eccezionale Giuseppe Conte sta riuscendo ad ottenere il consenso del paese, conquistando le donne e lasciando impressionati gli uomini per coraggio e determinazione. Non so a voi, ma a me fa venire in mente quella poesia della Dickinson che dice:

Noi non sappiamo mai quanto siamo alti
finché non ci chiedono di alzarci
ed allora, se siamo conformi al progetto,
le nostre stature toccano i cieli.

Nella tragica sfortuna di questo morbo bastardo, abbiamo avuto la fortuna di avere questo Presidente del Consiglio, che sta limitando fortissimamente la libertà di ciascuno, ma si intuisce che lo fa con l’alto senso di responsabilità della carica istituzionale che riveste, in nome dell’esigenza di salvaguardia della salute di singoli e collettività. Cioè il motivo per cui è ammissibile farlo in uno stato democratico. Non so il futuro, non ho la palla di vetro, ma adesso in questo momento, mi sento nelle mani di un uomo saggio, equilibrato, super partes, che sta lavorando duramente e non tirerà la corda del contenimento/protezione oltre la misura che la collettività alla quale appartengo può sostenere. Concludendo. Chi ha bisogno veramente (sto parlando di fame e salute) spero che chieda aiuto prima di deflagrare in gesti insani e ne riceva per quanto gli occorre, chi ha dovuto cessare le attività lavorative, professionali e commerciali, spero ne ottenga ristoro dagli stanziamenti previsti, ma senza precipitarsi come accattoni, se possono contare su propri risparmi, chi vive di delinquenza si licenzi, chi è approfittatore, squalo, selvaggio speculatore, spero che si converta alla bontà e potrei continuare…il senso è quello che si intuisce, sulla fiducia. Virate. Vade retro covid.
Tutto andrà bene.

CRONACHE INCORONATE

TRE POESIE DI ANTONELLA PIZZO

Aprile uno

lo strazio indicibile vorrei ora narrare
dietro ogni maschera una storia
sopra i letti i nudi corpi immobili
la solitudine schianta il desiderio di vita
il grido della croce riecheggia nei corridoi
quando incontrai il becchino
sfiorai il ridicolo con il mio andare a zonzo

chi cerca di contare i punti della piastrella all’uncinetto
tre alti tre bassi tre fili tre respiri tre spilli
una gettata una passata una chiamata nessuna risposta
chi augura buona pasqua e buone cose
chi legge la lista della spesa

il governatore dell’isola chiuse lo stretto
impedì ogni arrivo e partenza
farfalle smarrite in una stanza chiusa
crepe in uno spazio ristretto
tre parole in fila tre parole
immuni nostra salvezza.

Aprile due

Al ritorno della scampagnata la canzone andò sfumando
la compagine si sparpagliò per strada
le nacchere furono abbandonate sopra lo scaffale
qualcuno suggerì di fare una nuotata al fiume
un altro invece sognò di buttarsi in pigiama dentro l’oceano indiano
altri tuonavano di pirati dei caraibi e di squali tigre
qualcuno scavò una profonda buca all’isola del tesoro
e vi si nascose dentro fino al collo
un altro si arrampicò sopra l’albero del pane
un altro ancora sventrò un pipistrello nano e se ne fece un portachiavi ludico.

L’anno duemilaventi non cominciò nel migliore dei modi
un essere minuscolo che è e non è, vivente o non vivente
un misero mistero nel mistero si insinuò e intossicò i nostri giorni
finirono i baci e gli abbracci, finirono le feste e gli amori
le strette di mano, i batti cinque a palmo aperto
fu tutto un discutere di dati, un deserto d’argilla, fu un crepaccio
scafandri e tende d’isolamento
didattica a distanza e smart working
fa fame e buio, fu rissa e disperazione
processione di virologi
sapienti soporiferi maligni
un bimbo di Palermo partì per raggiungere il nonno.
noi restammo a casa ad attendere la fine.

Aprile tre
I
Ho camminato tanto, passo dopo passo
al limite delle forze
ho i piedi sanguinanti, trafitte le ginocchia
sento l’odore della sabbia e il rumore dell’onda che squassa l’aria
si butta senza freni sugli scogli
una nebbia mi ha colpita agli occhi
si è attaccata alle cornee e mi ha rosicchiato le immagini
una voce mi indica la direzione
segui il sentiero ad est, gira a nord poi scendi a sud, con un balzo supera l’ ostacolo
quanta fatica e quanto sforzo, a che ti serve il mare?
è solo tanta acqua, una distesa inutile di sale.
II
Accanto alla cima accanto alle contigue stelle
nulla risale nulla volge alla fine
se il serpente ingaggia la lotta
la fine arretra senza sconto di pena
avvolgi la mente in diafane parole
e sibila la coscienza inocula la mente
certe stelle vagheggiano il ritorno del satellite perduto in fondo alla galassia
che si rovinò alla fine dei tempi nel magnum magmatico primordiale

 

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