Nell’ambito della rubrica “Canto presente” oggi presentiamo la poesia di:
Filippo Parodi
Colloquio
La carne senza carne per raggiungerti e con-vincere,
i nervi deodorati, queste ossa che reinvento,
per le tue rigide altezze la mia soffice paralisi.
Il gioco di strozzarmi con la lingua incravattata.
In auto con mia zia
In auto con mia zia,
Lei guida e come un sacco mi trasporta, guardo intorno,
Il torace dilatato da Schubert e dai baci delle benzodiazepine,
La colpa di una gioia, non sono responsabile.
Io sono il nipote che scivola e sbadiglia, lo zaino tra le cosce, vibrante galleria,
Il giorno parla piano, la zia doma le ruote e le crudeltà d’asfalto, di
mare e così via,
E ha voce, nervi, linfa, maestà decisionale. Fucili tra i capelli, la zia sta lì a difendermi con le sue azzurre ombre, le perle nella borsa, le scatolette miste con il cibo per i gatti e poi
Mi chiede. Mi tormenta. Stracolma. Mi stordisce.
Le nuvole irrisolte, casette sopra i monti e le rate, le bollette, il pranzo, il giardiniere,
La zia stringe le marce e sa intonarsi con il mondo che
Mi sembra sussurrare farfalle di paura. Mi sembra si accartocci in abitata apoplessia. Ritorna a una pozzanghera di familiarità.
La zia che mi confessa che devo ancora nascere.
La mattina
Mi piace la mattina,
indiscriminatamente.
Le bocche in movimenti di vocali ipnotizzanti,
il cielo da condire,
che transitorietà!
Esalta il vuoto luce, ora carezza, precipizio e
le facce spaesatissime che sfrecciano, si impigliano
nel Primo Unico Giorno,
incanto di un vagito e condanna,
però grati a quel giardino in lontananza.
La pagina degli angeli squarciata dal risveglio.
Danila
Occhietti che non specchiano:
soltanto guscio e cenere.
Il missile, l’errore, e i delfini a quale prezzo?
A che prezzo quel cortile?
La boccuccia si accartoccia in un rallenty di coccio.
Barriti, nulla più.
J.
Ma non sarai più fragile,
adesso che sovrasti
tanto incessantemente,
tu a un tratto senza forma e
nutriente rompicapo
per quanti oggi ti cercano
tra l’erba, nella zolla,
dentro l’attimo subacqueo
ma non sarai più stanco,
adesso che spumeggi nelle
menti ancora incredule,
nel fiato ostacolato,
negli occhi, in un ricordo,
finanche nelle lacrime
di chi non ti ha incontrato,
spumeggi e quasi ridi perché
non sarai più sterile
in giorni senza suono,
o allegro e motivato un
pomeriggio all’improvviso.
Non sarai più bravissimo.
Nemmeno criticabile.
Sarai un treno niveo
di libertà e dilemma.
Sarai qualcosa che
i fiori suggeriscono,
o un vuoto d’orizzonte,
l’orgasmo di distanze,
intanto ora divieni,
e divieni… giunge il buio.
Poi l’alba di chi resta.
Un’insonne primavera.
Self-confidence
Ragazzo non
l’avverti la gloria del tuo esistere?
Il volo ch’è visibile,
adesso puoi indicarlo sullo
sterno quel bagliore,
l’assenza di giudizio,
le gambe si diramano, non le accavalli più.
E l’emisfero destro come un lembo di mantello
del Cristo ti solleva dalla grandine annerita e
dai recintati prati che
non piacciono al tuo bimbo:
svegliato, fiducioso
abbandona le clavicole per
scendere, lo senti? Il cuore cosa dice?
Dov’è che senti ora questa nuova beatitudine?
Sui palmi. Lungo i gomiti.
Nell’ansa cervicale.
Prendendoti per mano
inizi a camminare.
Il tuo corpo No. 2
Non ti massacrerà,
vedrai che una mattina
ti dice qualche cosa,
sciocchino gli sorridi
nel tunneldiplutoniononpiùtunneldiplutonio:
la luce non è poi
così stretta quanto
reputi.
Sorriderai, pertanto.
Al cuore, pure ai piedi.
Alla pancia,
addirittura
ai plessi,
anche alle arterie.
Non ti pungola più,
nemmeno ti appartiene
e in ogni quando scivola,
non potrai farci nulla.
Luglio
Formula
il ventilatore
ingressi che
spumeggiano.
Di fronte, ottuso,
un corpo,
la mente preferisce
gli scavalcati amplessi, la
placidità danzante delle
cose inesorabili.
Un mondo senza unghie.