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Capo Horn - Tijuana. Cuentos Olvidados, Emilio Capaccio, Froylán Turcios, Gli artigli della tigre, Racconti, TRADUZIONI
GLI ARTIGLI DELLA TIGRE
(1930)
Froylán Turcios (1875 – 1943)
Traduzione di Emilio Capaccio
Già all’età di dodici anni cominciò a pubblicare versi in varie riviste locali, ma negli anni successivi fu nel racconto che diede i suoi migliori risultati, potendosi considerare come il vero e proprio iniziatore di tale genere nel suo paese. I racconti di Turcios si caratterizzano per la perizia della trama, per il finale molte volte inatteso e spiazzante, e per lo stile asciutto e preciso con chiari rimandi al decadentismo italiano di Gabriele D’Annunzio. Di rilievo fu anche la sua attività di redattore di varie riviste letterarie, oltreché la sua carriera di diplomatico: fu ministro dell’Interno, deputato al Congresso Nazionale e delegato honduregno davanti alla Società delle Nazioni, a Ginevra.
I
Nella casa di montagna risuonarono terribili pianti dentro la cupa notte di giugno. L’allegra Juanita, di appena undici anni, era stata vittima della bestiale lussuria del bandito José Garmendia, chiamato El tigre, che scorrazzava per pianure e paraggi montuosi, marcando la sua orma con ogni tipo di infamia.
La povera creatura era stata aggredita dal feroce criminale a cento metri dalla casa, sul sentiero per Ojo de Agua (1). Era stata sua madre e le sue sorelle ad accorrere alle grida acute della bambina, dal momento che gli uomini non erano ancora tornati dalle piantagioni di tabacco nella fertile pianura. Si attardavano, quella sera. Il selvaggio, dopo la vile soddisfazione del suo desiderio, era fuggito in fretta tra gli alberi. Juanita giaceva immobile sul sentiero, i suoi vestiti strappati, seminuda e coperta di sangue. Il bandito, nell’esasperazione della sua animalità, e accecato dalla resistenza della fanciulla, l’aveva picchiata orribilmente. Le dita ruvide si erano impresse nel candore del collo infantile e dalle tempie pallide stonavano rivoli di porpora. Juanita riuscì appena a pronunciare il nome del suo carnefice e spirò qualche ora dopo.
II
Passarono diverse settimane. Gli ispettori di polizia tremavano alla prospettiva di poter incontrare José Garmendia e nessuno osava inseguirlo. Era un temibile malfattore, forte come un toro, agile come il felino di cui portava il nome, e crudele come mai nessuno, considerando il terrore che aveva gettato, negli ultimi tempi al proseguimento dei suoi audaci oltraggi. Si diceva che avesse recentemente attraversato il confine nicaraguense, dopo aver ucciso e derubato due cinesi nella Cuesta de Azacualpa.
III
Juan Diego, il più giovane dei fratelli di Juanita e colui al quale la bambina era stata più affezionata, aveva mutato il suo carattere dalla sera dell’orrendo crimine. Aveva perso il suo solito buonumore e la volontà per il lavoro. Immerso in un tenace silenzio, trascorreva giornate intere disteso sulla sua robusta amaca di corda o vagando per i monti. Rispondeva con amarezza alle domande che gli venivano poste e, sopraffatto da un dolore nero, si dimenticava persino della sua innamorata, la ragazza più bella del villaggio vicino. Spesso dormiva all’aperto. Si gettava nella frescura delle valli e l’alba lo sorprendeva a guardare il pallore delle stelle. Era un giovanotto bruno, energico e muscoloso, dal viso altezzoso e dallo sguardo profondo. Una mattina di fine settembre scomparve dalla montagna. Nessuno seppe più niente. Suo padre e i suoi tre fratelli lo cercarono ovunque e dopo inutili ricerche lo credettero morto.
IV
Una notte all’abbaiare violento dei cani tutti si svegliarono. La famiglia si alzò sentendo che qualcuno stava aprendo l’uscio nel patio. Mentre essi aprirono la porta, Juan Diego apparve sulla soglia. Immediatamente lo circondarono e lo accolsero con esclamazioni di gioia. Sembrava più alto e barbuto, e i suoi occhi neri brillavano.
— Padre! – esclamò — Ecco a voi gli artigli feroci della tigre, che ho lasciato appeso a una quercia nella valle di Jamastran. E trasse dalla borsa di pelle, che gli pendeva dalle spalle, due oggetti orribili e nauseanti, due mani gonfie e mostruose, villose e nere, bagnate di fango e di sangue.
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(1) Comune del dipartimento Comayagua, in Honduras.
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