Tre poesie di Nina Cassian . Illustrazioni di Loredana Semantica, (tecnica digitale, pennino su schermo).
Preghiera
Se esisti per davvero – fatti avanti, sii nuvola, caprone, aviatore, porta con te occhi, bocca, voce, – chiedimi qualcosa, lascia che mi sacrifichi, prendimi tra le braccia, proteggimi, nutrimi con la settima parte di un pesce, fammi un fischio, dissodami le dita, ricolmami di aromi, di stupore, – resuscitami.
La tentazione
Più vivo di così non sarai mai, te lo prometto. Per la prima volta vedrai i pori schiudersi come musi di pesce e potrai ascoltare il mormorio del sangue nelle gallerie e sentire la luce scivolarti sulle cornee come lo strascico di un abito; per la prima volta avvertirai la gravità pungerti come una spina nel calcagno e per l’imperativo delle ali avrai male alle scapole. Ti prometto di renderti talmente vivo che la polvere ti assorderà cadendo sopra i mobili, che le sopracciglie diventeranno due ferite fresche e ti parrà che i tuoi ricordi inizino con la creazione del mondo.
Ermetica
Se ci fosse un luogo dove conficcare un altro grido quale potrebbe essere, la roccia o il mare
o l’occhio dell’uccello della notte, fisso e tondo, duro come la pietra, giallo come la luna?
Ah, tutto è impenetrabile. E il grido viene fuori dalla bocca
pendulo come la lingua dell’impiccato.
Nina Cassian, poetessa, scrittrice, traduttrice rumena, nata in Romania, a Galati, il 27 novembre 1924, morta a New York il 15 aprile 2014
Rocco Scotellaro è nato il 19 aprile di cento anni fa, a questo link la sua storia .
Rosso di capelli e bello (ce lo dice poeticamente la stessa Amelia Rosselli Bello eri ma troppo fino e troppo caro “Cantilena”, 1953) il giovane Rocco, politico e poeta, morto dopo solo trent’anni di vita, ha lasciato tra i suoi la sensazione di un’opera incompiuta e la testimonianza una forza d’animo straordinaria. Questi elementi combinati tra loro hanno fatto di Rocco un mito per alcuni, per altri Rocco Scotellaro è un dimenticato, vittima della stessa indifferenza che affonda nel mare della disattenzione la poesia del Sud. Certamente è alquanto inevitabile sulla misura dell’apprezzamento dell’opera e dell’operato dell’autore il condizionamento della scelta di campo ideologica del lettore.
Scotellaro operò politicamente con azioni e iniziative favore della classe contadina, animato da idee democratiche volte al miglioramento economico, sociale, assistenziale e culturale della gente di Lucania. Egli tuttavia non si impegnò solo sul fronte politico, ma fu anche giovanissimo poeta, iniziò a scrivere nel 1940, poco più che adolescente. La sua prima poesia “Lucania” descrittiva della natura, riporta la ricercatezza verbale dello zirlio dei grilli, si chiude con la nota maliconica riferita al paesetto lucano che nell’ombra delle nubi sperduto, giace in frantumi. Non dimentichiamo che per proseguire gli studi Rocco dovette abbandonare il paese d’origine Tricarico per trasferirsi a Sicignano degli Aburni a studiare al Collegio dei Padri Cappuccini, questa sua prima poesia esprime la compassione per il disfacimento del paese e il senso di sradicamento dalla propria terra alla quale egli rimase legato per tutta la vita.
Gli anni del liceo classico e l’avvio degli studi in giurisprudenza furono determinanti per la formazione della sue idee e l’emersione della passione sindacale e politica. La sensibilità alle problematiche della società contadina e più in generale per le condizioni degli umili, sfruttati e oppressi, furono all’origine un portato educativo dei genitori, entrambi erano artigiani, l’uno calzolaio, l’altra sarta. La madre però sapeva scrivere e si prestava a fare da scrivano anche agli abitanti del paese. ll padre era una figura di riferimento e di saggezza che sensibilizzò Rocco sullo stato di miseria e sfruttamento in cui vivevano i braccianti del Sud. Rocco era in sostanza un figlio della cultura contadina della sua terra, nato da essa e quindi promanante dall’interno, la conosceva e ne aveva a cuore le problematiche. Una volta giunta a compimento la sua maturazione ideologica, dopo l’incontro con Carlo Levi e Manlio Rossi Doria, l’iscrizione a partito socialista e l’attivismo sindacale, egli maturò anche la consapevolezza degli strumenti che potevano essere utilizzati per affermare i bisogni popolari ed ottenerne tutela: azione e parola. La cultura è azione, ma soprattutto vita. La parola il veicolo indispensabile col quale comunicare, con le parole è possibile richiedere ciò che concretamente si desidera. Diversamente dalle idee di Rossi Doria che rimarcava l’immobilismo, il culto della memoria e il paganesimo degli abitanti del meridione, da intendersi come incapacità ad essere cittadini, cioè di riconoscere la “deità” dello Stato, Rocco percepiva le istanze di riscatto, la fierezza, le contraddizioni di un mondo che interpretava dal di dentro conoscendolo prodondamente, volendo mantenerlo, quasi cristallizzandolo, per salvarne l’intrinseca bontà, pur nel miglioramento necessario delle condizioni di vita.
L’attenzione al mondo popolare, il linguaggio volutamente diretto e semplice, nonostante Scotellaro fosse un colto intellettuale, un dettato refrattario alla retorica, incline piuttosto a testimoniare con l’evidenza della realtà i fatti e le istanze sociali, inquadrano l’opera di Rocco Scotellaro nella corrente neorealista del secondo dopoguerrra. Per gli scrittori appartenenti a questa corrente la letteratura diventa mezzo d’espressione del bisogno di riscatto e rinascita del popolo, dell’esigenza di affermazione di una cultura pacifista e democratica in contrapposizione a quella fascista.
Era inevitabile che tanto entusiasmo trovasse espressione nei testi del poeta Scotellaro. L’impegno civile incarnato nel poeta, a sua volta s’incarna nel corpo poetico. Le passione riverbera nelle poesie infuocate di lotta e rivolta, dove i deboli sono “morti ammazzati”, gli sfruttati le vittime, i padroni sono, senza mezzi termini, gli sfruttatori, gli amici sono compagni, la falce strumento d’uso dei campi e simbolo di azione politica. La cifra stilistica prevalente di Rocco è descrittiva della natura, sia come succedersi di stagioni e di albe/tramonti, notte/giorno, sia per la frequente menzione di piante e fauna della campagna. Frequente la narrazione di scene agresti e paesane, di vita dei borghi, nella contrapposizione tra duro lavoro dei campi e feste, fiere, mercati, le vesti colorate delle donne, le occasioni di incontro e gioia.
Centrale la figura femminile, forte, consolatoria, rilevanti gli affetti. Non mancano naturalmente l’amore, – sensuale e persino erotico – la morte, il senso di scoramento, la malinconia, la tristezza, l’amicizia, la fatica del vivere e dell’agire. Dopo l’ingiusta vicenda giudiziaria che colpì il poeta egli lasciò Tricarico per andare ad abitare a Portici, nelle poesie di questo periodo i toni si fanno meno accesi e più addolorati. L’affetto speciale che in questi ultimi tre anni gli fu di conforto è con la poetessa Amelia Rosselli, che egli ammirava grandemente.
Nelle poesie che Rocco scrisse a Portici la delusione per il tradimento subito dagli uomini spingono i testi verso un maggiore lirismo e talvolta si sente aleggiare il senso della fine. Ad esempio nella poesia “A Portici” riportata più sotto, ciò si percepisce sia per il ricorso al lemma resurrezione, riferibile tanto a un risveglio da un sonno pesante simile alla morte, che al presentimento di una “resurrezione” post mortem di senso cristiano, sia nel rimarcare la materialità del corpo come a dirne anche la mortalità, la corruttibilità. Sono nota “bucolica” i cavolfiori del carretto che viene da Scafati, nota bucolica che non appare più tanto come vena nostalgica o pittorica che anela alla campagna, quanto a constatare prosaicamente chele taglia la ruota del carretto. I cavolfiori sembrano un insolito omaggio orto-floreale ad una decapitazione.
Di seguito una selezione di poesie di Rocco Scotellaro. Illustrazioni di Loredana Semantica, (tecnica digitale, pennino su schermo).
Vento fila (1944)
A me questa notte non darà pace: sono stato scontroso con gli uomini, sono giù di morale, il cuore mulinato da rimorsi. La lampada spesso si smorza. Fiocca nei vicoli sugli stracci, la campagna sola. Vento fila nei baratri delle lunghe stradette. Giù nella Rabata*, chiuse le stentate porte dei sottani, e non verranno. Non verranno i compagni sotto alla finestra a suonarmi la canzone di rampogna questa notte violenta di Carnevale.
*il centro storico arabo di Tricarico
(1944)
È rimasto l’odore della tua carne nel mio letto. È calda così la malva che ci teniamo ad essiccare per i dolori dell’inverno.
Festa alla stazione (1944)
Voci rauche, al sommo dell’estate, e cortei con stendardi dei vicini borghi. Così i prati e così variopinte le donne. C’è la trombetta foriera di sussulto battono i tacchi la terra e le anime pie son ebbre e il treno rugge la gran fiera borbotta di ragli abbrividenti le farfalle fan stormo sull’erbe gialle, è lungo nel fiume il lamento del rospo.
Il sole viene dopo (1950)
Sono nate le viole nei tuoi occhi e una luce viva che prima non era, se non tornavo quale primavera accendeva le gemme solitarie? Vestiti all’alba, amore, l’aria ti accoglie, il sole viene dopo, tu sei pronta.
A Portici (1952)
Nella resurrezione ogni mattina portano il tuo nome e il tuo corpo sopra un ciuffo di canti di gallo, che le taglia la ruota del carretto, il carretto che viene da Scafati a portare cavolfiori ai mercati.
Il porto del Granatello (1953)
L’ondata che viene è furiosa com’è dolorosa quella che m’abbandona. Amore che vieni e che vai che apri la mia bocca e la chiudi, oggi è secco il mio cuore. Pescatore che ti muovi alla festa del vento la pesca non è ricca se povero è l’amore.
Nel 1923, il 19 aprile di cento anni fa, a Tricarico in provincia di Matera nasceva Rocco Scotellaro. Poeta, politico e scrittore italiano. Appena trent’anni dopo Rocco sarebbe morto per un infarto, ma certo la sua non può dirsi una vita sprecata. Nato da una famiglia di umili origini, il padre calzolaio, la madre sarta, fu indirizzato dalla famiglia agli studi, essendo versato in letteratura, s’iscrisse al Liceo Classico presso i Padri Cappuccini e per permettergli di proseguire gli studi tutta la famiglia si trasferì a Sicignano degli Aburni, in Campania. Trento, Tivoli, Potenza, Napoli, Bari, Cava dei Tirreni sono città dove ha lo hanno portato i suoi viaggi per l’Italia per studio e lavoro. Al termine del Liceo intraprese gli studi di Giurisprudenza alla Facoltà la Sapienza di Roma, ma in lui si accese la passione politica e, senza giungere a laurearsi, decise di impegnarsi attivamente, iscrivendosi al Comitato di liberazione nazionale prima e successivamente al PSI. La morte del padre lo induce a ritornare a Tricarico, in Basilicata, o per meglio dire in Lucania, come la Regione si è chiamata fino al 1947. Rocco aveva intuito l’esigenza che per risollevare le situazione l’Italia postbellica si doveva operare nelle realtà locali rurali con una visione chiara di progresso democratico e istituzionale. Egli era sensibile alle problematiche della sua gente così provata dalla miseria, dalla guerra e dall’inattività delle istituzioni, con particolare attenzione al mondo contadino, afflitto da sfruttamento, caporalato impietoso, carenze igienico sanitarie e povertà, mali che ben conosceva essendo stato sensibilizzato dal padre e dallo svolgimento di un’intensa attività sindacale e poi perchè sentiva di provenire da quell’ambiente, tant’è che viene spesso definito “il poeta contadino”. Nel 1946, a soli 23 anni, diventa sindaco di Tricarico nel partito del Fronte Popolare Repubblicano, nato dalla fusione di PSI e PCI. Conobbe nello stesso anno Carlo Levi, pittore e antifascita, e Manlio Rossi Doria, politico ed economista. Levi a detta dello stesso Scotellaro fu il suo mentore e promotore. In una breve ma dinamica gestione da sindato, Rocco Scotellaro dotò Tricarico di una scuola aperta a tutti – perché i cittadini non dovessero spostarsi per studiare, come lui era stato costretto a fare – istituì le consulte locali per dare voce democratica al volere dei braccianti agricoli, s’impegnò a tutelare il loro diritto a coltivare la propria terra e impedire lo sfruttamento del loro lavoro da parte dei grandi proprietari terrieri. Si mosse anche sul fronte dell’occupazione delle terre, movimento che portò alla riforma agraria sul latifondo del 1950. Nel 1947 Rocco Scotellaro fece aprire a Tricarico, che ne era sprovvista, l’Ospedale civico. Il suo grande spirito d’iniziativa disturbò evidentemente gli avversari, perchè dal 1948 al 1950, Scotellaro affrontò una traversia giudiziaria. Tutto ebbe inizio con una denuncia anonima e il rapporto di un funzionario di polizia giudiziaria, a seguito dei quali fu accusato di truffa, concussione e associazione a delinquere. L’accusa sembrava a Rocco talmente inverosimile che l’affrontò con una certa leggerezza. Per 45 giorni subì anche la reclusione nel carcere di Matera. Il procedimento si concluse in appello con assoluzione per non aver commesso il fatto, quindi con formula di piena, ma la vita di Rocco ne fu segnata. Abbandonò la politica nello scoramento che prende i sognatori delusi, senza mai cessare la sua dedizione alla Lucania, s’impegnò maggiormente sul fronte letterario. Appena uscito dal carcere si recò a Venezia, dove conobbe Amelia Rosselli, con la quale intrattenne un intenso rapporto di amicizia durato fino alla morte di lui, avvenuto appena tre anni anni dopo. Amelia Rosselli alla sua morte gli dedicò un’accorata “Cantilena, raccolta di poesie per Rocco Scoltellaro”. Una di queste.
Rocco vestito di perla
come il grigiore dei colli vicino al tuo paese
mostrami la via che conduce
non so dove
(Amelia Rosselli)
Rocco fu anche poeta e scrittore. Cominciò a scrivere appena adolescente, del 1940 la sua prima poesia, tra il 1948 e il 1953 pubblicò poesie e racconti sulla rivista “Botteghe oscure”. Scrisse il romanzo “L’uva puttanella”, in gran parte autobiografico, rimasto incompiuto, un’ opera teatrale e svolse un’inchiesta sui “Contadini del Sud”, per incarico di Einaudi, anch’essa rimasta incompiuta per la morte sopraggiunta.
Per sintetizzare lo spirito dei suoi ideali, della sua azione politica e sociologica bastano le sue centrate parole stralciate dalla lettera di presentazione diretta a Luciano Erba con la richiesta di pubblicare sue poesie su “Quarta generazione”. Le poesie furono pubblicate nel 1954 postume, come del resto gran parte della sua produzione.
“Politicamente ho fiducia che cessi la indegna e mortifera divisione del mondo perché l’umanità posa curarsi dei suoi mali: la povertà economica e il decadimento culturale“. (Rocco Scotellaro)
Le sue opere
“È fatto giorno” Mondadori “Contadini del Sud”, Laterza “L’uva puttanella” Laterza “Uno si distrae al bivio” Basilicata “Margherite e rosolacci” Mondadori “Giovani soli” Basilicata “Lettere a Tommaso Pedio” Osanna “Scuole di Basilicata” RCE “Tutte le poesie (1940-1953)” Mondadori “Il prezzo della libertà. Lettere da Portici” Edizioni Giannatelli “Poesie” RCE “Tutte le opere” Mondadori
Di seguito una selezione di poesie di Rocco Scotellaro. Illustrazioni di Loredana Semantica, (tecnica digitale, pennino su schermo).
In autunno (1940)
Trasvolano le rondini i mari e i deserti, a una dimora certa lontana tendono, all’orizzonte forse, dove sempre il sole cade in sera.
Lucania (1940)
M’accompagna lo zirlio dei grilli e il suono del campano al collo d’un inquieta capretta. Il vento mi fascia di sottilissimi nastri d’argento e là, nell’ombra delle nubi sperduto, giace in frantumi un paesetto lucano
Traguardo (1941)
Sconfinati deserti io mi figuro. Cammino e cammino ansante sfinito. Desolato la voce sola mi resta. Una sillaba sola l’eco non ripete del mio grido. Avanzo m’abbatto mi levo. In un baleno improvviso un traguardo ravviso. E un tuono rimbomba al mio grido.
(1948)
È già notte qui nei valloni è già notte per le campagne marine. Dai paesi corrono piccole nuvole di fumo verso il cielo. Continua la vita nel gelo. L’anima è questo respiro che ci riempie e ci vuota. E occorre guardarsi indietro a vedere il giorno dove corre. Corre di fronte alle luci accese dei pali dove il Vulture adesso si vede sullo specchio rosso di ponente… Perché l’ombra è già morta sui pini.
Al sopportico delle Api il primo amore (1948)
Al sopportico delle Api affisse ai muri le nostre iniziali col colore della paglia bruciata. L’amore nostro crebbe qui nella stalla vicina. E io vederti sorgere tenera ombra, misuravo le parole tue calde cercandoti le labbra con le dita. Ombre di noi che siamo in fuga si allungano, scompaiono quando la lucerna del mulattiere mette fremito alle bestie per la biada.
La mia bella Patria (1949)
Io sono un filo d’erba un filo d’erba che trema. E la mia Patria è dove l’erba trema. Un alito può trapiantare il mio seme lontano.
Campagna (1949)
Passeggiano i cieli sulla terra e le nostre curve ombre una nube lontano ci trascina. Allora la morte è vicina il vento tuona giù per le vallate il pastore sente le annate precipitare nel tramonto e il belato rotondo nelle frasche.
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