
Piet Mondrian, Composition with large red plane, yellow, black, grey and blue (1921)
La poesia è anche incontro, una geometria di rette a volte parallele, altre volte perpendicolari. Similmente al quadro di Mondrian un reticolato vivo e riccamente colorato. Nell’ambito della rubrica Versi Trasversali, presentiamo la poesia di …
ALESSANDRO MONTICELLI
Restare
Restare nelle crepe delle cose
dove entra la luce
nelle cicatrici
dove trovano riparo le verità.
Restare nel sedimentare e nel redimere
nell’impossibilità del perdono
nella forza residua e testarda
di un antico suono.
Restare in quel vissuto
intenso, denso, assoluto
che è l’inizio di ogni cosa
in chi ti somiglia non negli occhi
Ma nel respiro.
Restare come destino
per chi custodisce come reliquie
avanzi di cibo e di vino.
Restare per avvertire il petricore
una domenica mattina
sotto un cielo di teatro e di stupore
affacciato su questo nulla
E costretto all’essenziale.
Io ti parlerei
Io ti parlerei di un letto sfatto con l’impronta
Del corpo e del profumo della persona amata
Immerso nelle sfumature della luce
Con le ombre lasciate dalle pieghe del tessuto.
Del frinire delle cicale in una pineta marittima
La ripetizione di un istante
Un momento nel tempo circolare.
Ti parlerei
Di una finestra piccola
Di una architettura abbandonata all’incuria del tempo
Di una carcassa di roccia
Di unghie dipinte di rosso scarlatto.
Ma non ho voce.
Poiché in un silenzio ancora più infinito
Altrove in una casa di campagna
Nello spogliatoio di una fabbrica
O in una stanza di mare
Sguardi di uomini e donne
Macerano la pietra e strinano il tempo.
Nella luce visibile del sole e nel suo odore così segreto.
Forse è questo il destino arrivare al traguardo e averne paura.
Lenta bellezza
C’è una lenta bellezza
nella solitudine dei primi piani
in un lontano Arcobaleno
che non ha mai Inizio da qui.
Si indugia a poche fermate di metró
tra indifferenza e amore
nell’attesa di un gesto
che rimetta tutto a posto.
La macchina barocca oramai è denudata
semplice quasi purificata
nello smarrimento di chi percorre
grandi strade e chi solo sentieri.
Di sera buio e bellezza
restano nei nomi
di chi si incurva per il dolore
e in chi crescendo
ha imparato a deludere.
Per cena solo Ossi di seppia.
*
Le risa spensierate degli incolti
la bellezza delle cose incompiute
un libro aperto abbandonato a faccia in giù.
Al limitare del genere umano si naviga a vista
fino alla prossima tempesta
e si vive nei ritagli di tempo
spesso in corpi inospitali
colpiti solo da una linea di luce in una stanza scura.
Fuori di essa basse passioni, miserabili appetiti
per tutti quegli schiavi che si credono liberi
e non sanno che più che condividere
sarebbe meglio moltiplicare
per chi ai muri preferisce le strade.
Ma resta l’ansia di essere uomini.
Se vai via ti prego abbi cura di me.
*
Il ragazzo avrà tredici anni
Ma non lo sa.
È alto e biondo e corre
muovendo la testa avanti e indietro
ogni volta che attraversa il cancello
prima di salire sull’altalena
e spingersi in alto più forte che può.
L’uomo quieto lo accompagna a fine mattina
Quando il parco è ormai vuoto.
Si siede e lo vede spingersi in alto
senza dire nulla.
Io vado via poco dopo il loro arrivo
E lui mi sorride piano per salutarmi.
Mi allontano, li lascio soli.
L’immobile profondità del mare
Nonostante la tempesta in superficie.
“Ho fame papà!”
“Va bene Artemisia, andiamo.”
L’amore è sempre una strada, mai una destinazione.
Letter from home
In questo mutuo disordine gli ultimi istanti di gloria
Permeano i tetti delle chiese, delle moschee, delle sinagoghe.
Prigioni di vetro dalle serrature di sughero
Che custodiscono anime di porcellana di una commedia autunnale.
Altrove in un tempo inedito, nascosto, di luce brulicante tra le foglie
Si agitano insospettati oppositori dello scintillio estivo
Sui sudici sanpietrini romani.
Ma resta in un respiro di pece
L’isolato rumore di passi in una fredda domenica mattina verso casa.
L’odore di legno antico che emana da una mela tagliata a metà.
Che dirti?
Come animale prima che la terra tremi… lo sento.
Ora che vivo in quella casa a pochi passi da Alexanderplatz
E mi tengo ben stretto tutto quello che non conosco.
La libellula
(ad Amelia Rosselli)
La tristezza all’orlo delle ginocchia non mi permette di andare avanti.
Così il vento della sera mi spinge verso la radura delle tue inclinazioni
e della giustizia più o meno divina di cui saremo vittime e carnefici.
Infinite schegge di corpi.
Milioni di bottoni penzolanti dalle asole di menti irrequiete.
Il giorno dopo poggio di nuovo il pennello sulla tela bianca
come coltello poggiato sulla carne nuda che provoca ferita
e che profuma d’estate l’eco lontana di una canzone
che mi accingo a cantarti ora che non ci sei più.
Ora che punto la penna al cielo di nuvole
e disegno i contorni di navi e alberi alati
e poco più in basso il profilo del tuo viso.
*
La stanza di sopra è colma di secchi silenzi
E di sera
Voci diafane come veli di luna
Conversano di eleganze perdute.
Fuori la malinconia dei rivoluzionari
È nitida e feroce
Ma priva di espiazione.
Momenti che la giovinezza
Ha bruciato senza capire.
Principessa è ferma sull’entrata del bar
E guarda con trasporto un ragazzo
che potrebbe essere suo figlio.
Mentre poco lontano la stazione di rifornimento
Accende i suoi neon come discoteca anni 80”.
Ci si muove indolenti verso casa
Come le stelle per le loro rotte comandate.
E dallo specchietto retrovisore
L’immagine di un abbandono.
*
Due adolescenti appoggiati ad una rete metallica si baciano
lungamente ad occhi chiusi.
Poco lontano un uomo con fare discreto
lascia una busta in un cassonetto di panni usati e si allontana.
Scende la sera su di una giornata lunga, stupida, bella
di stupore (s)offerto ed umiliante appiattimento
tra cupezze di violoncelli.
Ci vuole coraggio per indossare un paio di ali
sapendo che di tutto resterà un sacchetto di plastica colorata.
Bellezza e bizzarria sospiri e sorrisi
in questo sciame digitale che penetra più in fondo
nella ferita dell’essere
e ci anestetizza anche il cuore.
Per coloro che hanno vissuto alla periferia della vita
per coloro che hanno vissuto una vita in periferia
La morte improvvisa
la vita ha il suo copione.
*
Ti stringo a me con braccia di nebbia
perso in un ricordo
che non esiste ancora.
Nella solitudine ci si incanta e ci si perde
come nomade
In un mondo che si dissolve
nelle immagini delle vite altrui.
Nei panorami trasformati dagli sguardi
tra imprevedibili prodigi
e verità bastarde e infedeli
che non riusciamo ad abitare.
Più che dei fuochi che non si accesero
ci saremmo dovuti preoccupare
di quelli che non siamo riusciti a tenere vivi.
E all’ombra di un risentimento
ogni tanto per essere meno infelice
mi siedo e mi distraggo da me.
Alessandro Monticelli (1972) nato a Sulmona (AQ)
ha pubblicato le raccolte poetiche:
“Medicine Scadute” – Mauro Baroni Editore (Viareggio) – 2004
“Made in Italy” – Edizioni Progetto Cultura (Roma) – 2004
“Favole da un Manicomio” – Il Foglio Editore (Piombino) – 2006
2° edizione 2007
“Concerto di un re minore”e-book – La scuola di Pitagora editrice 2011
“La pelle fragile”e-book -Fontana editore 2014
” Radici in aria”- Lupi editore 2015
“Le conseguenze”- Bertoni editore 2022
Suoi testi sono pubblicati su diverse antologie e riviste letterarie nazionali e internazionali
“Ellin Selae” “Prospektiva” “Il Segnale” “Tratti” “Il Monte Analogo” “Inverso” “Gradiva” ecc.
ha partecipato a numerosi reading e festival di poesia.
Dal 1999 inizia la sua attività artistica, esponendo nel duo Monticelli&Pagone
in Italia e all’estero in gallerie private e spazi pubblici.
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