Da tempo ormai il modo congiuntivo é in lenta ma inesorabile decadenza. Al suo posto regna incontrastato e sovrano l’indicativo, il modo della realtà, dell’obiettività e della certezza. Il 21 marzo del 1967, sulle pagine del Corriere della Sera, Dino Buzzati scriveva un raccontino dal titolo Povero Congiuntivo che propongo qui di seguito e che già manifestava la crisi che avrebbe inesorabilmente colpito il modo verbale della soggettività.
Chi ha più di quarant’anni ricorda senza dubbio che cosa fosse ai suoi tempi il professor Attilio Congiuntivo.
Era un despota, un pignolo, lo si trovava dappertutto. Come ci si metteva a scrivere, lui compariva dietro le nostre spalle a sbirciare sulla pagina. E guai a non essere ai suoi ordini, guai a mancargli di riguardo. Erano cinque e quattro che fioccavano, erano bocciature solenni.
Era alto, magro, invadente, vestito di scuro, con occhiali, pretenzioso e maledettamente sicuro di sé. Il professor Sergio Indicativo, suo collega, così aperto e gioviale, al suo apparire si tirava in disparte, facendosi piccolo. Si capiva benissimo che lui, Congiuntivo, lo disprezzava profondamente. Per noi ragazzi, era come il fumo negli occhi. Sempre intorno a tenderci trabocchetti. Lo odiavamo, lui lo sapeva e si sarebbe detto ne godesse.
– Preferireste che io non ci fossi, vero? Ma non ci siano equivoci! Spererei che nessuno metta in dubbio il fatto che a comandare sia io. Vorrei non aveste dimenticato come nell’ultima lezione io vi abbia esposto le regole che sarebbe augurabile voi abbiate ormai imparato … Mi spiacerebbe lasciarvi, figlioli, col dubbio che io abbia dimenticato il compito il quale, sia ben chiaro, voi avreste dovuto presentare fin da ieri … Ma per oggi si chiuda pure un occhio – e così via. Più che tortuoso.
Ora, chi in quegli anni lontani avrebbe mai potuto prevedere l’amaro calice che attendeva il tiranno? La sua sovranità pareva solidamente destinata a durare per i secoli dei secoli, tanto ne eravamo tutti soggiogati.
Sennonché, nei tempi successivi alla Seconda guerra mondiale, un certo spirito sovversivo cominciò a serpeggiare nella repubblica della lingua italiana. Il professor Congiuntivo notava intorno a sé sempre più frequenti sintomi di negligenza. Con la matita blu dava grandi freghi sui giornali, sui libri. A scuola, per strada, si turava le orecchie indignato.
Già permaloso, divenne intrattabile e pronto alla lite. Si era persuaso che il professor Indicativo gli avesse montato contro l’intero Paese, per detronizzarlo dalla cattedra. E il collega aveva un bello scusarsi:
– Ti giuro che io non c’entro, io non ho assolutamente niente contro di te, non è colpa mia se la gente ti trascura …
Quello si alterava sempre di più.
Cose di dieci quindici anni fa. Poi, il precipitoso tracollo. L’ho rivisto stamane: un rudere, un barbone, un relitto.
Si accostava ai gruppi di ragazzi e ragazze ginnasiali implorando, si intuiva, un riconoscimento, un saluto, un segno di rispetto. Le orrende frasi che via via afferrava nei loro discorsi lo ributtavano indietro:
– Nel caso che non ce la fai … Se io ero stato più attento …
Altrettante stilettate al suo cuore.
Purtroppo mi avvistò. Mi venne incontro, mi afferrò per un braccio.
– Dica, dica, vecchio amico mio … Vorrei capire che cosa stia succedendo … Che non si abbia più per me la reverenza di una volta, questo potrei anche ammetterlo, con l’andazzo che si direbbe abbiano preso i tempi … Ma oggi vorrebbero completamente ignorarmi, rifiutarmi, che diamine! Per quale motivo mai dovrei rinunciare alle posizioni, ai diritti, ai privilegi spettantimi dall’epoca dell’Alighieri?
Avrei voluto svignarmela. Come spiegargli, povero vecchio, che il mondo non lo gradiva più? Io stesso, cresciuto alla scuola d’un tempo, trasalgo spesso nell’udire e nel leggere frasi che l’altro ieri sarebbero state bestemmie grammaticali e oggi sono moneta corrente. Ma è una corrente fatale. La lingua tende a semplificarsi, la lingua vuole snellirsi. Il professor Indicativo, senza averci messo niente di suo perché è una brava e onesta persona, è rimasto quasi incontrastato padrone del discorso. D’altro canto anche lui ha i suoi guai: il suo figlio terzogenito Passato Remoto perde giornalmente terreno.
Con queste e altre considerazioni tentavo di consolare l’infelice, nello stesso tempo pensavo al modo più opportuno di sganciarmi.
In quel mentre, sorridente, sicuro di sé, dalla porta della scuola usciva il professor Indicativo. Camminava che pareva un giovanotto. L’invelenito collega ebbe un sussulto e fece l’atto di avventarsi contro, staccandosi dal mio braccio. Ne approfittai per filarmela al galoppo. Fortuna volle che lui non se ne accorgesse (anzi: che lui non se ne accorse).
[Dino Buzzati, “Povero Congiuntivo!”, Corriere della Sera, 21.03.1967]
Il modo congiuntivo si usa quasi sempre nelle frasi dipendenti per esprimere una supposizione, un desiderio o la possibilità che un fatto avvenga o sia avvenuto. Si chiama così proprio perchè è presente in frasi congiunte con altre, cioè appunto dipendenti. Si utilizza anche in frasi principali che esprimono desiderio come “Potessi avere un’auto nuova!” o come imperativo di terza persona “Entri pure!”. Che il congiuntivo nelle frasi dubitative e interrogative indirette non si usi più non è una novità, sempre più spesso si sente dire “Non so quanta frutta hanno comprato”, invece di “Non so quanta frutta abbiano comprato”. Da evitare invece é l’uso dell’indicativo con verbi che esprimono dubbio e incertezza, i famosi verba putandi come credere, pensare, immaginare, che per loro natura esigono il congiuntivo anche se è possibile ammettere l’indicativo futuro; si dice “Credo che tu abbia detto la verità” e non “credo che hai detto la verità”. A seconda dell’utilizzo di indicativo o congiuntivo talvolta compare una sostanziale differenza di significato, ad es. nella frase “Dicono che la frutta é matura” chi parla dà per certa un’opinione altrui e la considera notizia valida e sicura; nell’espressione “Dicono che la frutta sia matura” invece, chi parla non è proprio convinto di quanto afferma e presenta la notizia in modo dubitativo.
Forse questo privilegiare l’indicativo, lo spirito sovversivo e i sintomi di negligenza di cui parlava Buzzati nel suo racconto, sono un riflesso dei tempi che corrono, di una realtà che impone di guardare i fatti oggettivamente, per quello che sono e non per quello che potrebbero essere o sarebbero potuti essere, una realtà che tutto persegue tranne l’incanto della bella scrittura. Personalmente utilizzo a dismisura il congiuntivo, per restituirgli forza e vigore e poi per una naturale inclinazione alla precisione, alla finezza e all’eleganza. Per concludere, quella affrontata è una questione stilistica più che sintattica. Nessuno può suggerirci se sia più opportuno l’utilizzo di un modo piuttosto che dell’altro, non la grammatica, non la sintassi nè la consecutio temporum perchè ciascuna lascia margini all’interpretazione. E’ il nostro atteggiamento di fronte alla realtà, il nostro modo di concepirla e di agire su di essa, la finezza del possibilismo, a determinare la scelta di indicare i fatti come li sentiamo, li pensiamo, li desideriamo, li speriamo dunque la scelta del discreto e astratto congiuntivo piuttosto che dell’incalzante e concreto indicativo.
Deborah Mega
Pingback: L'indicativo e il congiuntivo secondo Dino Buzzati. C1+. - languageclass in italy
Carino il racconto di Buzzati 😊
"Mi piace"Piace a 1 persona
L’ha ribloggato su Deborah Mega.
"Mi piace""Mi piace"