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Succede a volte che, seguendo le informazioni diffuse dai mass media, tv, radio, giornali, internet, sentiamo pronunciare una parola tanto ripetutamente che finiamo per assuefarci al suo suono e a svuotarla del suo vero e profondo significato. Diventa improvvisamente un topos, un luogo comune che tutti, per strada, nei salotti, nelle conversazioni fra amici, usano senza soffermarsi più di tanto sul valore e il peso che può avere. Credo che tutto questo possa essere applicato al termine femminicidio, che sentiamo pronunciare ogniqualvolta viene uccisa una donna. Femminicidio, o femicidio, secondo la primaria versione della parola che traduce il termine inglese femicide, è espressione dal significato terribile che definisce l’uccisione di un essere umano in quanto appartenente al genere femminile, quello che la filosofa De Beauvoire, chiamò provocatoriamente Secondo sesso. La donna è l’Altro, afferma nel suo famoso saggio la scrittrice, è quello che l’uomo, nel suo considerarsi Soggetto, colloca nella posizione di Oggetto. Su questa situazione di non riconoscimento si è fondato e si perpetua il concetto di subordinazione del genere femminile. A distanza di tanto tempo la riflessione della filosofa francese rimane attuale ed è ancora legittimo porsi la questione della gerarchia dei sessi e domandarsi se sia finalmente possibile accogliere in maniera definitiva nel contesto intellettuale e sociale l’idea di “genere” inteso come categoria che raggruppa la specie umana. Perché malgrado la conquista sul piano formale e ideologico dell’uguaglianza resta il problema dell’impostazione dei rapporti fra i sessi, problema perpetuato nel corso dei secoli ed ereditato dalla concezione biblica di Eva nata da un osso in soprannumero di Adamo, e cioè di un “essere occasionale”, come lo definisce San Tommaso. A metà degli anni ’90 del secolo scorso, la scrittrice e performer Eve Ensler pubblicò un libro dal titolo I monologhi della vagina nel quale, attraverso testimonianze femminili, denunciava una realtà di violenza espressa nelle manifestazioni più subdole. Il testo suscitò, com’era prevedibile, vaste polemiche, ma fu letto e rappresentato in forma teatrale in molte parti del mondo, compresa l’Italia, e recitato dalle più grandi attrici di teatro. Nel 2015 la stessa Ensler pubblica un documento in cui racconta le violenze esercitate dagli integralisti dell’Isis sulle prigioniere dissidenti o disobbedienti, episodi di una crudeltà inenarrabile, difficili da credere generati da mente umana e che fa paura persino riportare; in seguito Ensler pubblica il libro Se non ora quando? Contro la violenza e per la dignità delle donne, nel quale afferma: “abbiamo bisogno di scrittori in quest’epoca terribile di inganni e manipolazioni”. Cosa possono fare i poeti, retoricamente definiti esseri avulsi dalla realtà? Certo non sarà un libro di poesia a fermare  lo scempio che si compie sulle donne, né basteranno gli spettacoli, i documentari, le inchieste. Pure, tutto questo qualcosa fa: aiuta a capire. E capire significa prendere coscienza che quei fatti di cronaca che ci turbano fuggevolmente, fra una notizia e l’altra, sono vicini a noi più di quanto crediamo. Significa smuovere le acque ancora stagnanti di una cultura civile e sociale arroccata su concetti resistenti a morire. E significa anche aiutare le donne vittime di violenza a rendersi consapevoli che dall’oscurità del tunnel in cui sono cadute si può fuggire superando la paura e la vergogna, ribellandosi, accusando, denunciando. L’antologia Cuore di preda, curata dalla scrittrice Loredana Magazzeni, nasce  per volontà di Gianmario Lucini, poeta, critico e editore, uomo di grandissima sensibilità, intellettuale impegnato a combattere l’ingiustizia e il decadimento morale, scomparso purtroppo prematuramente, e  raccoglie i testi di ottantasei poetesse che declinano il tema del femminicidio e della violenza di genere dando voce al silenzio che accompagna il dolore delle vittime. Silenzio generato dalla paura, dalla mancanza di autostima, dal senso di colpa, dall’abitudine ad essere dominate. Scorrendo i testi di questa raccolta percepiamo i nuclei tematici più forti e più pervasivi dell’argomento violenza, legati da un filo rosso che attraversa vicende dolorose e traumatizzanti mutuate da fatti reali di cui quasi giornalmente veniamo a conoscenza. E non è fuori luogo o esagerato parlare al riguardo di una forma di “olocausto”, in ragione del fatto che si tratta di una violenza dettata dalla volontà di esercitare un potere che annulli, cancelli, estingua il genere femminile, non come esistenza fisica, ma come esistenza sociale e psicologica, come volontà di esprimere se stesso, come affermazione di entità non omologabile. Cuore di preda è il genere femminile, ancora raccolto “in un mondo di buio, nucleo di resistenza sacro, eredità lascata dalla madre”, come lo definisce la poesia di Anna Elisa De Gregorio. Perché è già dalle madri che si va configurando l’esistenza delle figlie, madri che subiscono percosse e tacciono per vergogna e dichiarano, per obbligo verso se stesse, di amare ancora il loro uomo.

Se questa è una donna

Con quale numero sarà ricordata

la violenza di ieri su una donna

nel quartiere taldeitali della tale città?

La voce che esce dal televisore,

mentre divagano periferie senza vita,

elenca cronache già dimenticate:

quella che era, l’altra che aveva…

donne raccolte in un mondo di buio.

 

Di donne destinate a subire parla la poesia di Nunzia Binetti :

Io già lo so

(…) Io cosa per editto maledetta, finto monile

Espio una condanna e sono anima lesa

silenzio indotto, resa, mai altro che utero o marsupio

che zagara sfiorita nel giardino a spingere il recinto

col mio canto morto.

 

E di una detenzione volontaria, determinata dall’impossibilità del corpo a ricercare un senso nuovo dopo il deturpamento, dopo l’oscurità di un abisso di cui ci si sente complici, parla il testo di Maria Teresa Ciammaruconi: L’uomo che ha vessato ha perso vigore, è ormai incapace di prendere e di dare, sarebbe facile fuggire, ma la violenza ha generato assuefazione, la paura ha svilito ogni desiderio di libertà, il danno è irreversibile:

Violenza non codificata

Non è per bontà che ora rinunci al sangue

e non è mite la carezza che doma la fera

ma paura che ha perso la traccia del desiderio

seminato lungo la nostra strada in regalo

a fare unica una vita qualunque.

La tua rinuncia è la mia prigione senza sbarre

violenza non codificata per detenzione a vita.

Incapace di cattura il predatore muore

e condanna la preda alla solitudine  della sicurezza.

 

Di Lella De Marchi

e poi mi hanno detto

e poi mi hanno detto:

il tempo aggiusta tutto

anche il tuo corpo offeso

e spaccato,

certo, non temere,

un giorno tutto questo

non ti farà più male

 

ed io ho pensato:

ho fatto davvero qualcosa di sbagliato

perché mi hanno di nuovo violentato.

 

Cuore di Preda è una delle tante operazioni che sono state realizzate per mettere a fuoco una problematica che non cessa di essere attuale e per sensibilizzare istituzioni e società civile a non abbassare la guardia. Tanto è stato fatto e tanto dovrà continuare ad essere perseguito. Confidiamo che alle voci poetiche di queste donne si uniscano tante altre voci ancora, anche maschili, perché si sciolgano fin gli ultimi nodi di un colpevole silenzio.

 

Anna Maria Bonfiglio